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Mario Draghi

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Il premier è un semplificatore naturale nelle modalità espositive e in quelle attuative. Ha la capacità di sfrondare il campo da tutte le variabili che ostacolano la soluzione del problema.  Nei ministeri e nei venti staterelli delle nostre Regioni vi è però una pletora di personaggi che hanno la capacità naturale di cercare tutte le variabili che creano ostacoli alla soluzione del problema. Prendiamo le schede progetto curate dal ministero dei Trasporti e delle infrastrutture per la edilizia residenziale pubblica che vale due miliardi di euro del Recovery Plan. Decreto ministeriale, decreto regioni e nuovo bando, e poi nuovi rinvii, nuovi andirivieni di decreti e di regolamenti. Il tempo rischia di allungarsi e di creare la solita battaglia italiana delle competenze di tutti contro tutti. Non è più possibile.

L’Italia della Nuova Ricostruzione del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi è in mezzo al guado tra complicatori e semplificatori. Il premier è un semplificatore naturale nelle modalità espositive e in quelle attuative.

Ha la capacità di sfrondare il campo da tutte le variabili che ostacolano la soluzione del problema. Nei ministeri della Repubblica italiana e nei venti staterelli delle nostre Regioni vi è una pletora di personaggi che hanno la capacità naturale di cercare tutte le variabili che creano ostacoli alla soluzione del problema.

Ricordate il telegramma con cui Draghi ha stroncato 48 e passa ore di dibattito pubblico mediatico tra seconda dose con eterologa o con AstraZeneca? Pochissime parole che hanno disinnescato le mine disseminate qua e là sul terreno italico della campagna di vaccinazione, ma anche le circolari del ministero della Salute che avevano fatto più di un pasticcio. Parliamoci chiaro. Dentro i ministeri italiani e negli esecutivi regionali c’è il coacervo di tutte le complicazioni più o meno pelose che hanno condannato il Paese a venti anni di crescita zero e hanno allargato il solco territoriale, di genere e generazionale delle due Italie. Procediamo con ordine.

Dietro il simbolo di Cinecittà, scelto per celebrare a Roma con la presidente della commissione europea Von der Leyen prodiga di apprezzamenti, ci sono la giornata “dell’orgoglio italiano” e “l’alba di una ripresa lunga e duratura” che vogliono rievocare i segni fisici del miracolo economico del Dopoguerra. Siamo davanti a un risultato importante del governo Draghi sul Piano nazionale di ripresa e di resilienza che ha i suoi tre pilastri nel corposo lavoro sulle semplificazioni, nella nuova governance e nel reclutamento di nuove competenze per la pubblica amministrazione.

Abbiamo parlato di Mario Draghi come del nuovo De Gasperi e lo ribadiamo oggi perché in quel “cambiare l’agire amministrativo senza il quale sarebbe un annuncio come gli altri” e in quello “spendere bene e con onestà, che se va in porto lo sforzo compiuto rimarrà strutturale”, ci sono l’umiltà e il pragmatismo dello statista trentino e si profila il segno della doppia sfida realizzatrice che Draghi mette in atto per cambiare l’Italia e, di conseguenza, avere buone chance per contribuire a cambiare l’Europa. Questo è il punto.

Come non vedere la coerenza meridionalista degasperiana in quel richiamo costante, mai concessorio, a colmare i divari territoriali e a favorire la coesione sociale? Come non capire l’urgenza di cambiare la macchina degli investimenti pubblici, la capacità di fare progetti, la testa e i comportamenti delle pubbliche amministrazioni a partire proprio dal Mezzogiorno? Siamo all’inizio della nuova storia, italiana e europea, ma si è fatto molto di più di quanto non era nemmeno immaginabile.

Detto questo, però, proprio per la stima granitica che nutriamo nei confronti del Presidente del Consiglio, abbiamo il dovere di avvisarlo che il combinato disposto delle teste naturalmente frenanti in particolare del ministero dei Trasporti e delle infrastrutture e gli interessi di cui sono portatori loro e i colleghi burocrati delle Regioni e dei loro numerosi sceriffi politici, rappresentano insieme una miscela esplosiva che può fare un bel falò di tutti i buoni propositi.

Prendiamo le schede progetto curate dal ministero dei Trasporti e delle infrastrutture per la edilizia residenziale pubblica che vale due miliardi di euro del Recovery Plan. È possibile, dopo tutto quello che questo governo ha detto e fatto, prevedere 12 fasi prima di arrivare alla erogazione delle risorse? La competenza è comunale, ma il meccanismo escogitato deve passare dalle Regioni. Domando: perché, perché? Decreto ministeriale, decreto regioni e nuovo bando, e poi nuovi rinvii, nuovi andirivieni di decreti e di regolamenti, ma è evidente che se non c’è chiarezza sulla divisione dei soggetti attuatori in base alle competenze il tempo rischia di allungarsi e di creare la solita battaglia italiana delle competenze di tutti contro tutti.  È mancato il coraggio di rompere questo meccanismo intricato ed è chiaro a tutti che oggi c’è la celebrazione della messa cantata, ma da domani tutto il Pnrr italiano deve giocare la sua partita scendendo in campo e facendo fuori tutti questi sbarramenti, smontando gli interessi e le complicazioni mentali che li determinano. La partita è tutta da giocare e bisogna fare goal ogni giorno. Servono:

1. La ricostruzione della pubblica amministrazione tenendo conto che i tempi della assunzione delle competenze tecniche necessarie sono stati accorciati per merito del ministro Brunetta ma non sono di un giorno e lo Stato continua a non essere attrattivo.

2. Sul decreto unico semplificazioni e nuova governance pesa l’incognita della approvazione in Parlamento e va verificata sul campo l’efficacia pronti a ogni genere di aggiustamento in tempo reale.

Le riforme di Brunetta sono francamente buone e tutte pienamente condivisibili, vanno sostenute con determinazione perché se non riusciamo ad attrarre i talenti di cui abbiamo bisogno il Pnrr non lo si fa. Bisogna volare e agire come hanno dimostrato i concorsoni Sud e Lazio. Questo limbo dura pochi mesi, non ne abbiamo a disposizione più di tre per recuperare venti anni di disastri, ma per  recuperare almeno la parte che serve a fare le cose bisogna che nel derby tra semplificatori e complicatori vincano i primi e questo è impossibile se sotto sotto funziona il vecchio tran tran italico  dei decreti,  dei regolamenti attuativi, dei bandi uno diverso dall’altro, delle carte bollate e delle responsabilità divise tra troppe persone in modo da essere magicamente di nessuno.

Devono capirlo una volta per tutte ai piani alti dei ministeri e delle Regioni che devono diventare degli imitatori dei semplificatori e i poteri di richiamo previsti della nuova governance andranno usati senza riguardi per nessuno. Altrimenti la messa cantata di oggi tra qualche mese diventa il funerale del Paese. A quel punto, tutti avranno capito chi ha vinto il derby tra semplificatori e complicatori ma la frittata sarà fatta.

Noi siamo certi che vinceranno i primi, non i secondi, ma per questo è bene che Draghi non li molli nemmeno un istante, che si formi intorno a lui una squadra che formerà a sua volta altre squadre e che tutte insieme cambieranno il Paese per l’oggi, per il domani e per il dopodomani. Alternative a questo circolo virtuoso non esistono. Compromessi e mediazioni con ministeri e Regioni sono assolutamente sconsigliati. Gli spagnoli hanno capito la lezione dell’euro. Si è visto come applaudivano chi lo ha salvato e, cioè, Mario Draghi, e si sa quello che hanno fatto per rendere efficiente la loro macchina degli investimenti pubblici. Noi abbiamo poca memoria e tendiamo a dimenticare. Questa volta non serve dire grazie, ma fare le cose. Ce la faremo, ha detto Draghi. Siamo bene avviati. Dobbiamo fare nostro lo spirito contagioso del fare della Nuova Ricostruzione. Dipende da noi.


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