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Siamo diventati un Paese che mantiene gli impegni presi con i suoi cittadini e con i partner internazionali. Siamo un Paese credibile che ha dimostrato di essere unito davanti alle difficoltà e che ha tutte le potenzialità per continuare ad esserlo nelle scelte che contano. Siamo un Paese che ha dimostrato di fare le cose. Ieri al Meeting di Rimini abbiamo assistito al discorso di un grande politico che appartiene alla famiglia degli statisti e che fa sfigurare chiunque parli in campagna elettorale perché non ce n’è uno che ha il suo spessore. Chi lo ha ascoltato non potrà non chiedersi “ma dove lo troviamo un altro così?”. Dove lo troviamo un altro che si fa capire così, che parla con i risultati, che può citare le cose fatte, non declamate? L’Italia ce la può fare purché ovviamente si scelga la guida adatta. Che può essere Draghi o può essere un altro, ma deve essere la guida adatta

Non ha presentato al meeting di Rimini l’agenda Draghi, ma “l’agito” Draghi dentro un lungo, ininterrotto applauso. Soprattutto lo ha fatto con l’umiltà dei grandi servitori dello Stato che sanno dire grazie. A Mattarella, a tutto il Parlamento, alle forze sociali, alle donne e agli uomini di una comunità che ha capito e si è mobilitata. Allo spirito repubblicano della comunità di un grande Paese che ha accettato la sfida di mettere al centro il Sud, i giovani, le donne in un momento dove l’incrocio della storia espone a tutti i venti. Quelli della pandemia come quelli della guerra nel cuore dell’Europa. Un incrocio della storia dove crollano le sicurezze e aumentano le inquietudini, dove gli shock energetici di origine bellica e il quadro geopolitico terremotato dall’invasione russa dell’Ucraina rimettono tutto in discussione.

I nuvoloni dell’inflazione e le ombre della recessione fanno tremare le società del mondo dalle fondamenta, ma non hanno piegato l’Italia che ha fatto il suo meglio delle altre economie europee smentendo luoghi comuni e cliché stereotipati. È come se Draghi dicesse: guardate quante cose siamo stati capaci di fare, non quante cose io ho fatto, e questo vuol dire, rendetevene conto, che siamo diventati un Paese serio. Siamo diventati un Paese che mantiene gli impegni presi con i suoi cittadini e con i partner internazionali. Siamo un Paese credibile che ha dimostrato di essere unito davanti alle difficoltà e che ha tutte le potenzialità per continuare ad esserlo nelle scelte che contano.

Siamo un Paese che ha dimostrato di fare le cose. Abbiamo detto di vaccinarsi e di uscire in sicurezza dalla pandemia e lo abbiamo fatto prima e meglio degli altri con una grande adesione della comunità dei cittadini e abbiamo avuto i complimenti pubblici del cancelliere tedesco Scholz. Abbiamo deciso di riaprire le scuole perché la didattica in presenza è un valore, perché le distanze sociali vanno ridotte non aumentate, e lo abbiamo fatto. Non abbiamo detto a parole serve un’agenda sociale, ma la abbiamo fatta passo passo con l’assegno unico, dando l’aiuto a chi ha meno di 36 anni per avere il mutuo e comprare la casa, sostenendo il potere di acquisto delle famiglie e ancora di più quello di chi ha meno, tagliando l’Irpef, l’Iva, abbassando il cuneo fiscale. Abbiamo rispettato tutti gli obiettivi di riforma e di investimenti del Piano nazionale di ripresa e di resilienza europea, finanziato con debito comune che vuole dire che altri Paesi hanno tassato le foro famiglie per dare i soldi a noi, e lo faremo con il massimo dell’impegno fino all’ultimo giorno. Abbiamo diversificato alla velocità della luce gli approvvigionamenti della nostra politica energetica dimezzando in pochi mesi la dipendenza dalla Russia e predisponendo un piano che con due nuovi rigassificatori porterà nel 2004 alla piena indipendenza.

Non era affatto scontato uscire dalla grande crisi pandemica e inflazionistica con una crescita superiore a quella francese e tedesca facendo meglio di loro in termini relativi anche nella riduzione del rapporto debito/Pil. Soprattutto siamo tornati a creare nuova occupazione e a tempo indeterminato come non avveniva da decenni, praticamente dall’inizio della serie storica. Questi sono i risultati dello spirito repubblicano che ha animato questo esecutivo di unità nazionale e questo dimostra che i risultati arrivano quando si sta insieme per fare le cose che si possono fare insieme e si decide di smetterla di dividersi e di litigare.

Si è credibili se si dimostra di non essere quella vignetta negativa che ci era stata cucita addosso e che è l’esatto contrario della capacità di fare le cose. La credibilità internazionale significa sentirsi parte di una sovranità europea perché non è interesse nazionale l’isolazionismo e il protezionismo. Perché noi siamo un grande Paese che fa parte della rete dei grandi Paesi. Perché abbiamo dimostrato che siamo in grado di affrontare le emergenze di certo perché c’era un timoniere che sapeva tenere la rotta, ma soprattutto perché il Paese tutto dalla squadra di governo alla comunità economica e sociale ha raccolto la sfida e ha deciso di farla sua. Questo significa avere riconosciuto dal mondo lo stesso livello di credibilità degli altri grandi Paesi.

Questo nel caso di Draghi significa avere restituito all’Italia il ruolo di Paese Fondatore dell’Europa e di Paese guida della costruzione della nuova Europa riscrivendo le regole del bilancio europeo che non sono all’altezza delle sfide ciclopiche che la storia oggi pone. Nel pieno di un conflitto di civiltà tra mondo autocratico e mondo libero che porta a un nuovo ordine mondiale dentro il quale l’Europa gioca la partita della sua vita e con essa l’Italia se sarà capace di non mollare la prima fila conquistata. Quella che ha avuto Draghi nel sostenere lo status di candidato dell’Ucraina per l’ingresso nell’Unione europea e nella mobilitazione dei grandi Paesi trascinando a Kiev con sé Scholz e Macron superando titubanze e esitazioni tattiche. Nel coraggio di indicare la strada di un tetto massimo al prezzo del gas russo a livello europeo che i fatti di oggi con il calo delle forniture e l’aumento dei prezzi dimostrano che era ed è l’unica via percorribile e nella visione assoluta che ha avuto nel sostenere con forza la necessità urgente di staccare il meccanismo di definizione dei prezzi elettrici da quello del gas per evitare quei profitti indebiti che è stato giusto tassare.

Diciamocela tutta, ieri al meeting di Rimini abbiamo assistito al discorso di un grande politico che appartiene alla famiglia degli statisti e che fa sfigurare chiunque parli in campagna elettorale perché non ce n’è uno che ha il suo spessore. Chi lo ha ascoltato non potrà non chiedersi “ma dove lo troviamo un altro così?”. Dove lo troviamo un altro che si fa capire così, che parla con i risultati, che può citare le cose fatte, non declamate, almeno se non vogliamo essere ipocriti? Uno che sa come si fa perché c’è la stoffa che non è quella di un tecnico ma di un vero politico. La grandezza dello statista si vede quasi sempre nel discorso di addio che in realtà rimanda a un arrivederci. Il vero genio politico è quello di chi sa uscire di scena alla grande. Esce di scena e il pubblico lo applaude per dirgli torna o come si fa in teatro “concedici il bis”.

Vorremmo avvisare i naviganti della nostra politica che se si facesse il semipresidenzialismo e si presentasse Draghi non ce ne sarebbe per nessuno. Il discorso fondamentale che deve fare sempre un leader non è mai quello di dire questo Paese va a sbattere, ma l’esatto contrario e, cioè, che il suo Paese ce la può fare purché ovviamente si scelga la guida adatta. Che può essere Draghi o può essere un altro,madeve essere la guida adatta. Draghi ce l’ha fatta perché ha saputo svegliare il gigante che dorme che sono le forze che stanno nelle viscere di questo Paese. Il generale Figliuolo che ha messo ordine in una baraonda che ci avrebbe portato a sbattere non viene dalla Cina, ma dall’esercito italiano. È il figlio di un metodo che cerca in casa il migliore nella logistica, il migliore che c’è su piazza per fare quello che serve.

La stessa cosa è avvenuta e sempre più deve avvenire con l’attuazione del Pnrr perché non si può bucare una scadenza e non si può mancare un risultato. Bisogna sapere individuare le persone giuste e fare squadra, ma bisogna mettere tutto nelle condizioni di agire al meglio dandogli la copertura della credibilità di chi li mette in campo. Perché se chi opera non avverte alle spalle il senso di questa copertura non riesce a sua volta a imporsi su quelli che remano contro e che in Italia sono sempre tantissimi. È un po’ come il discorso sulle tasse che il governo Draghi ha ridotto senza annunci roboanti vergognosamente falsi, ma che si può fare senza dare spazio all’evasione. Perché è inutile fare le riforme fiscali se alla fine garantisci l’uscita di sicurezza ai furbastri. Ci puoi riuscire se diventa chiaro che spazio per i furbastri non ce ne è più. Abbiamo di fronte una situazione ostica che non consente soste e resta davvero difficile da capire perché tutti corrano per andarsi a prendere questo carico senza avere le spalle per reggerlo.

L’Europa ha bisogno di un’Italia forte come l’Italia ha bisogno di un’Europa forte. Sarebbe bello che la politica italiana esprimesse una continuità di leadership alla voce fatti, non a quella dei comizi. Questa è la vera grande sfida della politica e dei partiti di oggi. Se si rendono conto che non ce la fanno prima di avventurarsi è meglio che chiedano aiuto. Altrimenti dimostrino di sapere fare le cose e preservino quella coesione senza la quale non si va da nessuna parte. Perché se il Paese capisce che i ministri fanno gioco di squadra e che i partiti sono uniti viene dietro, altrimenti no. Ricordiamoci che oggi agli occhi del mondo siamo un Paese serio e dobbiamo rimanerlo. Costi quel che costi


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