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Xi-Jinping, presidente della Repubblica Popolare Cinese

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RITENGO opportuno fare una premessa: nel marzo del 2009 la Cina organizzò un summit mondiale sulla logistica e a tale summit, in rappresentanza della Confetra, c’ero anche io; ebbene in quella occasione la Cina presentò l’interessante piano strategico denominato Belt & Road Iniziative e, sempre in tale summit, la Cina chiarì che si trattava di un progetto che includeva anche un continente, l’Africa, che era stato considerato da sempre estraneo ai teatri delle convenienze. Inoltre in tale occasione venne ribadito che il Mediterraneo diventava in tale progetto un terminale chiave e che il Mare del Nord, attraverso l’asse terrestre Pechino – Amburgo, acquisiva una ulteriore occasione per incrementare ulteriormente le proprie potenzialità. In realtà sia il Mediterraneo che il Mare del Nord venivano ad acquisire vantaggi reciproci. Il coinvolgimento dell’Africa, sempre secondo il Progetto cinese, perseguiva due obiettivi fondamentali: la realizzazione di un grande impianto portuale a Mombasa e la costruzione di un asse autostradale Mombasa – Legos per rendere in tal modo possibile un’alternativa al Canale di Suez per le merci provenienti dalla Cina e dirette verso l’oceano Atlantico. Quindi l’impegno cinese aveva essenzialmente una finalità legata alla ottimizzazione dei processi logistici dell’intero sistema planetario e, devo essere sincero, non intravidi e non intravvedo ancora finalità di tipo diverso.

D’altra parte nei primi anni del 2000, come ho avuto modo di ricordare qualche mese fa, la Commissaria europea Loyola De Palacio definì un Piano che affrontava tutte le reti ed i nodi che facevano da contorno al sistema delle Reti TEN e propose appositi interventi nell’area settentrionale del continente africano, nella vasta area asiatica – meridionale e nell’area orientale dell’Europa. Erano interventi esterni alla Unione Europea come il Corridoio 8 (Taranto – Bari – Brindisi – Durazzo – Varna), il Corridoio 10 (che da Ankara raggiunge Varna, Bucarest, Budapest e Belgrado) ed altri Corridoi che interessavano Paesi come la Turchia, la Georgia, l’Azerbaijan, l’Armenia e l’Iran. La Unione Europea appoggiò queste iniziative e, addirittura, supportò anche finanziariamente gli studi progettuali perché convinta che in tal modo si consolidava sempre più una griglia infrastrutturale euro – asiatica che amplificava, in modo positivo, le caratteristiche della “globalizzazione”.

Se leggiamo attentamente le proposte della “Via della Seta” scopriamo che in fondo c’era in esse una elevata carica di complementarietà con il progetto e le finalità della Unione Europea e l’elemento più significativo sicuramente era questa scoperta comune dell’asse terrestre, cioè dell’asse Lisbona – Kiev e dell’asse Pechino – Amburgo. In realtà questo encomiabile lavoro, mirato alla costruzione di un assetto infrastrutturale vastissimo in cui tutte le realtà presenti al suo interno interagivano, rappresentò, a mio avvio, il momento più avanzato dell’accordo di Schengen, di quell’accordo che perseguiva un difficile obiettivo: la libera circolazione delle merci e delle persone. Una libera circolazione che con una simile griglia, sommatoria di scelte comunitarie e cinesi finalmente stava diventando possibile. Aggiungo un’altra condizione che si caratterizzava come una volontà a dare la massima concretezza alle iniziative: i due progetti contenevano un apposito Fondo, quello Comunitario per le Reti TEN era di circa 30 miliardi di euro, quello cinese era più consistente ed era pari inizialmente a 100 miliardi di dollari. Questi Fondi, in realtà, dovevano contribuire alla realizzazione di questa articolata e complessa offerta infrastrutturale ma, soprattutto, dovevano essere una occasione per i vari Paesi a fare delle scelte coerenti con gli obiettivi congiuntamente disegnati.

Tutto questo interessante incontro strategico tra la Unione Europea e la Cina è, man mano che passavano gli anni, man mano che ci si allontanava dalla data della firma del Memorandum of Understanding tra l’Italia e la Cina avvenuto il 18 marzo del 2018 (MoU firmato dal Ministro Di Maio su delega del Presidente Conte) prendeva, mese dopo mese, consistenza un atteggiamento critico nei confronti di una simile iniziativa. Molti, infatti, hanno ipotizzato, quasi subito, l’operato della Cina ricco solo di un interesse espansionistico. Però questa interpretazione dimenticava e dimentica una serie di dati e di evoluzioni macroeconomiche sostanziali: la Cina tra il 2000 e il 2010 era diventata la seconda maggior esportatrice mondiale di merci dopo la Germania. Le sue esportazioni lorde annuali, pari a circa 250 miliardi di dollari, nel 2000 sono cresciute di quasi 5 volte raggiungendo i 1.218 miliardi di dollari nel 2007. Inoltre per capire quale sia la forza logistica nel comparto marittimo ricordo che sui primi dieci impianti portuali del mondo sette sono cinesi.

Di fronte a questi dati penso sia facile convincersi che l’espansionismo economico si vince solo contrapponendosi e diventando interlocutori e non cercando passivamente di non essere attori. Leggendo inoltre le proposte progettuali non ho riscontrato un interesse al controllo dei processi socio economici dei territori attraversati ma solo un interesse legato alla ottimizzazione delle convenienze. Quindi le preoccupazioni dell’attuale Governo sul rischio che l’impegno a dare continuità al MoU si possa interpretare come una diretta collaborazione con la Cina, che un simile atto possa configurarsi come una presa di distanza dalla linea politica degli Stati Uniti, mi sembra davvero fuori da ogni logica. Inoltre non possiamo ritenere che l’equilibrio tenuto finora dalla Cina nei confronti della guerra in Ucraina possa essere considerato come un atto negativo; tra l’altro la Cina sa bene che questo assurdo conflitto distrugge lo stesso progetto logistico. A tale proposito subito dopo l’inizio della guerra in Ucraina avevo ricordato che il conflitto colpiva, in modo diretto, il settore delle spedizioni e rischiava di bloccare gli ambiziosi progetti della Via della Seta e Jennifer Hillman della Georgetown University ribadì: “Quella Via della Seta che Xi Jinping ha lanciato nove anni fa è praticamente bloccata; infatti lo spazio aereo lungo questo itinerario è interdetto, le navi container non possono accedere all’Ucraina e molti ormai si tengono alla larga della Russia; in proposito alcune delle principali compagnie marittime e giganti delle spedizioni come Maersk, Msc, Hapag – Lloyd, Ocean Network Express, DHL hanno praticamente subito l’annullamento di tutte le prenotazioni per il trasporto merci da e per la Russia”. Ebbi modo di ricordare, sempre un anno fa, che tutti gli itinerari della Belt & Road Initiative (la Via della Seta), molti dei corridoi ferroviari passavano nel territorio della Federazione russa e della Bielorussia ed il Presidente della EPU Supply Chain Management di Shanghai aveva precisato che: “Tutti i nostri treni che passano attraverso la Ucraina devono essere dirottati su altre rotte ormai, visto che le spedizioni dirette si sono fermate”.

Potrei continuare ad elencare una serie di motivi e di iniziative che confermano la finalità della Cina tipicamente mirata ad ottimizzare i propri processi logistici e quindi riterrei errata ed inesistente la preoccupazione dell’attuale Governo nel confermare l’impegno del nostro Paese nel dare continuità al progetto delle Via della Seta; non vorrei che questa preoccupazione, questo imbarazzo fosse generato volutamente da qualche altro Paese della Unione Europea come, solo a titolo di esempio, la Francia che diventerebbe, in caso di nostro abbandono, il referente chiave della Cina nel Mediterraneo. Sicuramente rimanendo all’interno della iniziativa progettuale potremmo anche chiarire la funzione ed il ruolo di alcune presenze cinesi nel Mediterraneo come nel porto di BAR, nel porto del Pireo o come in altri in cui sono in corso diretti interessi di compagnie cinesi; cioè rimanendo attori potremmo anche evitare di perdere il ruolo di alcuni nostri impianti portuali ed interportuali. Sono sicuro che queste mie considerazioni non avranno un ampio consenso perché molti ritengono che la Cina persegua finalità strategiche mirate al dominio dell’economia mondiale e al tempo stesso anche al controllo politico delle aree strategiche del pianeta ma non esserci forse è peggio, forse è più rischioso.


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