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In questi sette mesi di pandemia è stato più volte evocato il paragone tra l’emergenza sanitaria in atto e una guerra. Al netto dell’iperbole, c’è un aspetto che sicuramente associa le due pur diverse situazioni: il disturbo post-traumatico da stress.

Questa forma di disagio mentale che affligge molti militari reduci da scenari bellici, infatti, si registra sovente nella popolazione contagiata, ma fattori di stress colpiscono anche la popolazione sottoposta a restrizioni delle libertà e a un martellamento di informazioni sul virus.

GIOVANI PIÙ VULNERABILI

Sulla correlazione tra Covid e il disturbo post-traumatico da stress si è espressa l’Oms. In un editoriale pubblicato l’11 maggio scorso sulla rivista World Psichiatry, il direttore generale Tedros Adhanon Ghebreyesus ha sottolineato come la pandemia abbia fatto impennare i disagi mentali a ogni latitudine.

Durante la prima ondata l’allarme è stato lanciato anche da 42 scienziati da tutto il mondo, attraverso un articolo pubblicato su Lancet Psichiatry, nonché dal gruppo di ricerca indipendente italiano Brainfactor Research. Lo studio di Lancet rileva che le persone con «livelli clinicamente significativi di stress legato al periodo pandemico» ammontano al 27% del totale. Brainfactor Research, invece, attesta che oltre il 22% della popolazione censita presenta «un disordine specifico di natura ansiosa collegato alla pandemia».

Destano preoccupazione i giovani sotto i 24 anni, che manifestano questo disagio nel 39% dei casi secondo lo studio del gruppo di ricerca italiano e nel 36,7% secondo quello di Lancet. Non stupiscono, allora, i risultati della ricerca di ConsumerLab, che ha intervistato 700 ragazzi nati dopo il 1997: il 33% del campione, ossia uno su 3, prevede un peggioramento della propria condizione economica. Angustiano i soldi e le incertezze lavorative, così come il rischio di risultare positivi al tampone.

Influisce sulla mente, del resto, l’obbligo di dimora dovuto al lockdown o alla quarantena per aver contratto il virus o per essere stati a contatto con persone positive: lo rileva l’Istituto Mario Negri. «In certe situazioni, come la quarantena, non tutti hanno le stesse capacità di resilienza – dice Maurizio Bonati, direttore del dipartimento Salute pubblica dell’istituto – Alcuni possono presentare particolari reazioni emotive e comportamentali».

In alcuni ospedali ci si è attrezzati prevedendo figure di psicologi nei reparti Covid. Uno di loro è Damiano Rizzi, presidente della Fondazione Soleterre: «Si potrebbe ipotizzare, come inizia a emergere in letteratura, una sindrome da stress Covid caratterizzata da effetti duraturi del trauma relazionale. Dai primi dati emersi, un terzo dei pazienti mostra disturbi da stress post traumatico gravi o molto gravi, che significa vivere con ricorrenti e involontari ricordi spiacevoli dell’evento traumatico, che spesso non lasciano dormire la notte, che agiscono come se l’evento traumatico si stesse ripresentando».

IL RUOLO DEI MEDIA

La questione è stata affrontata anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in occasione della Giornata mondiale della salute mentale, il 10 ottobre, ha sottolineato che «la pandemia ha prodotto, tra le sue tragiche conseguenze, un incremento delle condizioni di disagio psichico, acutizzando situazioni di emergenza psicologica e sociale».

E più la pandemia avanza, più si acuiscono i disagi. Un rapporto dell’Università della California pubblicato su Science Advances ha valutato gli effetti della propagazione del virus mentre si manifestavano in tempo reale. Bene, le persone intervistate più avanti nel periodo di studio hanno presentato un più alto tasso di stress acuto e di sintomi depressivi. Tra i fattori che concorrono a questa problematica ci sono la perdita del lavoro e del salario. Non solo. Dallo studio pubblicato su Science Advances si evince pure il ruolo svolto dai media; come riporta il sito State of Mind, le persone che sviluppano sintomi da stress tendono, in genere, ad alleviarlo seguendo attentamente tutte le informazioni che riguardano l’evento traumatico stesso. È così che si sottopongono a una sovraesposizione mediatica, innescando un circolo vizioso che porta al peggioramento del malessere. Ponderare il tempo trascorso davanti gli schermi può dunque aiutarci in questa fase delicata.


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