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Giorgia Meloni al suo arrivo a New Delhi

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L’Italia non vuole rinnovare l’accordo sulla via della seta: la premier Meloni tenterà di trovare una formula che salvaguardi i rapporti con la Cina

Il G20 riflette lo stato delle cose. La pandemia del Covid-19, la guerra in Ucraina e l’alta tensione permanente tra Cina e Stati Uniti hanno dato uno scossone all’infrastruttura istituzionale della governance globale: tremano le fondamenta, ma ancora non si sa come sarà l’edificio dei nuovi equilibri geopolitici internazionali.

In questo passaggio magmatico, violento e doloroso, spera di guadagnare qualcosa, anzi molto, l’India di Narendra Modi, presidente di turno del G20 che si svolge questo fine settimana a New Delhi. I vantaggi di una ribalta internazionale in altri tempi sarebbero stati innegabili, ma in un mondo così lacerato e alla ricerca di nuove polarizzazioni sono al massimo una scommessa.

LA SCOMMESSA INDIANA

La scommessa di far crescere il ruolo dell’India come motore dell’economia internazionale, con un tasso di crescita tra i più alti al mondo e nettamente più alto di quello della Cina; di essere il Paese di riferimento del Global South, del Sud del mondo che reclama più voce in capitolo rispetto ai grandi di sempre; e infine la scommessa, per lo stesso Narendra Modi, di poter staccare un dividendo di politica interna in vista delle elezioni generali del 2024.

Come primo e tangibile risultato di questa proiezione, il premier indiano potrà annunciare l’adesione al G20 dell’Unione africana, che diventerà membro al pari dell’Unione europea, anche se una formalizzazione vera e propria ci sarà probabilmente durante la prossima presidenza di turno del G20, quella del Brasile, dove l’economia ha ripreso a correre (quasi) come ai bei tempi della scoperta dei Brics come motori imprescindibili della crescita globale.

XI E PUTIN GRANDI ASSENTI

Lo stato delle cose è anche e soprattutto nell’assenza della Russia, poiché su Vladimir Putin pende un mandato di cattura internazionale, e su quella, a sorpresa ma non troppo, del presidente cinese Xi Jinping.

Convitati di pietra che hanno in ogni caso impedito che nell’agenda dei lavori fosse inserito anche il dossier della guerra in Ucraina, rendendo comunque ancora più stridente il contrasto con l’agenda dei lavori, che parlerà ampiamente della sicurezza alimentare (senza menzionare il ripristino del blocco russo al trasporto di grano nel Mar Nero?).

L’assenza di Xi è spiegabile con una lunga lista di possibili ragioni. La dispute territoriali irrisolte con l’India, la tensione con gli Usa e quindi la volontà di evitare un bilaterale con il presidente americano Joe Biden. La volontà di non voler far brillare troppo la stella dell’India nel momento in cui l’economia cinese è alle prese con un forte rallentamento e con continue misure di argine all’estendersi della bolla speculativa nell’immobiliare.

L’impressione che il G20 non corrisponda esattamente al multilateralismo a immagine e somiglianza della Cina contemplato da Xi.

L’UNIONE AFRICANA E IL NODO DEI BRICS

La “chiamata” dell’Unione Africana nel G20 e il recente ampliamento dei Brics ad Arabia Saudita, Argentina, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran confermano che è in atto un tentativo di ribilanciare la governance mondiale a favore del cosiddetto sud globale e, in qualche modo, diluire l’influenza dell’Occidente nella definizione di politiche economiche, commerciali, ambientali e di sicurezza.

I Brics allargati sono un gruppo sempre più eterogeneo di convivenza forzata tra democrazie e autocrazie. È difficile, se non si definiscono minimi standard comuni di trasparenza e di migliori pratiche, poter ambire a un ruolo geopolitico accresciuto e, soprattutto, riconosciuto come un gruppo di pressione e influenza.

Si potrà obiettare che questi Paesi, nel loro insieme, dispongono di una ricchezza di materie prime (energetiche e alimentari) delle quali l’Occidente continua ad avere un disperato bisogno e che tale posizione, da sola, basta a giustificare il loro accresciuto peso internazionale.
In questo modo, però, si dà un certo credito alla capacità di ricatto di alcuni. È giusto che il Sud Globale abbia più voce in capitolo, ma quella del contrappeso all’Occidente non può essere l’unica volontà di aggregazione che anima i suoi Paesi.

In questo senso l’ingresso dell’Unione Africana nel G20, nei confronti del quale l’Italia ha più volte dichiarato di essere decisamente favorevole, è molto più che simbolica. L’instabilità del continente ha dimostrato di essere una spina al fianco dell’Europa.

Desiderosa di scrollarsi dalle spalle i residui del vecchio colonialismo, e sensibile al richiamo di nuovi imbonitori (Russia, Cina e Turchia) l’Africa Occidentale è stata scossa negli ultimi tre anni da un’ondata di golpe che rischiano di tradursi in un rafforzamento del terrorismo islamico e in una pressione accresciuta di flussi migratori verso il Nord, e quindi verso il Mediterraneo, sviluppi potenziali che preoccupano molto l’Italia.

MELONI E LA VIA DELLA SETA

Ma il G20 è un forum soprattutto economico e, secondo le solite anticipazioni relative al documento finale, i Paesi metteranno in evidenza soprattutto i rischi per la crescita a lungo termine derivanti dal profilarsi di “crisi a cascata”. La presidente del Consiglio Meloni dovrebbe inoltre avere un bilaterale con il premier cinese Li Qiang. Da parte di Pechino potrebbe esserci un tentativo in extremis per convincere l’Italia a rinnovare il Memorandum d’intesa sulla Via della Seta, in scadenza a fine anno.

Il governo italiano, anche alla luce dell’esito della missione a Pechino del ministro degli Esteri Antonio Tajani, avrebbe in realtà già deciso di non rinnovare l’accordo, che non ha portato alla bilancia commerciale i benefici attesi. È possibile che tra i due premier si lavorerà per trovare un punto di equilibrio attraverso una formula di compromesso in grado di salvaguardare le relazioni bilaterali, politiche ed economiche.


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