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La riforma sulla autonomia differenziata tra Regioni a statuto ordinario, che la costituzione consente, si avvia su un terreno scivoloso: bisogna evitare forzature

L’autonomia differenziata tra le Regioni a statuto ordinario, che la costituzione consente, si avvia su un terreno scivoloso. Una bozza preliminare di disegno di legge che ne delinea la procedura, predisposto sotto la guida del Ministro Calderoli dal Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, presenta più di un punto sul quale è opportuna una riflessione, anche ad evitare criticità costituzionali e l’insidia che si producano nel tempo ulteriori conflitti, la cui numerosità ha sino ad ora impegnato in eccesso l’attività della Corte costituzionale.

AUTONOMIA DIFFERENZIATA, FORZATURE DA EVITARE

La costituzione prevede che una serie molto larga di materie di competenza esclusiva dello Stato o di competenza concorrente con le Regioni possa, è da ricordare non debba, essere attribuita anche alle Regioni a statuto ordinario che lo richiedano. Ciò può avvenire con legge dello Stato approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intese con le Regioni interessate. La formula costituzionale fa riferimento a “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” e riecheggia le “forme e condizioni particolari di autonomia” previste dalla stessa disposizione costituzionale per le cinque Regioni a statuto speciale.

Per quest’ultime la attribuzione é stabilita nei rispettivi statuti speciali, che sono adottati con legge costituzionale. Sembra difficile che una legge di rango inferiore possa condurre sostanzialmente l’autonomia differenziata nell’alveo delle Regioni a statuto speciale, per le quali la specialità é collegata alla insularità o alla presenza di minoranze linguistiche in zone di confine. Ciò avverrebbe mediante valutazioni parlamentari meno pervasive e procedure formali semplificate.

IL GOVERNO ASSUME FUNZIONI QUASI DECISORIE

Eppure, a prima lettura, sembra questo il percorso prefigurato dalla bozza di disegno di legge, che rafforza i poteri del Governo e indebolisce quelli del Parlamento. Il Governo assume una funzione quasi decisoria: tratta con la Regione interessata e approva la bozza preliminare di intesa, che trasmette alla Commissione parlamentare per le questioni regionali per un parere che non lo vincola in alcun modo. Il Governo può discostarsene anche radicalmente, trasmettendo alle Camere una relazione nella quale sono indicate le motivazioni di difformità dal parere. Dopodiché il Governo presenta il disegno di legge anche difforme dall’indirizzo parlamentare per la “mera approvazione” delle Camere.

Il “mera” sta a significare senza che possa essere ammessa la presentazione di emendamenti, ma è solo possibile, a giochi fatti, il rifiuto della approvazione, eventualmente temperata dall’invito al Governo di rinegoziare, con le evidenti implicazioni politiche.

La configurazione della procedura riecheggia quella seguita per regolare per legge i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose, sulla base di intese con le relative rappresentanze, come prevede l’art. 8 della costituzione. Ma in quella materia fino al consolidarsi di un indirizzo nei contenuti delle intese, il dibattito parlamentare è stato ampio, con atti di indirizzo nei confronti del Governo, di impulso o di battute di arresto nella stessa approvazione delle intese. Sino a parlare, all’origine, di parlamentarizzazione delle trattative.

FORZATURE SULL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA DA EVITARE: I PRINCIPI CARDINI

Il disegno di legge stabilisce, inoltre, una serie di termini molto stretti per i singoli atti della procedura, sino ai trenta giorni, si direbbe “concessi”, alla Commissione parlamentare per esprimere il proprio parere sulla bozza di intesa, quasi a limitare l’autonomia del Parlamento nel regolare le proprie procedure. Né si comprende se scaduto il termine, il Governo comunque possa procedere senza attendere il parere della Commissione parlamentare, che è l’unica sede nella quale ci può essere una effettiva discussione che indirizzi il Governo sui contenuti dell’intesa.

Due sole osservazioni, tra le altre che possono essere fatte. Nel disegno costituzionale l’autonomia differenziata si colloca in un quadro generale equilibrato, nel quale devono essere garantiti come diritti di cittadinanza, e in rispondenza al principio di eguaglianza, i medesimi livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Come pure, dal punto di vista finanziario, l’unità e la solidarietà nella comunità nazionale è promossa e assicurata da una equa ripartizione delle risorse e dallo sviluppo delle aree svantaggiate.

Questi due principi cardine, che pure la costituzione prevede, non sembrano rispettati, se l’attribuzione di nuove competenze alle Regioni ad autonomia differenziata può operare egualmente anche se lo Stato non ha determinato, entro dodici mesi, i livelli essenziali delle prestazioni garantite egualmente a tutti i cittadini, e se per la ripartizione delle risorse continua a valere per una indefinita transizione il criterio della spesa storica, che perpetua il vantaggio delle Regioni che hanno ricevuto e ricevono maggiori risorse per fronteggiare i servizi che vengono resi.

LA NECESSITÀ DI APPROFONDIMENTI NON SIGNIFICA ANTAGONISMO

Ad evitare fraintendimenti, affermare la necessità di approfondimenti e correzione di prospettive non costituisce una posizione antagonista rispetto al riconoscimento ed alla promozione delle autonomie, che la costituzione prevede tra i suoi principi fondamentali, ma un invito ad evitare forzature e non sbagliare il passo per costruire un sistema armonico nel Paese ed efficace nei suoi effetti.


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