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Palazzo Chigi

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Il provvedimento sulle semplificazioni sarà una legge che verrà rinnovata anno dopo anno in ragione delle indicazioni di una cabina di regia che verifica chi o che cosa ha funzionato o non ha funzionato. Ci vuole una governance in mani sicure, libere dagli appetiti della politica che potrebbe fare solo pasticci e pregiudicare l’intero progetto con addio a fondo perduto e prestiti a tasso di favore. Non facciamo diventare i 248 miliardi del Progetto Italia (191 Pnrr, 56,5 tra Fondo complementare, extra e Fsc) un libro di sogni condannando il Paese al default sovrano. O si ha il coraggio politico di eliminare i colli burocratici, che sono i centri di potere, saltandoli tutti brutalmente o sarà la fine

La scelta strategica è che il provvedimento sulle semplificazioni non sarà una tantum. Sarà una legge che verrà rinnovata anno dopo anno in ragione delle indicazioni di una cabina di regia che verifica chi o che cosa ha funzionato e chi o che cosa non ha funzionato. Avremo le norme annuali sulle semplificazioni. La cosa decisiva, però, è un’altra. Sparisca anche tutto dalle 171 pagine del nuovo provvedimento tra testo e allegati atteso per mercoledì della prossima settimana meno la commissione unica con tutti dentro che tagli brutalmente da 30/36 mesi a massimo 2 i tempi della fase autorizzativa dell’investimento pubblico riguardi esso la banda larga digitale ultraveloce o la transizione ecologica o i cantieri dell’alta velocità ferroviaria.

Se non vogliamo che i 248 miliardi del Progetto Italia (191 Pnrr, 56,5 tra Fondo complementare, extra e Fsc) diventino un libro di sogni e condannino l’Italia al default sovrano e l’Europa della politica fiscale espansiva alla dissoluzione, bisogna che si faccia il contrario di quello che si è fatto negli ultimi venti anni e almeno questa parte di esecuzione del provvedimento da noi anticipata un mese fa non venga sbriciolata nelle solite ritualità italiane. Che sono espressione di logiche di potere ma hanno la controindicazione di bloccare tutto. Parere vincolante dei Beni culturali. Valutazione di impatto ambientale. Controllo di regolarità dell’Anac e verifica contabile della Corte dei conti. Osservazione dei ministeri e di Palazzo Chigi, coperture del Ministero dell’Economia e Finanza (Mef). Tutto deve avvenire prima insieme con il massimo di efficacia e di trasparenza. Non si tratta di usare le procedure commissariali del Ponte Morandi per fare le opere nei tempi prestabiliti ma di fare norme accelerate per la spesa pubblica che diventino ordinarie.

Si tratta di fare in modo che il Piano di procedure di velocizzazione si muova stabilmente su tutta la filiera dell’investimento pubblico coinvolgendo anche le Regioni, ma solo sul pezzetto che le riguarda dentro una gabbia chiara di regole e di comportamenti che vale per tutti e non ammette veti e controveti.

Il provvedimento con il quale l’Italia si gioca il suo futuro era nato come unico mettendo insieme semplificazioni e nuova governance del Progetto Italia (Pnrr e fondi equivalenti) ma ancora oggi non è chiaro se rimarrà unico contenendo in sé anche la nuova governance o se questa sarà scorporata in un altro provvedimento simile o sincronico.

Quello che a noi interessa su quest’ultimo punto è che la governance sia in mani sicure libere dagli appetiti della politica che potrebbe fare solo pasticci e pregiudicare l’intero progetto. Soprattutto ci farebbero perdere di sicuro fondo perduto e prestiti a tasso di favore.

Se vogliamo come vogliamo che si volti pagina, la titolarità della gestione deve rimanere in mano ai singoli ministeri, ma diventa insostituibile il ruolo chiave di Palazzo Chigi e della commissione unica che garantisce riunendo tutte le competenze interessate la fase attuativa nei tempi prestabiliti e i poteri di richiamo dello Stato per la stazione appaltante e l’appaltatore che non rispettano il calendario concordato.

Sotto ci sono il monitoraggio e la rendicontazione che la Ragioneria generale dello Stato dovrà fare all’Unione europea, ma sarà il singolo ministero a trattare con regioni e enti locali confrontandosi e aiutandoli nella esecuzione della parte definita e di quella da mettere in gara per “robette” che riguardano il dissesto idrogeologico, il digitale ultra veloce, ma anche asili nido e molto altro. Capite da soli che su questo terreno senza i poteri di intervento di sopra non si va da nessuna parte.

Insomma: o si ha il coraggio politico di eliminare i colli burocratici che sono i centri di potere saltandoli tutti brutalmente o non c’è speranza. O dentro la coalizione di governo c’è un comune sentire in questa direzione perché il Recovery Plan è più importante dei singoli centri di poteri burocratici e amministrativi che qualche partito pensa di controllare o sarà la fine. Perché se vogliamo trovare un equilibrio per tenerci vicini un po’ di amici il fallimento è assicurato. Le due cose non stanno insieme. Con tutti i decreti di semplificazione, almeno due all’anno, dal 2011 a oggi permane il problema alla base che è solo quello che ogni filtro di intermediazione autorizzativa è un centro di potere e l’infinita rete di questi centri di potere è incompatibile con i tempi, gli obiettivi e lo spirito del Recovery Plan.

Se permane la volontà di mantenere un clima di pace con le burocrazie dei ministeri e ancora di più delle Regioni, allora mettiamoci l’animo in pace che non ce la facciamo. Serve viceversa un indirizzo politico forte comune nel segno del governo di unità nazionale guidato da Draghi che rompa con le logiche di prima. A quel punto, le nuove tecnicalità vengono di seguito. Altrimenti, succede quello che è accaduto – è un esempio piccolo, banale ma efficace – con il decreto semplificazioni del governo Conte al comma cinque dell’articolo dieci del decreto 76 del 2020. Che dispone di escludere da tutte le norme di autorizzazione dei beni culturali le strutture amovibili in virtù dell’emergenza Covid. In pratica, si dispone che possono operare senza autorizzazione preventiva.

Dopo di che nel passaggio alle aule un parlamentare propone e tutti approvano che il provvedimento entri in vigore dopo l’adozione di un decreto attuativo. Che ovviamente non viene mai adottato. Così come restano bloccate le strutture amovibili. Questo vuol dire che i nemici della semplificazione hanno mille strade per fermare sempre tutto. Per cui o hai un grande engagement politico prioritario o non serve a nulla discutere della singola normetta, chiaro? E questo vale per il Sud come per il Nord. Perché l’unica riunificazione avvenuta finora in Italia è quella del non fare.


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