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Bisogna prendere atto, per nostra fortuna, che l’eredità di Draghi e del suo governo di unità nazionale non è solo una crescita economica record che ha consentito di dare 52 miliardi di aiuti senza 1 euro di scostamento di bilancio, ma è anche quella di un processo riformatore compiuto il più possibile che costituisce una griglia il più possibile obbligata per chi verrà dopo. Questa è la doppia eredità di Draghi e la seconda è ancora più importante della prima. Perché il processo riformatore è quello che forma e influenza il modo di fare della politica italiana e inevitabilmente sarà un’influenza di lungo termine. Questa è la differenza qualitativamente più rilevante rispetto ai tempi ordinari. Solo così si archiviano i fallimenti del bipolarismo politico della lunga stagnazione italiana e del nuovo populismo

C’E’ UN passaggio della conferenza stampa di Draghi di giovedì che dà la misura esatta della cifra da statista che gli appartiene, ma delinea allo stesso tempo il perimetro della sua eredità politica che non è stato ancora colto a pieno. Ne rivela un aspetto, il processo riformatore compiuto, che è quello decisivo, perché inevitabilmente inciderà sul futuro del nostro Paese, ma quasi sempre dimenticato nei resoconti quotidiani, quanto meno trascurato per il valore potenziale che esprime.

Il Presidente del Consiglio ha detto che il suo obiettivo “è arrivare a dare al governo successivo il conseguimento di tutti gli obiettivi di quest’anno” del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr). Vuole chiudere consegnando tutti i target del secondo semestre già raggiunti. Così come il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha detto che lascerà gli obiettivi da conseguire in sede di programmazione economica che sono ovviamente rimessi alle scelte politiche di governo dei successori ma che è giusto che rimangano inalterati.

Attenzione, questo è un punto strategico: bisogna prendere atto, per nostra fortuna, che l’eredità di Draghi e del suo governo di unità nazionale non è solo una crescita economica record che ha consentito di dare 52 miliardi di aiuti senza 1 euro di scostamento di bilancio, ma è anche quella di un processo riformatore compiuto il più possibile che costituisce una griglia il più possibile obbligata per chi verrà dopo.  Questa è la doppia eredità di Draghi e la seconda è ancora più importante della prima. Perché il processo riformatore è quello che forma e influenza il modo di fare della  politica italiana e inevitabilmente sarà un’influenza di lungo termine. Questa è la differenza qualitativamente più rilevante rispetto ai tempi ordinari.

Diciamoci le cose come stanno. Abbiamo vissuto in tempi ordinari una lunga stagione politica in cui la Sinistra disfava ciò che aveva fatto la Destra e viceversa la Destra disfava ciò che aveva fatto la Sinistra.  Il primo anno di ogni legislatura era occupato da questo lavoro suicida che essenzialmente si proponeva di buttare giù tutto quello che era stato fatto nella legislatura precedente. Questo è stato il segno politico dei venticinque anni di bipolarismo della lunga stagnazione italiana.  Questa terribile abitudine politica è quella che non si potrà più ripetere all’inizio della prossima legislatura non solo perché, come si dice in modo riduttivo, bisogna attuare il Pnrr senza il quale perdiamo i fondi europei,  ma perché  c’è la doppia eredità di Draghi che verrà passata di mano con la campanella a Meloni, a Letta, a chicchessia, o come sarebbe meglio allo stesso Draghi.

Ricordatevelo oggi per allora: doppia eredità significa due anni di crescita record  per fronteggiare i nuvoloni mondiali in arrivo, ma ancora di più un processo riformatore compiuto che è un metodo per continuare su quella strada e attuarlo sfruttando la nuova governance – quella che ha permesso di rimuovere in tre giorni il blocco del TAR al cantiere della stazione ferroviaria di Bari dell’alta velocità – e esprimendo una nuova volontà politica che capitalizza la capacità di dare risposte in tempi strettissimi ai problemi che si hanno davanti. Dare continuità a questo processo riformatore compiuto non esprime una connotazione politica, ma sarebbe il segno che serve al Paese, alle istituzioni internazionali e agli investitori globali, per capire che è finita la stagione fallimentare del bipolarismo della lunga stagnazione italiana.

Questo avverrà solo se i partiti almeno   in parte saranno capaci di raccogliere tale eredità che non vuol dire affatto rinunciare a fare la loro politica, ma rinunciare a un’altalena  propagandistica che non ha prodotto un solo risultato  per scegliere di realizzare una politica e, quindi, di decidere.  D’altro  canto la strada percorsa fino all’arrivo di Draghi non ha prodotto né, da una parte, la riforma liberale sventolata a parole e contraddetta nei comportamenti né, dall’altra, la tutela dei ceti deboli e il nuovo welfare state che colmino insieme i divari e riducano le diseguaglianze. Tanto è vero che la stessa proposta sociale del reddito di cittadinanza, senza entrare qui nel merito in sé e nell’assenza di azioni finalizzate all’impiego oltre che di controlli, viene dai Cinque stelle che sono nati e esplosi in contrapposizione sia alla sinistra che alla destra. Questa esplosione fu allora figlia proprio di quella incapacità realizzativa  che è l’emblema del fallimento politico del bipolarismo della lunga stagione italiana della stagnazione. Adesso abbiamo la prova che un modello diverso esiste e può funzionare dopo avere sperimentato anche  l’ennesimo fallimento della risposta populista perché i problemi non si risolvono con i vaffa e, tanto meno, con improvvisazione e incompetenza.

La demagogia, abbiamo capito, fa molto male. La politica realizzativa di cui ha bisogno l’Italia ci dice che il raggiungimento dei 55 target del Pnrr nel secondo semestre dell’anno vale 19,1 miliardi, ma soprattutto ci dice che significa attuare le riforme della giustizia penale e civile e fare la riforma dell’innovazione nella scuola. La strada è tracciata e percorrerla nella pienezza realizzativa della nuova volontà politica significa sanare l’anomalia italiana davanti agli occhi del mondo e a vantaggio della nostra economia e della nostra comunità. Significa togliere i bastoni di fuori e di dentro dalle ruote e fare correre finalmente la macchina del Paese. Credetemi, questa è la vera eredità del governo Draghi e nessun politico avveduto può compiere l’errore mortale di non raccoglierla.


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