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Giorgia Meloni e Olaf Scholz

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È improvvisamente durissima in Europa per la moralità perduta in casa. Questa volta l’interesse italiano coincide con quello europeo e il governo Meloni lo difenda affiancando all’azione politica serietà nella finanza pubblica e nel portare avanti il Pnrr. L’obiettivo è una riforma che metta al centro la crescita europea con investimenti comuni e un percorso di rientro credibile per i debiti nazionali. Se non si riesce a farli ragionare, si proroghi in Europa la situazione attuale. Proprio come ha fatto la Germania con il suo freno costituzionale al debito

La partita delle partite riguarda il nuovo patto di stabilità e crescita europeo. La mediazione spagnola incontra molte difficoltà perché il clima pre-elettorale accende le pubbliche opinioni interne e condiziona i comportamenti delle classi di governo nazionali. La Commissione vuole il risultato prima delle nuove elezioni europee come segno concreto del suo mandato che suggella l’uscita dal “liberi tutti” dai vincoli di finanza pubblica post pandemia e guerra mondiale delle materie prime e impedisce il ritorno alla gabbia antistorica del vecchio patto afflitto (parola di Ciampi) da zoppìa costitutiva perché una gamba era solidissima e muscolosa (la stabilità) e un’altra totalmente assente (la crescita).

Questa gabbia non è peraltro quasi mai riuscita neppure ad essere una camicia di forza per l’assoluta irrealtà dei suoi parametri di bilancio in termini di deficit/Pil e debito/Pil e ha portato danni di non poco conto quando è stata messo alla prova dalle grandi crisi internazionali finanziaria e dei debiti sovrani. Romano Prodi con una definizione che fece scalpore, ma si rivelò assolutamente preveggente definì questo patto con un solo aggettivo: “stupido”. Aveva totalmente ragione.

Il commissario per l’economia, Paolo Gentiloni, come tutta la Commissione, sono impegnati a portare a casa il risultato entro Natale. Non si tratta di un’operazione né facile né scontata. Perché più il morso della crisi dell’economia tedesca si fa sentire più la rappresentanza tedesca torna a inseguire la parte sbagliata del vecchio Patto legandosi a una strenua difesa di decimali e target che sono fuori dalla realtà del rallentamento globale e delle incognite geopolitiche legate alla doppia guerra.

A rendere la situazione ancora più incandescente, oltre alla recessione tedesca, è anche la moralità perduta della ex locomotiva europea che vede la sua classe di governo sul banco degli imputati delle sue massime istituzioni contabili, monetarie e costituzionali per un buco di bilancio da 60 miliardi creato da una clamorosa sentenza della Corte costituzionale tedesca sull’uso improprio di fondi non impiegati a fini pandemici e sulla loro attribuzione sbagliata rispetto alle regole della loro legge di stabilità.

La cosa che rende tutta la classe tedesca di governo, a partire dal cancelliere Olaf Scholz, particolarmente nervosa, è la consapevolezza che sotto attento scrutinio delle autorità di controllo finiranno probabilmente altri fondi fuori bilancio utilizzati ampiamente in questi ultimi anni. Ve ne sono in tutto 29 solo a livello federale, per una cifra complessiva di 870 miliardi di euro.

Vi rendete conto da soli che di fronte a simili poste in gioco non si può nemmeno più dire che la Germania si sia comportata, con tutto il rispetto, come una Grecia qualsiasi che si macchiò di un falso in bilancio confesso che fu all’origine della crisi dei debiti sovrani non capita e non gestita che portò in dote all’Italia e ai Paesi del Sud Europa la seconda recessione e aumentò povertà e diseguaglianze.

Non si sente oggi nessuna necessità di ripetere gli errori di quella stagione perché la pressione interna a cui è sottoposta la classe di governo tedesca non può far pagare all’Europa il costo di una nuova stupidità che vincoli Paesi, magari anche più indebitati, ma con economie più resilienti, a una nuova gabbia rigorista che non esprime la necessaria esigenza di serietà di bilancio, ma la volontà solo politica di sventolare un nuovo trofeo davanti alla propria opinione pubblica interna.

Sono tutti consapevoli che la posizione tedesca è diventata improvvisamente durissima, ma non per questo va minimamente assecondata nell’interesse comune. A partire proprio da quello tedesco che traballa nella tradizionale credibilità di bilancio e si rifiuta di fare i conti con la recessione e la strutturalità della crisi della sua economia.

Mai come questa volta l’interesse italiano coincide con l’interesse europeo e il governo Meloni deve difenderlo facendo squadra con la Francia e gli alleati che contano affiancando all’azione politica il rigore giusto e possibile della finanza pubblica con la serietà che sta mostrando nel portare avanti il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr). L’obiettivo della nostra politica non può che essere una vera e propria riforma che metta al centro la crescita europea con nuovi investimenti europei comuni e un percorso di rientro finalmente credibile per i debiti nazionali con la necessaria flessibilità a fronte di quello sforzo di sviluppo comune che lo rende sostenibile.

Se si esce da questo circuito virtuoso non spariranno solo i Paesi più indebitati, ma sarà l’intera Europa ad andare a gambe all’aria. La caduta del suo peso politico sullo scacchiere mondiale è sotto gli occhi di chiunque voglia vedere la realtà, ma attenzione a non finire anche tutti in recessione. Il rischio è reale e la politica ottusa dei decimali può trasformarlo velocemente in una realtà. Se proprio non si riesce a farli ragionare, si proroghi in Europa la situazione attuale. Proprio come ha fatto la Germania con il suo freno costituzionale al debito.


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