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Quando c’è un cambio di equilibrio politico non si può privilegiare sempre chi ti è stato fedele nelle disgrazie. Bisogna almeno conciliare credenziali di competenza con quelle di fedeltà. Se non accade, c’è la guerra dei populismi tra grillini (Todde) e leghismo di Destra (prima Solinas, oggi Truzzu). Vince l’uno o l’altro, ma sempre di questo si tratta. Tra le atipicità della Sardegna c’è che a 24 ore dal voto non si sa con certezza chi ha vinto. Bisogna uscire dall’idea della corrida anche dentro le coalizioni per passare alla politica come costruzione del futuro. La Destra parli di più al Sud e la Sinistra faccia il suo per sostenere insieme un’economia ripartita.

Come sempre il risultato delle elezioni regionali sarde esprime un dato molto atipico. Non solo perché la metà degli elettori non è andata a votare, qui anzi si fa anche meglio delle previsioni, ma proprio perché quando si va alle urne in una regione a statuto speciale sulla scelta pesa più che altrove la qualità degli amministratori che si contendono il governo regionale. Tra le atipicità c’è anche che non bastano 24 ore per sapere chi ha vinto. In questa nebbia di scrutinio eterno del voto, il dato più eclatante sembrerebbe arrivare da Cagliari, dove chi guida oggi il centrodestra, Truzzu, è il sindaco uscente e viene sconfitto dalla Todde. Se sei stato sindaco fino a un giorno prima e a casa tua prevale la concorrente grillina Todde significa che non sei proprio un bel candidato. Diciamo che la destra si è trovata a dovere scegliere tra un presidente della Regione Sardegna Solinas che non ha ben funzionato e un sindaco di Cagliari che ha funzionato poco.

La verità complessiva di cui tenere conto è che, tranne alcune zone del Nord, penso soprattutto a Veneto e a Friuli Venezia Giulia, dove con Zaia e Fedriga la Lega esprime una classe dirigente di valore, in genere i personaggi prescelti sono più espressione di legami di fedeltà con il big nazionale di turno del partito di riferimento che di una ricerca che metta almeno sullo stesso piano credenziali di competenza e affinità personali. Questo principio nefasto va corretto anche perché se alle europee, andando su collegi territoriali vasti, è difficile avere soggetti trainanti, dovendosi affrontare un’altra serie di elezioni amministrative, una riflessione sui criteri di scelta dei candidati oggettivamente si impone.

Può anche essere che Soru abbia sottovalutato la forza elettorale della Todde e dei Cinque Stelle nelle aree più svantaggiate, serbatoio storico dei grillini ed è certamente vero che perfino De Gasperi fu accusato ai suoi tempi di avere voluto privilegiare chi era stato sempre con lui, è arrivato ugualmente il momento di prendere atto che quando c’è un cambio di equilibrio politico soprattutto se si opera in un contesto di grandi cambiamenti non si può continuare a privilegiare chi ti è stato fedele nelle disgrazie. O, per lo meno, come criterio di scelta non può bastare solo quello della fedeltà. Se non accade questo, se non si riesce a fare un cambio culturale prima ancora che politico, si arriva inevitabilmente alla guerra dei populismi. Prima ne vince uno, poi ne vince un altro, ma sempre di questo si tratta. Il problema fondamentale è che bisogna uscire dall’idea della corrida per passare a quella della politica come costruzione del futuro, non come corrida. Serve ovviamente una dialettica, anche accesissima, ma purché produca sintesi.

Se non produce sintesi, la dialettica è solo spettacolo e il Paese perde la grande occasione di sfruttare il momento d’oro della sua economia che tutti ignorano. I dati dell’occupazione italiana sono ai massimi da quando sono rilevati, ma non lo dice nessuno. Bisogna lavorare sulle leadership e sui messaggi da dare a chi sta più indietro. Che sono, poi, i cittadini elettori del Mezzogiorno e delle aree interne del Nord. Questa esigenza, a nostro avviso, si impone, soprattutto per la Destra. È giusto avere cambiato il reddito di cittadinanza, ma bisogna anche spiegare tutto quello che si sta facendo per creare sviluppo e lavoro vero. Cosa che, peraltro, sta in parte già accadendo. Bisogna evitare che il Mezzogiorno e le isole diventino per la Meloni ciò che fu il referendum costituzionale per Renzi.

Un messaggio importante non capito e, quindi, alla fine neppure attuato. Che è il danno peggiore del Paese. Nel caso, poi, più specifico della Sardegna è bene ricordare che molti sottovalutano che è una regione a statuto speciale dove un governo più o meno efficiente è molto più importante che altrove. Perché gestisce un sacco di soldi e quattro anni di cattivo governo pesano, eccome se pesano. Il problema della Destra è che al posto di sostituire chi aveva fatto poco e male con il meglio assoluto in termini di competenze potenziali e di credito elettorale potenziale, si è scelto chi era più amico da sempre della Meloni che pur non avendo fatto male non aveva neppure fatto così bene da sindaco di Cagliari e, quindi, non esprime al massimo quelle potenzialità di competenza e di credito in una competizione per la guida della Regione. D’altronde, anche se mancano i dati finali, lo stesso risultato di Soru ci dice che la gente non ha fiducia che sia possibile fare un’operazione di rottura al centro anche con persone conosciute e stimate. Alla fine vince sempre il populismo. Se il populismo di destra non soddisfa, si punta sul populismo di sinistra. O viceversa. Oppure, come sta accadendo in Sardegna, si lotta sui decimali.


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