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Il premier israeliano Netanyahu durante un vertice militare in seguito agli attacchi di Hamas

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Israele è ancora impegnato a fronteggiare la minaccia terroristica, non solo sul fronte meridionale, ma anche su quello settentrionale. Oltre 800 finora le vittime in Israele, quasi 600 i morti a Gaza

A tre giorni dall’infiltrazione di diversi commando di combattenti palestinesi di Hamas e della Jihad islamica in Israele, le forze di difesa israeliane (Idf) sono tuttora impegnate a fronteggiare la minaccia terroristica, non soltanto sul fronte meridionale, ma anche su quello settentrionale. Ieri pomeriggio, infatti,4 o 5 uomini armati si sono infiltrati dal sud del Libano, e qualcuno di essi è stato ucciso. Incursione a cui Israele a risposto con i raid degli elicotteri da guerra in territorio libanese, a pochi chilometri dalle basi della missione di interposizione dell’Onu nel Libano del sud (Unifil). Missione a cui l’Italia partecipa con 1.100 militari.

GLI ATTACCHI E LE VITTIME

Per tutta la giornata, poi, si sono attivate le sirene nel sud di Israele, ma anche a Tel Aviv e Gerusalemme, mentre l’Aeronautica israeliana ha bombardato siti di Hamas e Jihad islamica nella Striscia di Gaza. Pesante il bilancio delle vittime, probabilmente non definitivo: sono almeno 800 i morti in Israele e 2.506 i feriti, di cui 578 sono ancora ricoverati in ospedale. Tra questi ultimi, 157 sono in condizioni gravi, 259 in condizioni moderate e 161 in condizioni lievi.

Sul fronte opposto, nel corso dell’operazione “Spade di ferro” lanciata da Israele in risposta all’attacco combinato di Hamas, sono morti almeno 576 palestinesi e circa 2.900 sono rimasti feriti. Secondo le autorità israeliane, i morti a Gaza sono in gran parte terroristi. Tra le vittime a Gaza vi sarebbero anche quattro dei circa 100-150 ostaggi rapiti in Israele sabato, ma non vi sono conferme.

Sul campo la situazione è in continua evoluzione e non sembra poterci essere una de-escalation. Anzi. Si prefigura un’operazione di terra, e una portaerei statunitense – che fino a ieri era nel Mar Ionio – è attesa a breve nel Mediterraneo orientale.

La risposta di Israele verso il movimento palestinese Hamas «sarà dura e terribile. Cambieremo il Medio Oriente», ha detto il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, durante un colloquio con i sindaci delle comunità meridionali, pesantemente colpiti dall’attacco di Hamas. In precedenza, fonti citate dal quotidiano statunitense Washington Post avevano riferito che Israele sarebbe pronto a lanciare un’incursione di terra nella Striscia di Gaza nelle prossime 24-48 ore. Il lancio di un’operazione di terra prevede prima l’uso dell’artiglieria e poi l’ingresso delle truppe.

La scelta dell’invasione sembra inevitabile (data la presenza a Gaza di oltre 100 ostaggi, tra cui anche cittadini statunitensi), ma anche altamente problematica e ricca di incognite. L’ultima operazione di terra risale al 2014, dopo la quale l’establishment israeliano ha preferito avvalersi delle forze aeree per indebolire Hamas e la Jihad islamica.

LE POSSIBILI MEDIAZIONI

In un’intervista rilasciata ad “Agenzia Nova”, l’analista Roberta La Fortezza ha detto: «È molto probabilmente prematuro parlare di un cessate-il-fuoco, dato che le operazioni militari sono ancora in corso e le parti non sembrano propense a una rapida de-escalation. Al contrario, in base alle notizie che giungono, il conflitto potrebbe verosimilmente allargarsi anche ad altri fronti».
Le diplomazie occidentali, ma anche arabe, si stanno muovendo per placare le acque, ma al momento non si vedono risultati concreti.

Al riguardo, La Fortezza ha ricordato che «generalmente a guidare i negoziati tra Israele e palestinesi durante le precedenti escalation è sempre stato l’Egitto, primo Paese arabo con il quale Israele ha firmato un trattato di pace nel 1979 e Paese confinante con il territorio della Striscia di Gaza. Questa volta, data la situazione sul terreno, nettamente più critica dal punto di vista militare e molto più complessa dal punto di vista geopolitico, l’Egitto potrebbe non essere in grado di garantire un cessate-il-fuoco».

Nel corso della giornata sono emerse notizie circa una possibile mediazione di Doha, prontamente smentita da Israele. Per l’esperta, il Qatar potrebbe avere più spazio dell’Egitto in un potenziale negoziato.

«Sono già state diffuse, sebbene immediatamente smentite da Israele, notizie sulla possibilità che il Qatar stia svolgendo un ruolo da mediatore nella questione degli ostaggi detenuti nella Striscia di Gaza – ha detto La Fortezza – Il Qatar, riabilitato nel blocco sunnita dopo la “Dichiarazione di Al Ula”, e Paese che negli ultimi anni ha stanziato numerosi fondi per il sostegno umanitario della Striscia di Gaza, potrebbe avere più ampio spazio, rispetto a Il Cairo, per dialogare non solo con i due attori direttamente coinvolti, Israele e Hamas, ma anche con tutti gli attori terzi regionali».

La situazione è ulteriormente complicata dalla presenza di cittadini non israeliani tra i morti e gli ostaggi. Al riguardo, La Fortezza ha affermato: «Anche qualora la situazione dovesse gradualmente rientrare dal punto di vista militare, il primo aspetto da considerare per dare il via a un dialogo tra le parti sarà proprio quello relativo alla riconsegna degli ostaggi detenuti ora nella Striscia di Gaza da Hamas e dai gruppi palestinesi. La situazione degli ostaggi potrebbe, del resto, essere complicata anche dalle differenti posizioni di altri Stati terzi qualora tra gli ostaggi dovessero essere presenti cittadini non israeliani».

LA LEGA ARABA

Intanto, una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri della Lega araba è stata convocata per mercoledì per poter discutere della situazione attuale nella Striscia di Gaza. La maggior parte dei Paesi arabi, e in particolare le monarchie del Golfo, ha assunto posizioni relativamente prudenti rispetto alla crisi attualmente in corso, limitandosi a condannare le violenze e chiedendo la fine della escalation. Un forte sostegno ad Hamas è giunto invece da Algeria, Tunisia, Libia, Siria e Iraq.

Infine, sul piano interno, in Israele non è ancora chiara la configurazione del possibile nuovo “governo d’emergenza”. Il leader centrista Benny Gantz, attualmente all’opposizione nel governo israeliano, ha proposto la creazione di un Esecutivo d’emergenza senza l’estrema destra, ovvero i partiti Unione nazionale di Bezalel Smotrich e Fronte nazionale ebraico di Itamar Ben-Gvir.

Ieri sono proseguiti i negoziati per formare un governo di unità d’emergenza, dopo la proposta fatta dal primo ministro, Benjamin Netanyahu. Dopo che Hamas ha lanciato l’attacco a sorpresa, i rappresentanti del partito di Unità nazionale dell’ex ministro della Difesa Gantz e del Likud del primo ministro Netanyahu si sono incontrati per discutere la prospettiva di una coalizione d’emergenza che duri per tutta la durata della guerra.

Due giorni fa, infatti, il gabinetto di sicurezza ha proclamato lo stato di guerra. Al termine dell’incontro, i rappresentanti del partito di Gantz hanno suggerito una proposta per istituire un “gabinetto di guerra ristretto”, formato da Netanyahu, dal ministro della Difesa Yoav Gallant – membro del Likud -, Gantz e il collega di partito di Gantz, l’ex capo di stato maggiore delle forze di difesa (Idf), generale Gadi Eisenkot, incaricato di decidere sulle prossime mosse della controffensiva lanciata su Gaza.


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