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Nuova tregua ad Azovstal, stavolta per consentire l’evacuazione dei militari ucraini feriti che ancora si trovano all’interno dell’impianto industriale di Mariupol, assediato da settimane dalle truppe russe.

«Il 16 maggio – si legge in una nota della Difesa russa – a seguito di negoziati con i rappresentanti del personale militare ucraino bloccato sul territorio dell’impianto metallurgico Azovstal a Mariupol, è stato raggiunto un accordo sulla rimozione dei feriti. Attualmente è stato introdotto un regime di silenzio nell’area dell’impianto ed è stato aperto un corridoio umanitario, attraverso il quale i militari ucraini feriti vengono consegnati a una struttura medica di Novoazovsk, nella Repubblica popolare di Donetsk, per fornire a tutti loro l’assistenza necessaria».

BATTAGLIA SENZA FINE

Operazione simile a quella che, negli scorsi giorni, ha consentito di mettere in salvo tutti i civili intrappolati nell’area industriale, trasferendoli in regioni meno interessate dal conflitto. Prima di annunciare l’intesa, Mosca aveva dato conto della presunta resa di nove militari di Kiev, usciti dall’hub siderurgico sventolando bandiera bianca. È poi arrivata la smentita del Comune di Mariupol, che ha definito la notizia «un falso». Nella città portuale, del resto, la confusione regna sovrana e le comunicazioni delle parti ai media si sono spesso rivelate imprecise, se non del tutto infondate. Un clima che, di certo, non agevola l’evacuazione dei feriti, così come non ha aiutato quella dei civili, andata avanti – tra mille difficoltà – per diversi giorni.

Fra Mariupol e Odessa – lungo quella che è diventata una vera e propria striscia di fuoco – si trova Mykolaiv, nona città dell’Ucraina per numero di abitanti, che ieri è stata oggetto di un attacco missilistico. I razzi russi hanno colpito, fra le altre cose, il quartiere residenziale di Ingulsky provocando un incendio in un negozio di mobili, un’auto bruciata e mandando in frantumi i vetri di alcuni edifici. Il bilancio, per il momento, parla di almeno un ferito.

ATTACCHI HACKER

Prosegue, nel frattempo, l’offensiva hacker. Ieri il collettivo russo Killnet ha annunciato il lancio di un attacco informatico globale contro Usa, Germania, Regno Unito, Italia, Lettonia, Romania,Lituania, Estonia, Polonia, Ucraina. Nel nostro Paese nel mirino dei pirati informatici è finito il sito della polizia, colpito nella notte fra domenica e ieri. Le funzionalità sono state in seguito ripristinate dai tecnici.

PUTIN: «ARMI BIOLOGICHE STATUNITENSI AI CONFINI»

Il tutto mentre proseguono le tensioni internazionali fra Nato e Russia, acuite dall’imminente adesione di Svezia e Finlandia all’Alleanza. Parlando in occasione del vertice dell’Organizzazione del trattato di sicurezza (Csto), Putin ha minacciato una «risposta» a fronte dell’ulteriore estensione del Patto atlantico, accusato di incoraggiare «il neonazismo» in Ucraina. Un Paese – ha aggiunto – che ha reso «eroi gli estremisti nazisti» (chiaro riferimento al battaglio Azov) non può essere considerato «un Paese civile».

Putin ha poi tirato in ballo direttamente gli Stati Uniti che, a detta sua, avrebbero «sviluppato armi biologiche» in prossimità dei confini degli Stati membri del Csto. Un’attività di cui «abbiamo raccolto prove durante l’operazione militare speciale in Ucraina».

I Paesi del Csto – oltre alla Russia sono Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan – a ottobre svolgeranno manovre militari congiunte. Ma l’intervento di Putin non sembra aver scaldato il cuore degli alleati, a parte Aleksandr Lukashenko che ha criticato gli altri partner del Csto per non aver dato il giusto sostegno a Mosca e Minsk nella guerra in Ucraina.

EMBARGO SUL PETROLIO

A Bruxelles, intanto, il ministro ucraino degli Esteri, Dmitro Kuleba, tornava a chiedere l’inserimento dell’embargo totale sul petrolio russo nel sesto pacchetto di sanzioni europee. E ribadiva la richiesta di avviare rapidamente l’iter per l’adesione di Kiev all’Unione. Intervistato da Bloomberg, Kuleba è poi tornato sui negoziati con Mosca, confermando il no a qualunque accordo sul cessate il fuoco che preveda concessioni territoriali alla Russia.

«Cercare opzioni che possano salvare la faccia a Putin è un approccio sbagliato. Facciamo in modo che sia Putin a cercare una opzione che gli salvi la faccia», ha affermato Kuleba, ribadendo che l’ambizione dell’Ucraina rimane quella di ripristinare la piena integrità territoriale del Paese, incluse quindi le regioni del Donbass in mano ai filorussi dal 2014 e la Crimea. «Vogliamo che tutto ciò che ci appartiene sia nostro», ha concluso.


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