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Papa Francesco con la bandiera dell'Ucraina

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All’improvviso, sul finire dell’udienza generale di ieri, papa Francesco si è alzato in piedi, ha srotolato una bandiera ucraina, e l’ha dispiegata per farla vedere a tutti. “Me l’hanno portata ieri, viene dalla guerra. Proprio da quella città martoriata. Bucha”.

Tornando da Malta domenica sera, in aereo, gli avevano riferito di quanto di mostruoso stavano scoprendo in quella cittadina, e Bergoglio, preso alla sprovvista, quasi imbarazzato, si era limitato a poche battute: “Non lo sapevo, sempre la guerra è una crudeltà…”. Ieri, invece, ci è tornato su, con forza. Ha parlato di “massacro”, di “nuove atrocità”, di “crudeltà sempre più orrende compiute anche contro civili, donne e bambini inermi”.

Anche stavolta, però, non ha citato espressamente l’aggressore, il responsabile a cui far risalire un “massacro” che, per certi aspetti, ricorda quello di Katyn, sempre di matrice sovietica, ottant’anni fa. Quello di ieri è stato il ventesimo o ventunesimo intervento papale sulla guerra in Ucraina, ma il nome di Putin non è mai stato fatto. Facendo pensare, inevitabilmente, a qualcosa di voluto, di strategicamente premeditato. Come si percepisce del resto nell’articolo che apre l’ultimo numero della “Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti, e dove il direttore scrive sì di “invasione” dell’Ucraina, ma guardandosi bene dal dire chi sia l’invasore.

Non si riesce a capirne i motivi fino in fondo, ma dietro le mura leonine si avverte come uno stato di incertezza, di disorientamento. Tanto più che la Santa Sede, ogni giorno che passa, scopre di avere sempre meno strumenti in mano per tentare una mediazione che aiuti a risolvere la crisi ucraina. Incertezza, disorientamento, ma anche – come s’è visto clamorosamente ieri – una scarsa sintonia tra le uscite del Papa e l’azione della diplomazia vaticana.

Sempre all’udienza generale, parlando del suo recente viaggio a Malta, e della posizione che Malta ha nel Mediterraneo, quale crocevia tra popoli e culture, Francesco ha criticato la logica dominante nell’odierna geopolitica, e che è quella degli Stati più potenti per affermare i propri interessi. “E non solo da una parte, anche da altre”. Una allusione sibillina, ma con la quale il Papa voleva chiaramente dire come non fosse solo la Russia a portare avanti una politica di “colonizzazione”.

Ed ecco il colpo di scena. “Dopo la Seconda guerra mondiale si è tentato di porre le basi di una nuova storia di pace, ma purtroppo – non impariamo, eh? – è andata avanti la vecchia storia di grandi potenze concorrenti. E, nell’attuale guerra in Ucraina, assistiamo all’impotenza…”. Nel testo dato ai giornalisti con l’embargo (e, va detto per onestà, valido solo se pronunciato) si faceva riferimento all’impotenza delle “Organizzazioni internazionali”. Invece, nel discorso, il Papa ha parlato di impotenza della “Organizzazione delle Nazioni Unite”.

Ma perché questo cambiamento, rispetto alla formulazione, sempre critica ma decisamente più generica e più cauta, proposta (probabilmente) dalla Segreteria di Stato? Perché questo attacco diretto all’ONU?

È un fatto che Bergoglio sia deluso da quanto le Nazioni Unite non sono riuscite a compiere, nel rafforzamento di quel disegno di multilateralismo che avrebbe dovuto concretizzarsi in una rinnovata corresponsabilità mondiale, in una solidarietà fondata sulla giustizia, sulla pace, sull’unità della famiglia umana. Ma, per esprimere questa delusione, papa Francesco poteva benissimo denunciare apertamente i principali responsabili di questo fallimento, dunque, non solo la Russia, ma anche Stati Uniti e Cina. E allora, come direbbe qualcuno, perché sparare sulla Croce Rossa?

Nel 2015, in visita alle Nazioni Unite, Bergoglio ne aveva chiesto una profonda riforma, accentuandone l’attenzione specialmente verso i Paesi più poveri, verso migranti e rifugiati. Questo non è stato fatto. Colpevolmente. Ma era una buona ragione per indebolire ulteriormente, con questo attacco frontale, l’organizzazione che resta pur sempre l’unico vero possibile “laboratorio” per la pace, e creato apposta – ricordava proprio Bergoglio due anni fa – per “unire le nazioni, per avvicinarle, come un ponte tra i popoli”? C’erano già abbastanza frizioni, se non incomprensioni, con i massimi dirigenti della diplomazia vaticana, rimasti a dir poco sconcertati a sentire che il Papa, per avere informazioni sulla guerra, telefonava a una giornalista sua amica, che si trova a Odessa. Ci voleva anche questo nuovo “incidente”?

Difficile dare delle risposte. A meno di non pensare che Francesco non abbia più molta fiducia nei metodi e nelle strategie della sua diplomazia, e perciò abbia deciso di gestire in proprio la questione ucraina. Il 25 febbraio, il giorno dopo lo scoppio delle ostilità, si era recato inaspettatamente dall’ambasciatore russo presso la Santa Sede. “Per fargli domande – ha raccontato – e dirgli le mie impressioni”. Ma solo per questo? Secondo indiscrezioni autorevoli, invece, avrebbe anche chiesto al diplomatico di farlo parlare con Putin. L’ambasciatore avrebbe riferito immediatamente la richiesta pontificia, ma Putin non si è fatto mai vivo.

Il Papa, in aereo ai giornalisti, lo ha detto in altro modo, ma lo ha detto. “Il presidente della Russia mi ha chiamato a fine anno per farmi gli auguri”. E con Putin che non lo chiama, e con il patriarca ortodosso Kirill (che benedice platealmente i soldati sovietici) sempre più inaffidabile, Bergoglio non vuole comunque rinunciare al tentativo (tutto personale) di proporsi a Mosca come un interlocutore assolutamente imparziale. E per farlo, alza il tiro. Ora anche contro l’ONU. Per la mancata riforma, ma non solo.


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