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Ursula von Der Layen

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Siamo all’Europa della von der Leyen che gioca la sua partita sul valore politico dell’inizio delle negoziazioni per l’ingresso dell’Ucraina, ma è una partita tutta politica che riguarda la sua riconferma alla presidenza della Commissione europea. Una partita personale che nasconde la partita vera della nuova Europa che era iniziata, ma si è fermata. Una partita che ha bisogno di un nuovo Delors e di uno spirito politico nuovo che parta dai Paesi Fondatori e sia contagioso. Purtroppo, la debolezza della leadership politica tedesca e la crisi strutturale della sua economia non aiutano a uscire dalla miopia dei sovranismi.

Non vogliamo diminuire la portata storica dell’apertura del processo di integrazione dell’Ucraina nella Unione Europea deciso ieri con l’uscita dalla stanza del Consiglio di Viktor Orbán che è in tutto e per tutto nelle mani di Putin e guida con metodi autocratici un’Ungheria che continua a battere e ottenere cassa dall’Europa non riconoscendosi minimamente nel rapporto euroatlantico.

È, però, un dato di fatto che la stessa storica Europa non è riuscita a decidere un finanziamento di 50 miliardi per spese militari a sostegno dell’Ucraina per difendersi dall’offensiva sempre più feroce del nuovo zar moscovita. Il Financial Times fa una sintesi efficace: iniziate pure il negoziato tanto quelli non finiscono mai, ma intanto di soldi all’Ucraina non ne date per il veto di Orbán. Poi a gennaio si studierà un veicolo finanziario, si faranno un po’ di capriole e magari i soldi usciranno, ma per adesso decide Orbán che batte ancora più cassa e ora vuole il doppio di quello che ha già avuto. La sostanza è che un’Europa che non può dare 50 miliardi all’Ucraina con 26 Paesi su 27 che vogliono farlo è un’Europa che non esiste. Questa è la sostanza, il resto è musica.

Per la verità, c’è anche molto di più. Perché non si è potuto decidere sulla revisione del bilancio europeo che andrebbe rimpolpato di alcune decine di miliardi. Per cui non ci sono le risorse aggiuntive di 10 miliardi per affrontare il problema cruciale dell’emigrazione e non scattano una serie di fondi a sostegno delle imprese che sono cruciali in questa fase di rallentamento globale e di politica di bilancio espansiva degli Stati Uniti e commercialmente aggressiva della Cina nonostante le debolezze interne. Questa volta poi le cose sono messe ancora peggio perché non si decide non solo perché c’è il veto di Orbán ma anche perché una serie di Paesi come Svezia, Finlandia, Olanda, e dietro di loro la Germania, non sono d’accordo. Morale: si rinvia tutto a un nuovo vertice straordinario a fine gennaio.

Sul nuovo patto europeo che è quello tedesco si continua a lavorare sul sentiero di riduzione del deficit e su una griglia di vincoli a debito e investimenti invece di spostare l’asse strategico dalla stabilità delle singole nazioni alla crescita comune europea per rendere davvero stabili le grandi economie dei singoli Paesi e fare dell’Europa finalmente un player globale rispettato e potente capace non solo di conquistare separatamente quote di commercio ma di contare nella nuova governance del nuovo ordine mondiale.

Siamo ancora all’Europa con una guida, quella della von der Leyen, che gioca la sua partita sul valore politico dell’inizio delle negoziazioni per l’ingresso di Ucraina e Moldavia, ma è una partita tutta politica che riguarda la sua riconferma alla presidenza della Commissione europea. Una partita troppo personale che nasconde la partita vera della nuova Europa che era iniziata, ma si è fermata. Una partita che ha bisogno di un nuovo Delors e, soprattutto, di uno spirito politico nuovo che parta dai Paesi Fondatori e sia il più contagioso possibile. Purtroppo, la debolezza della leadership politica tedesca e la crisi strutturale della sua economia non aiutano a uscire dalla miopia dei sovranismi.


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