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La vittoria della Todde nell’isola sarda non è un segnale politico, ma il risultato di un gioco d’azzardo. Che oggi va in un modo e la prossima volta in modo diverso. Bisogna, però, che la Meloni si ricordi che spreca il suo credito internazionale se non apre ai migliori come fece De Gasperi o se si mangia gli alleati. La sua partita è doppia. Si gioca nel Sud spiegando ciò che sta facendo e prestando ascolto a chi ha meno e si gioca in Europa esercitando il suo peso politico per onorare la sfida capitale di cui è portatore l’italiano più stimato nel mondo che si chiama Mario Draghi. Sulle riforme non si può continuare a dire sempre no e non sono ammesse ambiguità.

Sono state fatte due scommesse sulle elezioni in Sardegna. Come sempre succede con le scommesse si vince o si perde per un soffio. La Destra ha fatto la scommessa che bastava Giorgia Meloni, che lei da sola era in grado di fare il risultato anche se a correre ci metteva il suo cavallo. Questa scommessa è risultata sbagliata. La Sinistra ha fatto la scommessa che l’alleanza con i Cinque Stelle in Sardegna avrebbe pagato e ha scelto una candidata che ben rappresentava la sfida in quel territorio di provenienza grillina. Questa scommessa la Sinistra la ha vinta. Il punto che sfugge a molti osservatori è che ciò che viene dall’isola sarda non è un segnale politico, ma il risultato di un gioco d’azzardo. Che oggi va in un modo e che la prossima volta può andare in modo diverso.

Non esistono le cosiddette leggi delle ricorrenze, per le quali si è tambureggiato tutto il giorno ricordando che mai la maggioranza di un governo regionale in Sardegna è stata riconfermata nell’urna. Però è ovvio che una giunta a guida leghista che ha fatto male non aveva una grande base di partenza tanto è vero che, al di là degli evidentissimi calcoli di potere all’interno della maggioranza, si è voluto sostituire a tutti i costi il candidato leghista, Solinas, con il sindaco di Cagliari di Fratelli d’Italia, Truzzu, compagno delle prime mosse in politica di Giorgia Meloni.

Ovviamente, avendo scelto di fare una scommessa, si è sorvolato sul fatto che anche il sindaco di Cagliari aveva fatto magari meno male di Solinas, ma aveva comunque fatto malino, come dimostra la sua posizione da fanalino di coda nelle classifiche del Sole24Ore sul gradimento dei cittadini. La scommessa, però, sa essere cieca. Perché è successo a molti capi di governo italiani, soprattutto a quelli che arrivano così in alto a un’età ancora giovanile grazie al valore politico e alle capacità di persuasione altrui che li contraddistinguono, di indulgere tra una lusinga e l’altra, più o meno finta, a un eccesso di convinzione nei propri mezzi. È umano, l’importante è capirlo e metterci rimedio subito. Aggiungendo a questa necessaria autocritica due considerazioni forti.

1) Riguarda una cosa che nessuno dice, ma che deve invece fare riflettere tutti. La metà dell’elettorato non ha votato e questo vuol dire che metà degli elettori si sono convinti che chiunque venga eletto è sempre la stessa solfa. Non è proprio una banalità.
2) La qualità delle classi dirigenti da mettere in campo mai e poi mai può essere misurata solo sul criterio della fedeltà. Se la Meloni vuole consolidare il credito internazionale che indubbiamente ha guadagnato in questo anno e mezzo di governo, deve fare reclutamenti a 360 gradi. Chi ha tirato la carretta fino a oggi ovviamente non va escluso e ovviamente ogni volta che è possibile va valorizzato, ma è altresì obbligatorio aprirsi a un patrimonio più diffuso di competenze senza le quali non si va da nessuna parte. Non si accontenti Giorgia Meloni di quello che ha e condivida il più possibile decisioni e scelte sulle persone perché le aspettative politiche in Europa su di lei sono molto elevate a dispetto di quello che si dice in Italia soprattutto da parte degli investitori globali.

Per quanto riguarda, poi, il cosiddetto campo largo, o giusto come dice Conte che segna una indubbia vittoria, è opportuno constatare che i voti raccolti dai Cinque Stelle come partito sono meno di quelli raccolti da Soru che appartiene alla storia del Pd anche se avrà pescato di certo nell’elettorato sardista. Realizzare un disegno inclusivo anche da questa parte del lato, ai nostri occhi, vuol dire includere il più possibile. Altrimenti il Pd potrebbe scoprire di avere fatto un accordo con un serpente che è una cosa ben diversa dal fare un’alleanza con chi ti permette di individuare anche una leadership comune esterna. Come può essere, ad esempio, quella dello stesso Conte, ma a patto che il processo avvenga alla luce del sole e sulla base di un cammino condiviso.

Tornando al governo e alla Meloni, ci permettiamo di ricordare che De Gasperi ha voluto governi di coalizione anche quando la Democrazia Cristiana poteva fare da sola perché perseguiva un disegno di inclusione e coesione. Non si fa molta strada se si mangiano gli alleati. La cosa che deve assolutamente fare oggi la Meloni è evitare di dare anche la sensazione di volere governare da sola, di volere imporre tutto a tutti. In Sardegna ha voluto scommettere da sola e ha perso, qualche alleato ha parlato di superbia, di ostinazione per una posizione dominante, qualche altro è stato umiliato. Ovviamente questi giudizi vengono espressi in privato, non in pubblico.

Bisogna che la Meloni comprenda fino in fondo che la sua partita più importante è doppia e si gioca, da un lato, nel Mezzogiorno spiegando ciò che si sta facendo e prestando fisicamente ascolto a chi ha meno e, dall’altro, in Europa esercitando il suo peso politico per onorare la sfida capitale di cui si sta facendo portatore l’italiano più stimato nel mondo che si chiama Mario Draghi. Ha avuto nelle sue mani il governo della moneta quando tutti o almeno molti scommettevano sulla disintegrazione dell’euro e lui è invece passato alla storia salvando la moneta europea e evitando i default sovrani di Italia e Spagna.

Oggi Draghi, che è il nuovo Delors, non sa più come fare per spingere l’Europa a capire che non si può dire sempre di no alle riforme e che non c’è più tempo da perdere per una difesa, un bilancio, una politica estera comuni. Il governo italiano e chi lo guida, Giorgia Meloni, facciano sentire forte e chiaro la loro voce a suo sostegno e costruiscano con il Piano Mattei europeo partendo dal nostro Mezzogiorno. Le due facce, appunto, della stessa medaglia. Se saprà conquistarla la Meloni durerà a lungo e segnerà pagine di storia altrimenti finirà presto ricalcando la parabola di altrettante esperienze passate.


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