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Il grano e i rischi di carestia sono balzati al centro dei lavori del World Economic Forum di Davos (WEF). Guerra, speculazioni finanziarie e frumento sono infatti le facce diverse di una sola emergenza. Ed è stato il leader ucraino, Volodymyr Zelensky, nel suo intervento al Forum, a denunciare ancora una volta la grave situazione alimentare.” Il grano – ha detto- viene rubato ogni giorno dai militari russi, poi portato via nave in alcuni paesi.” E con questi paesi il governo ucraino starebbe lavorando perché “Penso che se capisci da dove viene questo grano – ha sottolineato – e come la Russia lo ha ottenuto, non puoi comprarlo illegittimamente”.

E ancora una richiesta a sbloccare i porti del Mar Nero “assediati o minacciati dalla Russia che in questo modo ferma i commerci e impedisce gli approvvigionamenti alimentari su scala globale”. Sono infatti bloccati nei porti oltre 22 milioni di tonnellate di grano. Kiev è fortemente impegnata a ottenere un corridoio per favorire l’export del prezioso cereale e scongiurare così una crisi alimentare mondiale. La trattativa per un corridoio è in corso con la Commissione europea, ma anche con Polonia, Svizzera e Onu. Proprio l’Onu ha lanciato l’allarme qualche giorno fa sulla malnutrizione dilagante che ha già colpito oltre 190 milioni di persone con situazioni particolarmente pesanti nell’Africa subsahariana. Ma a preoccupare è anche il Nord Africa da cui si stanno intensificando le partenze dei migranti che, complice il bel tempo, sbarcano numerosissimi sulle nostre coste. Ecco che il cerchio della guerra e della speculazione dall’Ucraina si chiude nel Mar Mediterraneo.

E intanto c’è chi traccia un primo bilancio su quanto è costata in termini economici la guerra nel cuore dell’Europa. Secondo l’analisi della Coldiretti, sulla base delle quotazioni sul valore della produzione mondiale al Chicago Board of Trade, a tre mesi dal conflitto, il conto è di 90 miliardi a livello globale solo per l’aumento del 36% del prezzo del grano rimbalzato su tutti i prodotti alimentari.

Le quotazioni del grano oscillano attorno ai 12 dollari per bushel (27,2 chili) determinando una situazione che nei paesi ricchi ha generato inflazione ma in quelli poveri provoca carestia e rivolte con ben 53 Paesi a rischio alimentare secondo quanto ha certificato l’Onu. A guadagnare è stata invece la speculazione sulla fame che – spiega la Coldiretti – si sposta dai mercati finanziari in difficoltà ai metalli preziosi come l’oro fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati “future” uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto.

L’andamento climatico poi non aiuta a rafforzare l’offerta produttiva. L’International Grains Council (Igc) stima che i raccolti di cereali del 2022/2023 si attesteranno su 2.251 milioni di tonnellate in calo del 2% rispetto alla campagna precedente per quanto riguarda in particolare grano, mais e sorgo. Il frumento calerà a 769 milioni di tonnellate a causa dei minori quantitativi negli Stati Uniti , India e Ucraina dove la produzione sarà quasi dimezzata a 19 milioni.

In questo modo saltano gli equilibri geopolitici mondiali. Egitto, Turchia, Bangladesh e Iran acquistano infatti più del 60% del proprio grano da Russia e Ucraina ma anche Libano, Tunisia Yemen, e Libia e Pakistan sono fortemente dipendenti dalle forniture dei due Paesi.

Diversa sul fronte degli approvvigionamenti la situazione della Ue che, come spiega il report della Coldiretti, è autosufficiente all’82% per il grano duro, al 93% per il mais e al 142% per il tenero. Ma per i partner il problema è la volatilità dei prezzi che, a causa del terremoto sui mercati mondiali innescato dal conflitto, ha fatto impennare i costi di tutti i principali fattori della produzione mettendo in crisi il futuro delle aziende e i bilanci dei consumatori. L’Italia poi è un paese deficitario costretto ad acquistare il 64% del grano tenero e il 53% del mais.

La situazione dunque è grave anche se per il Fondo monetario internazionale non sarà una recessione mondiale, ma per alcuni Paesi il rischio è alto. E in ogni caso il Fmi pensa di tagliare le stime di crescita mondiale. Ma non va male per tutti. Perché se da un lato l’aumento vertiginoso dei prezzi al consumo “alimenta” la povertà, dall’altro c’è chi invece con le rivoluzioni economico-finanziarie si arricchisce.

Oxfam International, confederazione internazionale di organizzazioni non profit, sostiene che a fronte di un milione di persone che ogni giorno nel 2022 entrano nella spirale della povertà si rafforzano i bilanci dei “paperoni” che controllano le grandi imprese nei settori dell’agroalimentare e dell’energia. Dall’inizio della pandemia e ora con il conflitto gli affari sono cresciuti di 453 miliardi di dollari al ritmo di un miliardo ogni due giorni. Il problema arriva da lontano, ma pandemia e guerra hanno dato una robusta spallata.
Secondo Oxfam l’emergenza Covid ha prodotto 62 nuovi miliardari nel settore alimentare e 40 nella farmaceutica. In questi settori e in quello energetico si registrano situazioni di forte monopolio che favoriscono profitti record. Oxfam, tra gli altri, cita il caso della Cargill che controlla il 70% del mercato agricolo mondiale e che nello scorso anno ha realizzato un utile netto di 5 miliardi di dollari il più elevato della sua attività e che potrebbe essere superato nel bilancio di quest’anno.

La concentrazione nelle mani di pochi della gestione del cibo potrebbe mettere in discussione la stessa democrazia alimentare. Subdolamente infatti si sta insinuando l’idea di una dieta unica universale in mano a pochi super ricchi, gli stessi che spingono verso gli alimenti super processati. Interessi miliardari che da tempo la Coldiretti ha stanato denunciando i “manovratori” degli impianti chimici da cui arrivano bistecche e formaggi finti e sui cui ha ingaggiato una battaglia che oggi diventa ancora più dura. Con la povertà che dilaga nel mondo potrebbe essere più facile far passare, nel nome della necessità di sfamare il maggior numero di persone, scelte devastanti per le economie agricole europee e italiana in particolare.


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