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Giancarlo Giorgetti

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Nell’introduzione al Documento programmatico di bilancio inviato a Bruxelles, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha assicurato il “massimo impegno” del governo sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza – pur di fronte al grosso ostacolo rappresentato dall’aumento del costo delle materie e quindi delle opere – che assicurerebbe all’Italia crescita economica, qualitativa e quantitativa, e un forte contributo in termini di sostenibilità del debito. Criticità e ritardi sulla tabella di marcia sono già agli atti.

L’Ufficio parlamentare di bilancio lancia un altro alert in una materia che ha un impatto economico, ma anche sui diritti di cittadinanza: l’Italia “rischia di non centrare tutti gli obiettivi fissati con il Pnrr per asili nido e scuole dell’infanzia”. Ma soprattutto rischia di mancare l’obiettivo di garantire i livello essenziale delle prestazioni sociali (Leps) per gli asili nido in tutto il territorio nazionale, ovvero un numero di posti (incluso il servizio privato) pari al 33% della popolazione compresa tra 3 e 36 mesi in ogni Comune o bacino territoriale. La distribuzione delle risorse del Pnrr correggerà gli squilibri tra Nord e Sud solo in parte, è la previsione messa nero su bianco nel Focus dell’Upb.

Il piano investe sui nidi e le scuole d’infanzia 4,6 miliardi: di questi sono stati messi a bando tra gli enti territoriali 3,7 miliardi, integrati con 109 milioni dal ministero dell’Istruzione. Espletati i bandi, i fondi assegnati ammontano a 3,480 miliardi. Restano da assegnare 329 milioni. Al Mezzogiorno sono andate il 52,1% delle risorse, ben oltre la Quota Sud del 40%.

Ma mentre tutte le regioni del Centro-Nord – alcune già vicine o oltre l’obiettivo – centrerebbero i Leps, nel Sus – dove la copertura media è del 15% sul 26,9% italiano) alcune riuscirebbero a raggiungerlo (Calabria e Puglia), altre a superarlo (Basilicata, Molise e Sardegna), il gap sembrerebbe destinato a restare in Campania e in Sicilia. Questo perché, si evidenzia, nella prima i 508,2 milioni che le sono stati destinati risultano insufficienti di fronte alle forti carenze strutturali. Mentre per quanto riguarda la Sicilia vi è stata una mancata risposta da parte degli enti territoriali. E in questo la Sicilia non è sola, dal momento che sono 3.400 i Comuni italiani che non hanno partecipato ai bandi.

Sul fronte dei tempi, l’Upb avverte che il rispetto della scadenza fissata al secondo trimestre 2023 (milestone) per l’aggiudicazione dei contratti per la costruzione, messa in sicurezza e riqualificazione delle strutture richiederebbe la pubblicazione dei bandi da parte degli enti locali entro la fine del 2022, obiettivo che allo stato dell’arte – con convenzioni ancora da definire e risorse da segnare anche per via della riapertura dei bandi per consentire maggiori adesioni – sarebbe alla portata solo con un’accelerazione dei tempi necessari a concludere la fase di affidamento. Potrebbe essere utile avvalersi delle procedure semplificate introdotte temporaneamente per i progetti che rientrano nel Pnrr, la cui logica dovrebbe essere mantenuta nel futuro nuovo Codice degli appalti. I ritardi sul milestone non dovrebbero pregiudicare, secondo l’Upb, i tempi per il raggiungimento del target, cioè la creazione di 264.480 nuovi posti tra asili e scuole d’infanzia entro la fine del 2025.

Sull’attuazione del Pnrr e sulla legge di Bilancio la premier Giorgia Meloni prova a spingere sull’acceleratore per rispettare le scadenze di fine anno che nel primo caso valgono i 19 miliardi della terza rata dei fondi europei, nel secondo l’archiviazione del rischio esercizio provvisorio. Il testo della manovra non è però ancora pronto: alcuni articoli restano in bianco, i tecnici stanno limando gli interventi ma soprattutto stanno definendo le coperture. Su questo fronte, non risulta ancora cifrato, ad esempio, il gettito della tassazione sugli extraprofitti delle aziende dell’energia.

In Parlamento – alla Camera per la precisione – è atteso al massimo entro lunedì quando dovrebbe prendere il via la sessione di bilancio e la corsa contro il tempo. Intanto il Documento programmatico di bilancio pubblicato dal Mef giovedì sera – che aggiorna la versione a politiche invariate consegnata dal governo Draghi – fornisce una quadro di sintesi degli interventi previsti, importi e impatti finanziari.

Oltre ad aggiornare il quadro macroeconomico, a partire dalla previsione sul Pil, riviste al rialzo al 3,7% dal 3,3% rispetto al precedente Dpb per il 2022, al ribasso allo 0,3%, dallo 0,6% per il 2023. Per il biennio 2024-2025, invece, si conferma la previsione di fine settembre, rispettivamente all’1,8% e all’1,5%. “L’impennata del costo dell’energia minaccia la sopravvivenza delle nostre imprese, non solo nelle industrie a elevata intensità energetica, ma anche nei servizi. Le famiglie sono duramente colpite dal forte rialzo dell’inflazione mentre le retribuzioni crescono ad un ritmo assai moderato”, ha scritto Giorgetti nella prefazione del testo, anticipando che “a fine marzo, il governo rivaluterà la situazione e, se necessario, attuerà nuove misure di contrasto al caro energia” attraverso “entrate aggiuntive e risparmi di spesa”.

I sostegni previsti in manovra per fronteggiare il caro energia imprese e famiglie – per un valore di 21 miliardi – saranno “mirati” e “a tempo”, ha assicurato. Il governo si impegna “a ridurre e poi eliminare” gli aiuti e i tagli alle imposte “non appena i prezzi del gas naturale, dell’energia e dei carburanti rientreranno verso livelli in linea con il periodo pre-crisi”.

Intanto sei i tecnici sono ancora al lavoro per far quadrare i conti, il Dpb mantiene il “riserbo” sulle coperture della manovra. A parte i 21 miliardi in deficit per le bollette, le uniche altre cifre esplicitate sono gli 1,6 miliardi risparmiati sul fronte della previdenza, grazie alla revisione del meccanismo di indicazione delle pensioni all’inflazione; circa 730 milioni arrivano dalla stretta sul reddito di cittadinanza mentre il taglio del Superbonus vale poco meno di 300 milioni. Nelle tabelle compaiono poi altre voci con impatto positivo sui conti denominate “altre entrate/coperture” per 6 miliardi ed “altre spese/coperture” per 9 miliardi, per un totale dunque, tra tasse e risparmi di spesa, di circa 15 miliardi. Le fonti di entrata non vengono dettagliate, nemmeno gli extraprofitti, già citati dal governo e quotati circa 6 miliardi.


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