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Un missile russo piomba sull’aeroporto di Ivano-Frannvkisk: è l’alba al confine tra l’Ucraina e la Romania. La Russia è lontana. I lavoratori che stanno raccogliendo le merci, specie alimentari, da consegnare, vedono e sentono l’esplosione. Donetsk e Luhans non sono da queste parti. Nessuno se lo aspettava fin laggiù, neppure l’intelligence degli Stati Uniti che annunciava un’ora dopo l’altra il suo “attenti al lupo”. Il lupo siberiano.

L’ALBA DI GUERRA

Colonne di macchine cariche di povere masserizie e povericristi lasciano Kiev, la città degli spettri; a Maidan, la piazza dell’indipendenza e di lontane rivolte, è il deserto; le strade che escono dalla capitale ucraina sono un inferno. I russi annunciano la conquista di un aeroporto, gli ucraini smentiscono: sparano mortai e tastiere. La disinformazione può più di una bomba. È una guerra di altro tipo. Ma è una guerra. Gli uomini di tutte le generazioni, baby boomer o ultime lettere dell’alfabeto, X, Y, Z, non l’avevano mai provata.

Pensavano, pensavamo, di stare uscendo da un’altra strana guerra, quella al virus che ha le sue quinte colonne nelle truppe dell’AntiVax, ed ecco che stiamo per cadere dentro una guerra fatta di bombardamenti e di hackeraggi.

Si combatte perfino a Chernobyl, da dove partì una nuvola di morte nucleare e le scorie ci sono ancora e chissà cosa può succedere. Gli apprendisti stregoni non se ne erano preoccupati, allora. E nemmeno se ne preoccupano oggi.

Qualcuno la chiama “rigurgito di guerra fredda”, ma in realtà è caldissima; non scalda però: brucia. Anche se tutti, all’ovest e all’est, corriamo il rischio di ritrovarci al freddo, al gelo e al buio.

Il ventunesimo secolo era pronosticato come quello delle guerre-spezzatino per l’acqua sempre più asciugata dalle mutazioni climatiche indotte: rischia di diventare il secolo della guerra per l’energia. È curioso come, dalla caduta del Muro di Berlino, lo spartiacque di due epoche, tutto sia mutato nel sentiment dei popoli e dei leader, di cartapesta o no.

I cingoli russi, che arrivarono a Budapest e a Praga (e «il modo ancor ci offende») erano supportati dal mondo della sinistra; Mosca era come il cliente: aveva sempre ragione; gli americani avevano la kappa, amerikani. La destra pensava il contrario: Washington era la sua Mecca.

Ora che Putin piace a destra e la Casa Bianca a sinistra, è tutto il contrario. Come si cambia, per non morire; o almeno per avere una cuccia calda. La gente qualunque, che poi è quella su cui ricade ogni prezzo, quelli che crescono esponenziali e svuotano il portafogli, e quelli ideali che colpiscono al cuore con i morti (già ce ne sono) e le macerie (già ce ne sono), la gente del quotidiano sta scendendo in piazza. Anche in Russia, dove non suonano le campane, ma i social che sono i campanili delle piazze d’oggi.

PARTE LA CONTA DEI MORTI

I governi promettono e minacciano, i soldati sparano, i Parlamenti si riuniscono, la gente muore. Il Papa prega e ammonisce. A Berlino faranno una catena umana che andrà dall’ambasciata di Mosca a quella di Kiev. A Pechino c’è chi osserva, probabilmente soddisfatto.

Quando lo zar è andato all’incontro con i cinesi nell’occasione dei Giochi Olimpici appena finiti, si è coperto le spalle e ha firmato un contratto trentennale per la fornitura di quel gas i cui rubinetti potrebbe chiudere all’Europa, brrrr che brividi! Putin dice che vuole “denazificare” l’Ucraina e allude a una certa accondiscendenza del Paese quando arrivò Hitler, ora che è lui a fare l’Hitler; Zelensky, ex comico e attuale presidente ucraino, non ride e non fa ridere più, se mai l’ha fatto. Si prepara un esodo massiccio, una nuova rotta di poveri migranti in cerca di una vita migliore.

Che ne farà l’Europa che di quelli che venivano dal Sud si è disinteressata? Sarà sempre valida la regola del “paese di prima accoglienza” che deve provvedere, che poi è quel che hanno dovuto fare l’Italia, la Spagna e la Grecia (e l’hanno fatto e lo stanno facendo)? Volano gli elicotteri che sembra “Apocalypse Now”, lo smartphone racconta il particolare, Biden parla come tutti i presidenti democratici che passano per pacifisti ma poi fanno le guerre, Putin non s’accontenta degli scampoli confinanti del Donbass ma vuole l’all-in, l’Ucraina intera (ma potrà restarci o farà la fine che hanno fatto tutti in Afghanistan?

Solo che Kabul è lontana, e Kiev è dietro l’angolo), la gente d’Ucraina o scappa o rischia di morire, le sanzioni devono essere selettive per non essere un boomerang, il campionato di calcio è sospeso e si sa quanto il calcio significhi. DellUcraina molti sanno qualcosa per via della Dinamo Kiev che fu del Colonnello Lobanovski e per lo Shaktar Donetsk di De Zerbi, avveniristico allenatore italiano. Ma rischiano di diventare familiari i nomi di Karkiv e Odessa, di Leopoli e Dniepropetrosk, di Krivjyi e Mariupol. I comandi militari già parlano di numeri di morti. Eppure non sono numeri: erano uomini, donne e bambini.


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