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Mario Draghi aveva cambiato l’Europa e sarebbe stato ancora molto utile, grazie al suo pragmatismo ispirato ai valori dell’unità e della solidarietà

Il vertice europeo di Praga potrebbe essere l’ultimo con Mario Draghi protagonista, mentre per il prossimo del 20 ottobre comincia a scaldare i motori Giorgia Meloni. Per capire quanto pesi questo passaggio di consegne per l’Europa basterebbe ricordare almeno un episodio: la definizione delle sanzioni economiche contro la Russia pochi giorni dopo l’invasione dell’Ucraina.

Secondo la ricostruzione del Financial Times di quei giorni sarebbe stata Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, a innescare il premier italiano, chiedendogli di discutere i dettagli delle sanzioni direttamente con Janet Yellen, la segretaria del Tesoro degli Stati Uniti. “Un accordo era vicino, ma, a Washington, la segretaria del Tesoro Janet Yellen stava ancora rimuginando sui dettagli della misura più pesante e sensibile per il mercato: sanzionare la stessa banca centrale russa”, scrisse il Financial Times.

I GRANDI D’EUROPA: MARIO DRAGHI DEVE FARE UNA MAGIA CON YELLEN

Tra i grandi del pianeta, in quelle ore, circolava questa voce: “Draghi deve fare una magia con Yellen”. La sorte di tutti i paesi europei era aggrappata all’iniziativa congiunta che avrebbero potuto adottare i due tecnocrati più influenti del pianeta. A Washington, colei che era stata, dal 2014 al 2018, la prima presidente della Federal Reserve, e, per molti, la più qualificata della storia dei banchieri centrali. A Roma, colui che aveva guidato la Banca centrale europea dal 2011 al 2019 e che, in quel ruolo, aveva salvato l’Euro nel luglio del 2012 gestendo al meglio la crisi del debito sovrano europeo. Alla fine, i due stesero i punti di un accordo per congelare la gran parte dei 643 miliardi di dollari di riserve in valuta estera di Mosca. Un accordo che resterà negli annali della storia europea e mondiale.

Il coinvolgimento dei due veterani delle drammatiche crisi economiche dei primi vent’anni del secolo non è un caso. La reazione nei confronti della Russia non poteva essere militare. Doveva essere economica.

LA RISPOSTA ALL’INVASIONE RUSSA DELL’UCRAINA DOVEVA ESSERE ECONOMICA

L’Italia, grande importatore di gas russo, in passato era stata parecchio titubante sulle sanzioni: i partiti italiani che avevano vinto le elezioni del 2018 – prima di tutto il M5s, ma anche la Lega, protagonisti insieme del primo governo Conte – erano legati a doppio filo con il despota del Cremlino. Quel filoputinismo ancora oggi continua a pesare sulla contrarietà di Conte e Salvini all’impegno per l’Ucraina. In quella occasione, viceversa, Mario Draghi si rese protagonista di un cambio di passo radicale: usare le riserve valutarie della Russia per indebolire l’impegno di Mosca e attutire la ricaduta di altre possibili sanzioni. Fu l’inizio di una vera e propria guerra finanziaria che, non a caso, vide protagonista un ex banchiere centrale. Da quel momento, il presidente del Consiglio italiano ha assunto un ruolo di leadership di tutta l’Unione europea.

“L’importanza di chiamarsi Mario” – per parafrasare il titolo della celebre commedia di Oscar Wilde – è stata confermata anche negli ultimi mesi in occasione dell’esplosione della crisi energetica, provocata dall’aumento dei prezzi e dal ricatto russo di interrompere le forniture di gas. Un circolo vizioso nel quale il costo delle forniture arriva alle stelle e l’Europa rischia di restare al gelo. Ancora una volta Mario Draghi, spingendo i paesi europei ad abbandonare la loro comfort zone, ha indicato la strada maestra: sganciare il costo del gas da quello dell’energia elettrica e fissare un tetto europeo ai prezzi del gas.

MARIO DRAGHI, L’EUROPA E LA CRISI ENERGETICA

“Dobbiamo lavorare insieme per affrontare la crisi energetica. Possiamo anche farlo in ordine sparso, ma perderemmo l’unità europea”, così si è espresso Draghi nel corso della Tavola rotonda “Energia, Clima ed Economia”, che si è tenuta alla prima riunione della Comunità politica europea (invenzione di Emmanuel Macron) in corso a Praga. Proprio l’Italia, in collaborazione con Polonia, Belgio e Grecia, ha presentato un non-paper che delinea le caratteristiche del price cap sul gas. Viceversa, con lo stanziamento di 200 miliardi per difendere imprese e famiglie dalla crisi del gas, il governo tedesco ha messo in atto un gigantesco aiuto di Stato che elude le regole fiscali europee. Con il rischio concreto di sconvolgere il mercato interno europeo e di assestare un colpo micidiale all’Unione in una fase politico-economica molto delicata.

Se passa la logica che i paesi che dispongono di un maggiore spazio fiscale, come la Germania, possono agire da soli al di fuori di una politica comune, i contraccolpi per il sistema europeo possono essere molto gravi. Opponendosi alla fissazione di un tetto al prezzo del gas di cui si gioverebbero in egual misura tutti i paesi, con i suoi 200 miliardi la Germania mette le proprie imprese in condizione di essere assai più concorrenziali rispetto a quelle di altri paesi europei – in particolare, di quelle italiane – e ciò finirà per aggravare le divergenze politiche ed economiche nell’Ue.

Di fronte alle fibrillazioni centrifughe dei paesi europei, in un momento in cui l’Unione europea dovrebbe insistere sulla riforma dei meccanismi decisionali in senso federale, l’autorevolezza di Mario Draghi sarebbe stata ancora molto utile, grazie al suo pragmatismo ispirato ai valori dell’unità e della solidarietà. Il suo addio – lo pensano anche i partner europei – ci costerà molto, in tutti i sensi.


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