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L’ONDATA di calore che ha investito il Sud durante l’estate   – con punte termiche che hanno  sfiorato i 50 gradi – potrebbe diventare una costante dei prossimi anni, avvicinando climaticamente il nostro Mezzogiorno alle zone più calde della Terra. Lo studio “Climate” del programma studi Ue Espon – specializzato in analisi regionali – colloca infatti l’Italia meridionale, insieme a Spagna e Portogallo, a ovest, e Bulgaria, Romania e Polonia, a est, nella lista dei territori europei più vulnerabili ai cambiamenti climatici.

L’ANALISI

La ricerca prende le mosse dall’analisi dell’esposizione e della sensibilità al fenomeno  di ciascuna regione d’Europa. La sensibilità, dicono gli autori, dipende per  esempio dall’insieme delle caratteristiche fisiche, ambientali, sociali, culturali ed economiche di un territorio. Questi elementi contribuiscono a determinare l’impatto dei cambiamenti climatici su una regione, ma possono  essere contrastati dalle capacità di adattamento  sviluppata da ciascun territorio, ad esempio tramite la costruzione delle dighe. Il risultato di queste variabili, si spiega nello studio, è la vulnerabilità potenziale di un determinato territorio.

Si scopre così che  Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein sono considerate aree «a bassa o marginale vulnerabilità»,  in parte a causa della loro capacità di adattamento relativamente elevata. Regioni sviluppate come il Nord Italia, Francia, Austria, Belgio, Regno Unito e Paesi Bassi hanno invece una «vulnerabilità almeno media», come dimostrato anche dai recenti disastri causati da alluvioni e bombe d’acqua. In generale, spiegano i ricercatori, nelle  regioni metropolitane europee  l’impatto dei cambiamenti climatici tenderà a essere elevato a causa dell’alta concentrazione di popolazione, infrastrutture e beni culturali, oltre al fatto che spesso queste zone si trovano a ridosso di fiumi o lungo le coste.

Ma la loro  capacità di adattamento, generalmente superiore a quella di regioni non metropolitane, rende questi territori meno sensibili ai cambiamenti climatici. Con qualche eccezione: nell’indagine Espon si citano a questo proposito le città situate lungo le coste, sulle Alpi e nell’Europa sud-orientale. Più complesso il discorso sulle  aree rurali, con quelle dell’Europa centrale e settentrionale che presentano prospettive di variazioni basse, marginali e in qualche caso positive a causa di condizioni climatiche solo leggermente peggiorate o addirittura più favorevoli. 

Più colpite, al contrario, le aree agricole nell’Europa meridionale, a causa del clima più caldo e secco.

LE RICADUTE ECONOMICHE

Tra i territori più vulnerabili, i ricercatori annoverano anche le  regioni montuose, in particolare in Grecia e Spagna, le regioni alpine e le località costiere, specialmente quelle che si affacciano sul Mediterraneo e sul Mare del Nord. Le  aree scarsamente popolate del Nord Europa, infine, soffriranno principalmente a causa di maggiori precipitazioni e di problemi correlati come le esondazioni dei fiumi. Già a metà degli anni 2010 la vulnerabilità del Sud rispetto all’africanizzazione delle condizioni climatiche in Italia era emersa in una ricerca pubblicata su “Nature” dal ricercatore dell’Enea, Andrea Alessandri.

Lo studio evidenziava quanto il clima mediterraneo fosse sensibile alla salita delle temperature medie, in particolare nelle regioni meridionali del bacino, che comprendono anche il sud della Spagna, la Grecia e la Turchia. In quelle aree, spiegava lo studio, una progressiva diminuzione delle precipitazioni estive e invernali potrebbe portare all’inaridimento del suolo, con conseguenze negative su produzione agricola, approvvigionamento idrico e, quindi, sulle attività industriali dipendenti dalla disponibilità di acqua. Se ciò avvenisse ne risulterebbero compromesse l’economia e la qualità della vita, in particolare nelle aree con maggiore densità abitativa.

A ciò si aggiungono i dati contenuti nell’Atlante mondiale della desertificazione di cui si è discusso durante la “Conferenza internazionale sulle terre aride, i deserti e la desertificazione”, promossa nel 2020 dall’università israeliana di “Ben Gurion”.

LE AREE UE A RISCHIO

Attualmente nella Ue l’8% del territorio – riguardante 13 Stati Ue – è a rischio desertificazione. Fra le zone più esposte troviamo Spagna, Malta, Cipro, Sudest della Grecia, le regioni di Bulgaria e Romania affacciate sul Mar Nero e, per l’appunto, il nostro Mezzogiorno. In Italia, a livello generale, la frazione di superficie che corre il pericolo di essere interessata dal fenomeno è pari al 20%.

Secondo la Corte dei conti europea, poi, in Europa le aree meridionali, centrali e orientali a rischio elevato o molto elevato, dal 2008 al 2017 sono cresciute di 177mila km quadrati (il 10,6% del totale). Tale condizione di rischio  riguarda oggi circa 645mila km quadrati all’interno della Ue.


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