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Mario Draghi

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L’Italia ha bisogno di un nuovo governo De Gasperi di unità nazionale e ha la fortuna di avere il nuovo De Gasperi, si chiama Mario Draghi. Abbiamo bisogno di un nuovo “esecutivo De Gasperi” presieduto da Draghi che scelga liberamente le persone capaci di cui si fida per fare la ricostruzione nazionale. Salvini, Forza Italia, pezzi larghi del Pd e del variegato mondo dei Cinque stelle, Italia viva, lo hanno capito, altri no e continuano inutili battaglie di retroguardia, privandosi del dividendo politico della nuova credibilità e della ricostruzione. Peccato!

Il Paese ha bisogno di un governo che sappia guardare al Paese nella sua interezza. Ha bisogno di un nuovo governo De Gasperi di unità nazionale e ha la fortuna di avere il nuovo De Gasperi. Questo è il punto di sostanza, il resto è contorno. A volte buono, a volte avariato. Come questo giornale scrive in assoluta solitudine da tempi non sospetti il nuovo De Gasperi si chiama Mario Draghi. Perché il primo insieme a due uomini di confine come lui, Adenauer e Schuman, fece l’Europa e il secondo salvò con tre parole entrate nella storia (whatever it takes) l’Europa dei fondatori e la sua moneta. È stato il banchiere centrale europeo più americano della storia che ha fatto la mossa politicamente giusta nel momento giusto, senza uscire dal perimetro dei suoi poteri. Un capolavoro assoluto che ha fatto dire a Larry Summers, stimato ex ministro dell’economia americano, che il nostro è il più importante banchiere centrale del mondo degli ultimi trentacinque anni.

Questo è Draghi: la sua intelligenza politica, che è la capacità di fare le cose, rappresenta il bene comune sul quale il custode integerrimo della credibilità del Paese, che è Sergio Mattarella, ha investito per giocare la carta estrema della ricostruzione del Paese. Questi sono i punti veri e questi sono i miracoli della politica con la P maiuscola.

Sentire il Capo della Lega, Salvini, sillabare il suo appoggio incondizionato a Draghi perché mette al centro lo sviluppo e i cantieri e scandire insieme “Tav e Ponte sullo Stretto”, “porto di Trieste e porto di Gioia Tauro”, necessita ovviamente di qualche prudenza perché è un po’ come una donnina allegra che annuncia il suo voto di castità, ma indubbiamente apre il cuore alla speranza. Ci riserviamo di vedere che cosa succederà dopo, vigileremo ma segnaliamo che qualcosa di importante è successo. Ricordate le contorsioni intorno al Ponte sullo Stretto della sinistra e anche dei suoi uomini in prima fila per il Mezzogiorno?

Chiariamoci subito. Questo è il governo della ricostruzione nazionale. O è così o non lo è. Come dice e scrive da tempo sul nostro giornale un uomo della bassa ferrarese che ha intelligenza tecnica e lungimiranza politica, qual è Patrizio Bianchi, un piano per la scuola contro la povertà educativa che non parta dal Sud semplicemente non esiste. O è così o è la storia di un altro pezzo del Paese. Perché De Gasperi nato come cittadino dell’impero asburgico, Saraceno e Vanoni uomini della Valtellina, il ligure-piemontese Pastore, tutta gente di valore del profondo Nord, si sono fatti così carico del problema del Mezzogiorno in una stagione che tutti ricordano? Non fu Enrico Mattei, capo delle brigate bianche del comitato di liberazione di Milano, a ripartire con l’Agip dalla Lombardia e dalla Basilicata? Non furono De Gasperi e Togliatti a dire insieme che Matera era la vergogna d’Italia e bisognava bonificare tutto di quella città dei sassi che è diventata molto dopo la capitale europea della cultura?

Abbiamo bisogno di questo spirito del Paese intero tutto insieme e di un nuovo “esecutivo De Gasperi” presieduto da Draghi che scelga liberamente le persone capaci di cui si fida per fare la ricostruzione nazionale e consentire alla politica di esprimere al massimo la sua corresponsabilità comune attraverso le cose che avvengono. Il Paese e la politica hanno bisogno di ritrovare insieme la strada della competenza. Salvini, Forza Italia, pezzi larghi del Pd e del variegato mondo dei Cinque stelle, Italia viva, lo hanno capito altri no e continuano inutili battaglie di retroguardia, privandosi del dividendo politico della nuova credibilità e della ricostruzione. Scelgono (sbagliando) di non essere tra quelli che cambiano il Paese o almeno ci provano. Al posto di prendersi le loro responsabilità, continuano a chiedere che cosa butta per noi, qual è il nostro osso. Peccato!


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