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Il Pnrr nelle mani di un deputato

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Devono tutti uscire dal silenzio ipocrita di finta concordia e devono assumersi la responsabilità politica di fare la rivoluzione politica delle norme speciali per garantire che gli investimenti siano autorizzati in 60 giorni, non in trenta mesi come è oggi. Devono capire i partiti e i soggetti (in)attuatori, Regioni in primis, che anche se metto insieme il premio Nobel dell’ingegneria gestionale e il premio Nobel della spesa pubblica non cavo un ragno dal buco se non c’è la volontà politica loro di cambiare totalmente la governance degli investimenti. Di eliminare l’intreccio distorto delle autorizzazioni e delle verifiche di ogni ordine e tipo, e di fare la digitalizzazione della pubblica amministrazione centrale e territoriale adottando un metodo nuovo e ingaggiando uomini nuovi

Zingaretti era stato eletto segretario del Pd su un punto politico: mai alleati con i Cinque Stelle. È caduto perché il Pd non è riuscito a “fondersi” con i Cinque Stelle. È arrivato da Parigi Enrico Letta. Se Salvini scende nel sondaggio di Mentana dello 0,3% e la Meloni guadagna lo 0,1% gli scatta un “istinto animale” per recuperare quello 0,3% e tutti i suoi diranno che ha un “istinto animale” non per recuperare lo 0,3% ma perché capisce prima degli altri gli umori delle persone. Che cosa sono i Cinque Stelle? Alzi la mano chi è in grado di dare una risposta a questa domanda. Si aspetta Conte. Prima hanno fatto un governo sovranista con la Lega. Poi ne hanno fatto uno europeista con il Pd. Infine con piglio doroteo hanno fatto un governo di unità nazionale con tutti dentro e stanno sui coprifuoco con la Lega e sull’Europa con il Pd. Scissionisti a parte dichiarati o no.

Nel momento della massima leggerezza ideale dei partiti perché sono diventati comitati elettorali privi di sostanza ideale, questi stessi partiti si trovano a dovere affrontare la sfida più pesante dal Dopoguerra che è la Nuova Ricostruzione. Potremmo dire che siamo al massimo della americanizzazione dei partiti italiani liberati dalle ideologie del Vecchio Continente e sintonizzati come negli Stati Uniti sull’onda lunga dei loro valori e delle loro concretezze. Purtroppo non è così. Perché sono tutti sintonizzati, ognuno a modo proprio, sull’onda “lunga” quotidiana del talk quotidiano. Gli stessi problemi si ripropongono al cubo nelle gestioni camaleontiche dei venti staterelli chiamati Regioni con punte di straordinaria inefficienza al Nord come al Sud. Peraltro dentro un sistema istituzionale di fatto miope e iniquo come è il federalismo della irresponsabilità all’italiana che blocca all’origine la possibilità di fare investimenti pubblici.

Questi Capi delle Regioni sono a loro volta mal sopportati dai sindaci di Comuni piccoli e grandi che li accusano di elefantismo clientelare e di una straordinaria capacità di bloccare tutto sottraendo loro anche le risorse che da Roma sono indirizzate con finalizzazione diretta a favore dei Comuni. Siamo all’apoteosi della frammentazione decisionale che è in testa alle cause della caduta del prodotto interno lordo italiano che è cresciuto negli ultimi venti anni di 7,9 punti contro i 43,6 della Spagna e di una quota di investimenti pubblici pari a un decimo di quelli francesi e tedeschi abolendoli del tutto nel Mezzogiorno.

Nel giorno in cui il Recovery Plan italiano viene consegnato a Bruxelles i partiti devono uscire dal silenzio ipocrita di finta concordia e devono assumersi la responsabilità politica di fare la rivoluzione politica delle norme speciali per garantire che gli investimenti siano autorizzati in 60 giorni, non in trenta mesi come è oggi. Devono capire i partiti e i soggetti (in)attuatori, Regioni (più) e Comuni (meno) in primis, che anche se metto insieme il premio Nobel dell’ingegneria gestionale e il premio Nobel della spesa pubblica non cavo un ragno dal buco se non c’è la volontà politica loro di cambiare totalmente la governance degli investimenti. Di eliminare l’intreccio distorto delle autorizzazioni e delle verifiche di ogni ordine e tipo, e di fare la digitalizzazione della pubblica amministrazione centrale e territoriale adottando un metodo nuovo e ingaggiando uomini nuovi.

Vogliamo essere molto chiari. Il successo o l’insuccesso del Recovery Plan italiano non è un tema di sapienza tecnica ma di investitura politica. Bisogna uscire dal labirinto del non fare italiano e liberare il Mezzogiorno dalle catene di un regionalismo predone inefficiente (Nord) e di un altro regionalismo incapace di spendere e/o clientelare (Sud). Non conviene ai partiti e ai Capi delle Regioni il silenzio ipocrita sulle cose che contano per continuare i loro giochetti politici sul nulla perché in gioco c’è la casa comune con dentro la loro sala giochi. Perché il rischio è che venga giù tutto e che, a quel punto, gli italiani si rendano conto che la funzione di rispondere ai bisogni delle persone non è più dei partiti ma dei tecnici che fanno politica.

Tornino piuttosto tutti convintamente a fare politica e mettano testa e cuore nella realizzazione politico-esecutiva del Progetto Italia del nuovo De Gasperi, che è Mario Draghi, perché la Nuova Ricostruzione salvi l’Italia e aiuti l’Europa a accelerare sulla strada della politica fiscale espansiva e della solidarietà. Questo è l’unico dividendo possibile per loro e la migliore clausola di salvaguardia della coerenza meridionalista del Progetto Paese che ricompare sulla scena dopo quarant’anni di miope dissoluzione. Non ci saranno altre occasioni.


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