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La ministra per il Sud Mara Carfagna, il sindaco di Sorrento Massimo Coppola, il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi e il premier Mario Draghi

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Ora servono gli investimenti pubblici e privati e serve la giusta collaborazione tra i primi e i secondi. Serve che, soprattutto, quelli privati siano favoriti e si autopromuovano e, soprattutto, si realizzino. Questo significa dimenticarsi il Sud di ieri e i luoghi comuni di troppo che lo hanno accompagnato e cominciare a costruire un Mezzogiorno diverso, protagonista delle nuove grandi sfide. Questa è la storica assunzione di responsabilità da onorare. Che riguarda la politica, ma anche tutti noi. Pubblico e privato. Amministrazione, produzione e turismo. Il grande mare e l’energia vecchia e nuova. Giovani e donne. Grandi aziende e piccoli talenti che crescono. Serve uno spirito di comunità per onorare quella assunzione di responsabilità. Che esige una qualità prima di ogni altra che è quella di crederci.

Questo giornale ha parlato di avanti Cristo e dopo Cristo per il Mezzogiorno d’Italia dal primo giorno del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi. Perché conosce le sensibilità, la visione e la linearità del tracciato mentale e operativo che ispira chi lo guida. Abbiamo parlato in tempi non sospetti di coerenza meridionalista degasperiana che è fatta di cose che si vedono e si toccano, non di lamentazioni fine a se stesse che diventano abito di vita rinunciatario o protestatario.

Questo giornale conduce in assoluta solitudine una battaglia culturale che spinga il Mezzogiorno a uscire da un rivendicazionismo sterile per scommettere in modo organizzato sul suo capitale umano e mettere a frutto la dote di risorse europee e nazionali che come mai prima dal Dopoguerra a oggi un governo della Repubblica ha destinato a questi territori in una logica organica di interventi pubblici e privati. Bisogna fare ancora molta strada sulle infrastrutture materiali e immateriali, ma l’industria privata del mare che è la grande industria del Mezzogiorno deve scommettere su se stessa come fino a ora non ha fatto.

Si deve vincere la sfida dei nuovi corridoi energetici e della green transition, ma gli imprenditori del turismo debbono moltiplicare il numero dei loro alberghi, pretendere la rigenerazione delle loro città e dei loro lungomari, scommettere sui flussi mondiali, non sulle loro rendite di posizione. Solo per fare qualche esempio. Da alcuni mesi insistiamo su un punto indiscutibile, nuovo: la storia dei nostri giorni, prima con la pandemia poi con la guerra di Putin in Ucraina, si è messa a combattere una sua personale guerra ed è riuscita perfino a vincerla per conto del Mezzogiorno d’Italia.

Primo. Perché la pandemia determina la nuova globalizzazione che impone la scelta di filiere produttive regionali su scala europea più integrate e fa crollare il mito di andare a investire dove costa meno per lasciare piuttosto spazio alla sicurezza degli approvvigionamenti e delle produzioni. Ci sono capitali in giro per il mondo usciti dai Paesi emergenti che cercano destinazione e quella del Mezzogiorno d’Italia è oggi in termini relativi la migliore destinazione possibile su piazza. È un pezzo vitale della strategia della nuova Europa che completa il suo cammino federale e si dota di una politica economica comune con player globali europei nei grandi deal mondiali che sono oggi appannaggio di Cina e Usa.

Secondo. Perché la guerra in Ucraina ha fatto emergere la pericolosità della nostra dipendenza energetica dal gas russo e attribuisce al Mezzogiorno d’Italia il ruolo assolutamente strategico di hub per la messa in sicurezza dell’intera Europa attraverso una serie di accordi mirati con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo e accelerando parallelamente la velocità degli investimenti in energie rinnovabili.

Anche qui sole, vento e mare depongono geograficamente a favore del nostro Mezzogiorno. Il grande rischio geopolitico diventa, quindi, un’opportunità storica per il nostro Paese che aveva, peraltro, già cercato di coglierla fino al disastroso 2011 della guerra franco-americana in Libia che ha visto, poi, Merkel e Sarkozy fare con Putin in Europa due gasdotti al Nord bloccando quello del Sud allora concepito e in via di realizzazione dallo stesso capo dell’Eni di oggi che è Claudio Descalzi.

Tutto questo ora grazie al nuovo corso della storia è di nuovo possibile a patto, però, ovviamente che si abbia la consapevolezza che le enormi potenzialità economiche si scontrano con la esigenza ineludibile di stabilizzare politicamente la Libia e, più in generale, l’Africa e il Medio Oriente. A patto che ci si renda conto che se non si sbloccano le esportazioni di grano dall’Ucraina si corre alla velocità della luce verso la più grande crisi alimentare della storia che, a sua volta, potrebbe generare una grande crisi umanitaria che si andrebbe a cumulare a quelle energetiche e economiche che attraversano il mondo. Obbligatorio fare scongiuri.

Nelle parole di Draghi a Sorrento e, soprattutto, nella sua azione diplomatica su larga scala si percepisce non solo la piena consapevolezza della gravità della situazione, ma anche la lucidità di quel disegno europeo di costruzione della Pace che deve vedere tutti seduti intorno allo stesso tavolo. America, Cina, Russia, ma anche la nuova Europa e un Mediterraneo allargato che come ricorda sempre opportunamente Minniti ha bisogno di avvertire la presenza di uomini di Stato che parlino non solo al mercato ma ai cuori dei popoli africani. Se non si vince questa grande sfida di civiltà che è fatta di tante cose vere che ne sono la trama più resistente potremmo essere di certo il ponte tra le sponde nord e sud del Mediterraneo, ma lo saremmo anche tra un nord del Mediterraneo che lotta per sopravvivere e un sud del Mediterraneo che si incendia.

Nella giornata di ieri di Sorrento (“Verso Sud: la strategia europea per una nuova stagione geopolitica, economica e socio-culturale del Mediterraneo”) si è sentito il peso politico e civile della solennità della presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che è il sigillo più alto per un cambiamento di passo nei confronti della grande opportunità europea e italiana che è diventata il nostro Mezzogiorno. Si è avuta dal premier in persona la percezione della volontà reale di immaginare e di costruire un “Sud diverso, protagonista delle grandi sfide dei nostri tempi”. Si è documentato il pigro pregiudizio che impedisce di vedere lunghe stagioni della storia di questo Paese dove la capacità di fare investimenti pubblici e privati ha consentito di migliorare in modo significativo il rapporto tra il prodotto interno lordo pro capite del Mezzogiorno e quello del Centro-Nord che è la prova più evidente che se si vuole per davvero le cose si possono fare.

Si è espressa in modo appassionata la forza combattiva di una donna del Mezzogiorno che fa la ministra del Mezzogiorno, Mara Carfagna, e dice, quasi grida, “dimenticatevi il Sud come è esistito fino a ieri…” Si avverte un segnale forte, ripetuto, di raccontare una storia (vera) di un Sud fatto di primati industriali (veri) e di un Sud che si rimette in moto nella sua capacità di fare investimenti pubblici e privati partendo dagli asili nido, dalle mense scolastiche e dalle palestre per arrivare alle università, alla ricerca, all’industria e al turismo, a partire dal suo grande mare dimenticato di opportunità di cui la quota di scambio tra Paesi del Sud è irrisoria, con un risveglio congiunto dell’iniziativa privata locale e di quella attratta dal mondo che operino insieme o disgiuntamente purché in una chiave competitiva globale.

Della giornata di ieri, al di là dei documenti tecnici del libro bianco di The European House-Ambrosetti che replicano ciò che questo giornale propone analiticamente ai suoi lettori da tempo e dai quali sarà bene cogliere tutte le informazioni di dettaglio a partire dalle buone pratiche interne e estere, resta un dato politico di fondo che è il più rilevante di tutti e che si è espresso in un passaggio-chiave della ministra Carfagna. Che è quello di una testimonianza di attenzione e di una “assunzione di responsabilità”, con le presenze di Mattarella e di Draghi, nei confronti di venti milioni di persone che hanno sentito per troppo tempo la Repubblica come distante perché li privava di diritti che sono stati restituiti e che ora invece sanno che è iniziata una nuova stagione grazie al Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) e a una precisa scelta di campo per affrontare i problemi e risolverli con una visione meridionalista concreta, operosa, non rivendicativa, non di una parte contro un’altra, ma come una questione nazionale che permette di costruire un paese che cresce in unità dove le diseguaglianze si riducono e lo stanziamento e i cantieri degli 82 miliardi del Pnrr sono un divenire fattuale che abolisce la vergogna civile della spesa storica e affronta a 360 gradi, utilizzando in modo cumulato i fondi di coesione, la grande questione di competitività ambientale del Paese in tutti i suoi fattori da Napoli a Bari e Taranto, fino a Reggio Calabria, da Palermo a Messina.

Questa assunzione di responsabilità è, credetemi, la cifra pesante della impegnativa giornata di ieri e dovrà passare sia attraverso le forche caudine di una rafforzata capacità amministrativa a partire dalla giustizia, assumendo e formando le competenze necessarie, sia puntando finalmente con serietà sui tanti talenti lasciati in modo opaco o vigliacco troppo spesso ai margini, a partire dai giovani e dalle donne, a partire dalle grandi università del Mezzogiorno. Prima di tutto ciò, servono gli investimenti pubblici e privati e serve la giusta collaborazione tra i primi e i secondi. Serve che, soprattutto, i secondi siano favoriti e si autopromuovano e, soprattutto, si realizzino. Questo significa dimenticarsi il Sud di ieri e i luoghi comuni di troppo che lo hanno accompagnato e cominciare a costruire un Mezzogiorno diverso, protagonista delle nuove grandi sfide. Questa è la storica assunzione di responsabilità da onorare. Che riguarda la politica, ma anche tutti noi. Pubblico e privato. Amministrazione e produzione. Il grande mare e l’energia vecchia e nuova. Giovani e donne. Grandi aziende e piccoli talenti che crescono. Serve uno spirito di comunità per onorare quella assunzione di responsabilità. Che esige una qualità prima di ogni altra che è quella di crederci.


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