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Vito Petrocelli

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La Russia tentò di condizionare il governo di Giuseppe Conte alleandosi con il M5S. L’obiettivo era far schierare l’Italia contro le sanzioni scattate dopo l’invasione della Crimea.

Lo prova un documento che fu controfirmato dal presidente della Commissione Esteri del Senato, Vito Petrocelli, e dal presidente del Comitato per gli Affari internazionali della Federazione dell’Assemblea Federale Russa, Konstantin Kosachev.

Un protocollo firmato a Mosca il 19 giugno del 2019, formato da sette articoli, nel quale le parti si promettevano «reciproca collaborazione». Alla missione parteciparono anche l’ex capogruppo al Senato, Gianluca Ferrara, membro della Commissione Esteri, e il senatore Enrico Aimi, esponente di Forza Italia, che al tempo era rappresentante dell’opposizione.

La notizia – completamente ignorata dai media italiani – fu invece ripresa da Sputnik-news, l’agenzia governativa russa che riportò anche il tweet di Petrocelli: «In partenza per Mosca con i colleghi Ferrara e Aimi, bilaterale con la Commissione esteri del Consiglio della Federazione russa e firma del protocollo di cooperazione».

Petrocelli, che ha votato contro le sanzioni che furono comminate dall’Unione europea e dal Parlamento italiano alla Russia, non ha mai fatto nulla per nascondere le sue simpatie in politica estera. All’epoca era vicinissimo all’attuale ministro degli Esteri. Luigi Di Maio. Ha sempre avuto un rapporto personale con Beppe Grillo. I suoi rapporti con la Cina, ha riferito lui stesso più volte, esulano dalle relazioni diplomatiche: «Sono personali».

IL PRIMO INCONTRO A NEW YORK

«L’idea di firmare un protocollo di cooperazione – dichiarò Petrocelli a Sputnik – è nata durante il nostro incontro con Kosachev lo scorso settembre a New York, in una sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Allora avevamo parlato dell’importanza di discutere insieme le questioni che sono di reciproco interesse per i nostri parlamentari».

Nel Protocollo si parla di una cooperazione a tutto campo. «Le parti – si legge infatti all’articolo 2 – si scambiano opinioni su questioni di reciproco interesse, in particolare su temi come la situazione internazionale, la cooperazione economica, la cooperazione nel settore della sicurezza e della lotta contro il terrorismo e il traffico internazionale di essere umani, in particolare in Europa e nel Medio Oriente, le sfide ambientali, la cultura e le migrazioni».

RIUNIONI STRATEGICHE AD ALTO LIVELLO

Il dialogo bilaterale prevedeva incontri periodici, «riunioni strategiche ad alto livello» tra le delegazioni. I russi avrebbero dovuto ricambiare la visita ma questo – secondo Gianluca Ferrara – non è avvenuto causa Covid. L’articolo 5 del documento prevedeva rapporti di partenariato con l’organizzazione di conferenze, seminari, colloqui, sessioni di lavoro, scambi di funzionari tra le parti «al fine di condividere esperienze professionali».

Non osiamo pensare ai “funzionari” che dall’intelligence russa sarebbero arrivati da noi in virtù di questa reciprocità. Fermo restando – e il dubbio francamente ci inquieta – che non sappiamo se questa clausola dell’accordo sia stata messa in pratica o no. È un dato di fatto, però, che il tema principale della comunicazione tra i membri della commissione e i colleghi del Consiglio della Federazione furono proprio le sanzioni. Ad ammetterlo fu lo stesso Petrocelli.

«Il nostro governo – disse all’agenzia governativa russa – deve trovare alleanze all’interno dell’Unione europea per superare le sanzioni. Siamo consapevoli di non poterlo fare da soli, quindi dobbiamo trovare dei modi, dobbiamo trovare alleati in questo campo, prima di tutto chi soffre del calo dello scambio commerciale con la Russia per revocare queste sanzioni».

Giuseppe Conte non poteva non sapere. Idem Beppe Grillo (che da 8 giorni, cioè dall’inizio della guerra in Ucraina, tace). La diplomazia russa si muoveva su due fronti. Da una parte il M5S, lusingato a Mosca, dall’altra la Lega. Le cene di Gianluca Savoini, ex presidente dell’Associazione Lombardia-Russia, al Metropol, le operazioni segnalate dalle unità antiriciclaggio della Guardia di finanza e i presunti legami con la sparizione dei 49 milioni di rimborsi elettorali. Un’operazione a tenaglia, quella dei funzionari e diplomatici russi, avviata nel 2019.

LA PROMESSA AI RUSSI: PREPAREREMO UNA RISOLUZIONE SPECIALE

Nel protocollo – va detto – non c’è nessun diretto riferimento diretto alle sanzioni. E del resto non avrebbe potuto esserci: qualsiasi posizione diversa da quella ufficiale del nostro governo sarebbe stata in aperto conflitto con le decisione dell’Unione europea. Ci saremmo collocati fuori.

Petrocelli, però, ai giornalisti russi lo disse espressamente. «Vogliamo lavorare proprio in questa direzione (togliere le sanzioni, ndr)». E dopo la visita promise: «Prepareremo una risoluzione speciale. In questo documento intendiamo proporre di trovare le alleanze necessarie all’interno dell’Unione europea per superare le sanzioni antirusse. È ciò che noi come Senato e come Parlamento intendiamo proporre al governo nazionale».

Sputnik in versione spagnola si spinse più avanti: arrivò a scrivere che l’Italia avrebbe incontrato gli alleati europei per sollecitare la cancellazione delle sanzioni antirusse che impediscono la cooperazione economica.

E aggiunse che questa era anche la posizione del primo ministro Giuseppe Conte: «Italia busca hacer todo para cancelar ese método cuanto antes, le sanciones no deben dañar a los ciudadanos».
Conte filorusso a sua insaputa, insomma.

IL PRESIDENTE SUPER PARTES

Ma dicevamo di Petrocelli, 58 anni, tarantino, un cuore che prima di consegnarsi a Grillo batteva a sinistra, contrario a inviare equipaggiamenti militari all’Ucraina. Un caso che ha creato molto imbarazzo tra i grillini e che probabilmente costringerà il senatore a lasciare la poltrona della Commissione di Palazzo Madama. La sua simpatia per i Paesi non allineati è stata minimizzata da Conte («Non avviamo una caccia alle streghe») e da altri colleghi pentastellati, molti dei quali assenti al momento della votazione della risoluzione unitaria sulla guerra ucraina approvata dal Senato il 1°marzo con 244 sì, 13 no e 3 astenuti. Malattie diplomatiche? Amici del Cremlino?

Ieri l’altro all’audizione congiunta con le commissioni Difesa di entrambi i rami del Parlamento il senatore pugliese non ha preso parte. Assente «per motivi familiari», è stata la motivazione ufficiale. L’unico che lo ha difeso è stato proprio Ferrara: «Vito è super partes, rimanga alla guida della Commissione». Meno conciliante Paola Taverna: «Petrocelli deve fare una profonda riflessione, sono ruoli che esulano da appartenenza alla componente politica, farà lui una riflessione».

CHI È KOSACHEV L’AMICO DI PUTIN

Di certo i rapporti con Mosca sono sempre stati molto cordiali. Prima interprete, poi segretario dell’ambasciata russa in Svezia, Kosachev intrattiene rapporti ad alto livello nelle maggiori capitali europee. Più volte premiato da Putin, è stato eletto nella Duma nel 1999, lo stesso anno in cui l’ex capo del Kgb si affacciava in politica . Quattro anni dopo era già presidente della commissione Affari internazionali, carica che ha ricoperto fino al 2011, anno in cui iniziò a occuparsi dell’Agenzia generale per gli Affari e soprattutto del Commonwealth degli Stati indipendenti.

Vice presidente del Consiglio della Federazione Russa, Konstantin Kosachev nella scala gerarchica della diplomazia russa è un uomo di primo piano. È a lui che Putin si è affidato quando nel gennaio scorso sono state represse le proteste nel Kazakistan. Scontri violenti che rischiavano di destabilizzare il governo del presidente kazako Qaym-Jomart Togaev. A scatenare gli scontri, motivazioni politiche e soprattutto il raddoppio del prezzo del gas.

Kosachev riunì l’Organizzazione delle «repubbliche amiche», Armenia, Bielorussia, Tagikistan e Kazakistan per preparare una «missione di pace», missione che si concluse con oltre duemila arresti e un numero imprecisato di feriti tra i manifestanti. Negli scontri furono uccisi 12 agenti delle forze dell’ordine e – secondo fonti locali – anche decine di assalitori che non furono identificati. Da qui l’accusa lanciata da Kosachev che a guidare la sollevazione a Taraz, “la città della vodka”, siano stati infiltrati stranieri, “terroristi” e “nazisti”. Le stesse motivazioni utilizzate 9 giorni fa per invadere l’Ucraina.


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