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Roberto Calderoli

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Ci sono tutte le condizioni politiche per accompagnarlo alla porta o metterlo con urgenza sotto strettissima tutela della Presidenza del Consiglio. Calderoli fa il ministro della Repubblica o il lobbista degli interessi particolari dei ricchi? Conosce il quadro legislativo o pensa che la legge sia un accordo tra parti secondo le loro convenienze? C’è un problema istituzionale gigantesco perché una Regione non ha titolo per negoziare singolarmente con uno Stato perché vorrebbe dire che la Regione è, a sua volta, uno Stato. Anzi, vorrebbe dire che l’Italia è uno Stato federale che fa figli e figliastri per cui alcuni sarebbero Stati federati e altri magari anche Stati ma non federati e non federabili. Senza neppure prevedere una clausola di supremazia dello Stato centrale in questi negoziati “fuorilegge” che hanno il solo scopo di cristallizzare la situazione di vantaggio indebito a favore delle regioni più ricche stabilizzando che esistono nella scuola e nella sanità cittadini di serie A e cittadini di serie B. Ora Calderoli dice che la sua non è un bozza, ma un appunto

Roberto Calderoli non è degno di essere un ministro della Repubblica italiana. Fa il ministro della Repubblica o il lobbista degli interessi particolare dei ricchi? Conosce il quadro legislativo o pensa che la legge sia un accordo tra parti secondo le loro convenienze? Certe cose non si possono neanche pensare. L’idea che in questo Paese si può fare qualsiasi cosa non è più tollerabile.

L’idea che non ci sia un limite nel fare le leggi e che si possa mettere sotto forma giuridica qualunque cosa ci passi per la testa è fuori dalle regole del mondo civile e delle democrazie repubblicane, ma se a pensarla così è addirittura un ministro in carica della Repubblica ci sono tutte le condizioni politiche per accompagnarlo alla porta o metterlo con urgenza sotto strettissima tutela della Presidenza del Consiglio. Non ci venga a dire, per carità di patria, il ministro Calderoli che la sua bozza di disegno di legge (“Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”) con un elenco infinito di materie da attribuire alle Regioni e nove articoli di cui uno posticcio di finta perequazione, l’ottavo, aggiunto in extremis come foglia di fico, possa essere ridotta da lui stesso che la aveva curato nei minimi dettagli in pochi minuti al rango di un appunto.

Perché, a questo punto, non siamo più in un ambito governativo e nemmeno in quello di qualche malandata amministrazione territoriale, siamo addirittura al tavolino del gioco delle tre carte di Forcella, a Napoli, elevato al rango di sostituto della sovranità parlamentare e delle regole fondanti dello Stato italiano. Credo che ci siano davvero tutti gli elementi urgenti perché venga chiamato a rendere conto sul piano istituzionale della gravità dei suoi comportamenti che arrivano a sfiorare l’ipotesi di cambiamento di regime di un Paese.

Come ha mirabilmente spiegato su queste colonne Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, non si possono stipulare accordi tra Presidenti delle Regioni e Presidente del Consiglio esautorando di fatto il Parlamento come prevede il comma 3 dell’articolo 2 della “bozza” ridotta a “appunto” e anche quelli seguenti tra cui uno che dà un termine di 30 giorni al Parlamento per esprimere il suo parere chiarendo che se non arriva si procede uguale. C’è un problema istituzionale gigantesco semplicemente invalicabile perché una Regione non ha titolo per negoziare singolarmente con uno Stato perché vorrebbe dire che la Regione è a sua volta uno Stato. Anzi, per essere ancora più precisi, vorrebbe dire che l’Italia è già uno Stato federale che fa peraltro figli e figliastri per cui alcuni sarebbero Stati federati e altri magari anche Statimanon federati e non federabili. Senza peraltro neppure prevedere, in tutto l’articolato, una clausola di supremazia dello Stato centrale in questi negoziati “fuorilegge” che hanno il solo scopo di cristallizzare la situazione di vantaggio indebito a favore delle regioni più ricche.

Sì, diciamocela tutta, il vero significato di questa porcheria così maldestramente presentata è solo quella di stabilizzare finalmente, sempre di fatto, l’indebito vantaggio della spesa storica che fa cittadini di serie A e cittadini di serie B a seconda dei territori di residenza. Come questo giornale ha denunciato per anni in assoluta solitudine e come è stato consacrato nella sede sovrana del Parlamento, da una commissione di inchiesta nata propria dalle nostre denunce giornalistiche, ballano decine e decine di miliardi di spesa pubblica che vanno a favore di alcune Regioni rispetto ad altre. Per la scuola come per la sanità come per il trasporto pubblico locale nascere a Cosenza o a Reggio Emilia significa essere cittadini di due Paesi diversi data l’abnorme differenza di trasferimenti pubblici nazionali a favore della seconda rispetto alla prima grazie allo stratagemma della spesa storica blindato pro tempore proprio da Calderoli con la legge del federalismo fiscale del 2009.

Un blitz che appartiene alla storia più indegna di questo Paese perché, esattamente come si vuole ripetere in questa nuova bozza ridotta ad appunto, si disse allora “bisogna fare i livelli essenziali di prestazione per riequilibrare i trasferimenti, ma intanto si procede con il criterio della spesa storica” per cui negli anni i ricchi sono diventati sempre più ricchi e i poveri sono diventati sempre più poveri. Perché tutto è accaduto meno che si fissassero i livelli essenziali di prestazioni (Lep) o, meglio ancora, quelli di uniformità (Lup) tra i cittadini di un territorio o di un altro. Ma perché, vi chiederete, non si fanno i Lep e, tanto meno, i Lup? La risposta, l’avete già capito, è che servono decine e decine di miliardi pubblici che non ci sono perché a tanto ammonta l’indebito vantaggio per alcuni e la sperequazione per altri.

A meno che, come sarebbe giusto, non si proceda a un riequilibrio togliendo a chi riceve ingiustificatamente tantissimo di più e dando una parte di questo di più a chi riceve ingiustificatamente tantissimo di meno. L’unica eccezione è stata rappresentata proprio dal governo Draghi che almeno per una piccola quota di queste sperequazioni è intervenuto sia istituendo i livelli essenziali di prestazioni sociali (Leps) per gli asili nido e il welfare per gli anziani sia inserendo per la prima volta in una legge di stabilità il principio chiave della coesione sociale. Se si vuole chiudere tutto in fretta e tornare ai porcellum economici che sono peggiori di quelli elettorali come lo stesso Calderoli ha definito la sua riforma, si arriva addirittura a stimolare in modo sbagliato le peggiori pulsioni separatiste.

C’è il rischio di suscitare la volontà di una secessione dei poveri che sono in gran parte le regioni del Sud che si sentirebbero totalmente emarginate e potrebbero cominciare a pensare che sarebbe quasi meglio per loro essere un Paese autonomo che avrebbe peraltro il taglio medio dei Paesi europei. Saremmo proprio all’opposto di ciò che serve al Nord e al Sud dell’Italia nel pieno di un ciclo recessivo globale e di grandi tensioni inflazionistiche e finanziarie di origine bellica.

Ci restano da porre alcune domande: chi è che stabilisce che alcuni “Stati” regionali possono negoziare e altri non possono negoziare? Chi lo decide? C’è o non c’è un problema di partenza delle singole Regioni che dipende dalla presenza o meno di alcuni condizioni che non sono negoziabili? Esiste o no la differenza tra chi ha spazi di agibilità fiscale e chi non li ha anche perché i primi sono stati favoriti dal bilancio pubblico nazionale e i secondi no? Prima di qualunque tipo di discussione sull’autonomia differenziata che deve peraltro procedere, così è scritto nel programma di governo, parallelamente con l’eventuale riforma di tipo presidenziale e che ha nel Parlamento la sua principale sede di confronto e di decisione, bisogna risolvere sul piano costituzionale il problema della spesa storica e il suo carico di diseguaglianze tra Nord e Sud ma anche tra Nord e Nord.

Non si può continuare a pasticciare con la struttura dello Stato solo sulla base di ideologismi e/o interessi lobbistici, ci sono alcune cose fondanti che vanno preliminarmente salvate come è l’eguaglianza violata dei diritti di cittadinanza. Non crediamo che sia il ministro delegato la figura che può guidare un processo che entra dentro il nostro assetto costituzionale e potenzialmente lo stravolge. Questo ministro va messo subito sotto tutela e il pallino di un tema così vitale non può non essere nelle mani della Presidenza del Consiglio e nelle valutazioni sovrane del Parlamento. Scherzare con il fuoco oggi è impossibile.


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