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Papa Francesco

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Papa Francesco non ha mai mancato di sottolineare il martirio ucraino, ma sempre con cautela, tacendo le responsabilità dirette della Russia

«Nessun ruolo di mediazione per il Papa. È filorusso, non credibile. Kiev esclude la possibilità di una mediazione vaticana per risolvere il conflitto militare in territorio ucraino».

Non lasciano spazio a dubbi le parole di Mikhail Podolyak, capo consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, pronunciate ieri al canale 24 dell’Ucraina. Un messaggio inequivocabile che sembra chiudere definitivamente la porta in faccia ai tentativi di Francesco di mediare tra Mosca e Kiev.

Nei mesi scorsi, in verità, il Papa non ha mai mancato di sottolineare il martirio del popolo ucraino. Ma lo ha sempre fatto con cautela, tacendo le responsabilità dirette della Russia nell’aggressione e senza chiedere mai esplicitamente a Putin di ritirare le truppe dai territori ucraini occupati e distrutti. Viceversa, Francesco non ha mancato di colpevolizzare l’Occidente, accusando la Nato di aver «abbaiato» alle porte della Russia provocandone la reazione.

LE GAFFE E GLI SVARIONI

È ovvio che il tentativo di costruire canali di mediazione richieda una certa dose di prudenza anche nel trattare con un dittatore sanguinario e inaffidabile come Putin. Tuttavia, in molti frangenti la gestione delle relazioni internazionali da parte della Santa Sede è apparsa approssimativa e dilettantesca.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è certamente l’appello agostano di Papa Francesco ai giovani cristiani in Russia. «Non vi dimenticate della vostra identità. Voi siete eredi della grande Russia, la grande Russia dei santi, dei re, la grande Russia di Pietro il Grande, di Caterina II, quell’impero russo grande e colto, di tanta cultura, di tanti umanità, non vi liberate mai di questa eredità»: così Bergoglio ai giovani russi, con una disinvoltura che suona eccessiva.

«È molto deludente che gli ideali della grande potenza russa alla base dell’aggressività cronica della Russia, consciamente o inconsciamente, siano usciti dalla bocca del Papa, la cui missione sarebbe proprio quella di aprire gli occhi dei giovani russi sul corso distruttivo che sta prendendo l’attuale leadership russa», ha giustamente osservato Oleg Nikolenko, portavoce del ministero degli Affari esteri dell’Ucraina.

A poco sono serviti i tentativi di rettifica da parte degli interpreti del pensiero bergogliano e da parte dello stesso pontefice. Come hanno sottolineato gli esponenti della chiesa ucraina, non c’è dubbio sul fatto che Papa Francesco sia animato dalle migliori intenzioni e che nelle sue parole non vi sia «l’intenzione di sostenere le ambizioni imperialistiche della Russia». Tuttavia, l’invito a cercare un modello nella grande Russia di Pietro I e Caterina II, definendola «impero grande e illuminato», può trasformarsi in un incoraggiamento a seguire le orme del «peggiore esempio dell’imperialismo e del nazionalismo estremo russo», quello che ispira l’azione di Putin nella distruzione sistematica del popolo ucraino.

GLI ATTACCHI DALLA POLONIA

L’eco della gaffe papale è andata ben oltre le istituzioni politiche e religiose di Kiev. Nei giorni scorsi, il noto settimanale polacco Wprost, conservatore e cattolico, è andato in edicola con una copertina che raffigura Francesco nella papamobile incastonata sul telaio di un carro armato russo con la lettera “Z”, il simbolo dell’invasione del 2022.

L’immagine, drammaticamente polemica, rivela l’imbarazzo che perfino un Paese cattolicissimo e tradizionalista come la Polonia vive di fronte alle avventate uscite di Francesco.

Che si sono ripetute di nuovo nei giorni del viaggio in Mongolia. In un articolo apparso sullo stesso settimanale, il giornalista Marcin Makowski ha scritto: «Francesco ha celebrato l’860° anniversario della nascita di Gengis Khan, un sovrano le cui truppe uccisero decine di migliaia di cristiani e intrapresero numerose guerre, elogiando le conquiste pacifiche del suo impero. Mentre scrivo queste parole, a Cracovia, assediata secoli fa dalle truppe mongole che uccisero ed esiliarono decine di migliaia di polacchi, mi chiedo: dovrei ridere o piangere?».

Per non parlare delle parole al miele rivolte alla Cina, regime dispotico che marginalizza i cristiani, guidato da un partito unico che, tra le altre prerogative, si arroga anche la nomina dei vescovi cattolici. Non a caso, i pochi cattolici cinesi presenti a Ulan Bator, capitale della Mongolia, per acclamare il Papa hanno partecipato a volto coperto per evitare ritorsioni in patria.

LUSINGHE VERSO PECHINO

In un eccesso di lusinghe verso il governo di Pechino, Francesco ha assicurato che i governi non hanno nulla da temere dai cristiani. Ma la storia racconta qualcosa di molto diverso. Da Thomas More a Bonhoeffer, da Sturzo a don Milani, dagli studenti della Rosa bianca a Oscar Romero, sono innumerevoli gli esempi che mostrano quanto i governi debbano temere dalla Chiesa e dai cristiani. Perché sono chiamati a limitarli, a resistere all’oppressione e a ribellarsi quando le libertà e i diritti sono conculcati.

In definitiva, l’attuale diplomazia vaticana risulterebbe accettabile solo a condizione di raggiungere l’obiettivo del dialogo. Ma l’argomento dell’efficacia è debole: a oggi la Russia e la Cina, le due superpotenze dispotiche e criminali di questo secolo, restano refrattarie e ostili. E Francesco, troppo indulgente, rischia di perdere credibilità.


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