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LA QUADRATURA del cerchio a volte riesce, a volte no e il cancelliere della Germania Olaf Scholz, abile in passato nel difficile esercizio quando era ministro delle Finanze, per il momento non ci sta riuscendo. Ieri al Bundestag è stato poco esaustivo sul modo in cui coprirà il buco di bilancio da 60 miliardi creato da una clamorosa sentenza della Corte costituzionale. Non è solo un problema di quantità, che pure non è trascurabile. È un problema di qualità. Quei 60 miliardi servivano a finanziare la transizione energetica, uno dei pilastri del programma di governo della coalizione semaforo, formata da Socialdemocratici, Verdi e Liberali. Quei 60 miliardi venivano dai soldi non spesi del Fondo di stabilizzazione economica (WSF) – istituito nel 2020 per fronteggiare la crisi pandemica – ed erano finiti a creare a loro volta un altro fondo, uno dei tanti veicoli finanziari di scopo le cui spese non vengono incluse nel calcolo del deficit e del debito del Governo federale.

La Corte di Karlsruhe ha deciso alcune settimane fa che i capitoli di spesa non possono essere spostati con disinvoltura da un anno all’altro, da un fondo all’altro, senza una plausibile giustificazione, come nel caso dell’emergenza nazionale invocata per il Covid-19. E il Governo, sempre più in difficoltà nel coprire il buco, che cosa ha fatto? Ha dichiarato retroattivamente il 2023 come un anno di “emergenza nazionale”. Ciò gli permetterà per il quarto anno consecutivo di aggirare il freno costituzionale al nuovo indebito che limita il deficit strutturale allo 0,35% del Prodotto interno lordo.

Davanti al Bundestag e alle critiche dell’opposizione democristiana, Scholz ieri ha conservato una certa impassibilità sostenendo, ad esempio, che l’emergenza energetica non è finita e che i prezzi continuano a essere molto più alti di quanto non fossero prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Secondo il cancelliere non è solo una questione d’emergenza. Le risorse stanziate nella finanziaria, e ora cancellate con un colpo di spugna dalla Corte, servivano a finanziare la modernizzazione del Paese: “Sarebbe grave se interrompessimo questo processo”, ha detto riferendosi alla sentenza dei giudici, della quale – ha aggiunto – anche i prossimi governi dovranno tenere conto nella definizione delle loro politiche di spesa e investimento.

Poco o nulla ha detto su come vuole colmare il buco, se non che sono in corso negoziati e analisi tecniche per trovare una soluzione. È probabile a questo punto che la Finanziaria 2024 non venga approvata entro l’anno. Insomma, in Germania tutto sta diventando più difficile per Scholz e la sua coalizione di Governo. Le risorse del Fondo per il clima e la transizione (KTF) erano state volute fortemente dal ministro dell’Economia e dell’Ambiente, nonché vicecancelliere, il Verde Robert Habeck. Sotto attento scrutinio delle autorità di controllo finiranno probabilmente altri fondi fuori bilancio utilizzati ampiamente in questi ultimi anni. Ve ne sono in tutto 29 solo a livello federale, per una cifra complessiva di 870 miliardi di euro. La dichiarazione retroattiva sull’emergenza nazionale darà forse un po’ di respiro, ma le uscite del KTF sono state per il momento congelate e si dovranno cercare nuove voci di risparmio.

La presenza dei Liberali nella coalizione rende difficile, del resto, l’imposizione di nuove tasse, che sarebbero doppiamente impopolari in un momento di congiuntura negativa, dove la Germania di Scholz è l’unica tra le grandi economie dell’eurozona ad essere in recessione. L’opposizione della CDU è andata a nozze con la vaghezza del cancelliere durante il dibattito al Bundestag. Il leader Friedrich Merz ha di fatto irriso Scholz. Lo ha accusato di trucchi contabili che hanno come obiettivo quello di accontentare tutti i partiti della sua coalizione: i Liberali che volevano rispettare il freno costituzionale al debito; i Verdi che chiedevano massicci investimenti per la lotta al cambiamento climatico; e i Socialdemocratici che desideravano accrescere il budget per il Welfare: “Ha cercato di far quadrare il cerchio e il 15 novembre (giorno della sentenza della Corte costituzionale, ndr) il castello di carte è crollato”, ha detto Merz, il cui partito è saldamente in testa nei sondaggi con il 32% delle preferenze. In tutta questa difficoltà oggettiva sulle risorse di bilancio e nel continuo logoramento politico dell’alleanza di Governo, resta difficile come possa (e se possa) evolvere la posizione della Germania sulla riforma del Patto di Stabilità.

Il vertice della settimana scorsa a Berlino con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha senza dubbio segnato un salto di qualità nei rapporti bilaterali con la firma del Piano d’Azione, ma sul fronte delle regole comunitarie di bilancio le differenze restano. Eppure anche il freno costituzionale all’indebitamento sta diventando surreale perché può essere aggirato citando gravi emergenze. Così come è stato sospeso il Patto di Stabilità nella sua forma attuale perché, diversamente, sarebbe stato impossibile per l’Europa fronteggiare il doppio shock del Covid-19 e dell’invasione russa dell’Ucraina.

La logica suggerirebbe anche a Berlino – che non vuole rinunciare ai suoi piani di ammodernamento del Paese venendo da decenni in cui si è investito davvero poco in infrastrutture – di cercare un po’ di flessibilità per se stessa in nuove regole europee. La partita resta aperta, ma è il tempo a stringere. In mancanza di un accordo sulle proposte della Commissione UE torneranno in vigore dal 1° gennaio 2024 le vecchie regole che le crisi sistemiche avevano rese obsolete. Forse l’Unione e la Germania stessa hanno bisogno di più tempo per trovare un compromesso che non tagli le gambe alla crescita economica e aiuti gli investimenti necessari alla trasformazione economica. Scholz ha molto insistito anche sull’impegno della Germania nei confronti dell’Ucraina sostenendo che gli aiuti militari non potranno e dovranno venire meno e che una vittoria di Mosca avrebbe conseguenze devastanti per l’Europa. Una posizione nota, che a volte però contrasta con la realtà dei fatti, dove Berlino ha più volte mostrato difficoltà e lentezza nel fornire a Kiev mezzi necessari a fronteggiare l’attacco della Russia.

Più o meno nello stesso momento in cui il cancelliere riferiva in Parlamento della crisi di bilancio, faceva discutere in Germania (e in Europa) l’indiscrezione della Bild secondo la quale Washington e Berlino starebbero premendo per un congelamento del conflitto attraverso una sorta di Minsk III. In questo caso le forniture militari nell’ottica tedesca e americana servirebbero ad arginare Mosca, ma non a sconfiggerla.


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