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Matteo Salvini e Giuseppe Conte

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Probabilmente, nel dibattito parlamentare di ieri in vista del Consiglio Ue del 23 e 24 marzo, chi si è avvicinato di più alla verità è stato il capogruppo di Azione-Iv alla Camera, Matteo Richetti. Prima, quando ha detto: «Se la maggioranza è compatta io sono Marilyn Monroe». Poi, quando ha ironizzato sul ritorno delle relazioni pericolose tra Giuseppe Conte e Matteo Salvini: «L’intesa gialloverde è come un diamante:  è per sempre”.

In effetti, ieri i banchi del governo erano clamorosamente vuoti per l’assenza dei ministri leghisti. I quali hanno provveduto a raggiungere le postazioni dopo, alla chetichella, per evitare che le polemiche superassero il livello di guardia. Ma il linguaggio dei corpi (assenti) si era già espresso, a poco sono valse le giustificazioni successive dei leader del Carroccio.

I TEMI CALDI

Così, all’interno della maggioranza, la Lega continua a giocare la sua partita, cercando di tenere sulla graticola il governo sui punti che le stanno più a cuore. In primo luogo, la posizione neutralista sull’Ucraina, ai limiti del disimpegno dagli aiuti economici, ma soprattutto militari. In secondo luogo, l’opposizione al Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, detto anche Fondo salva-Stati (la cui funzione è concedere, sotto precise condizioni, assistenza finanziaria ai Paesi membri che abbiano difficoltà a finanziarsi sul mercato) nel tentativo di procrastinare il più possibile quella ratifica che Bruxelles chiede da tempo all’Italia.

Infine – ma è probabilmente il tema più sentito – la partita delle nomine negli enti pubblici: la nuova infornata di amministratori delegati è in arrivo e c’è il timore che Fratelli d’Italia possa fare la parte del leone, come è accaduto di recente, per esempio con l’assegnazione di presidenze e assessorati della Regione Lazio, la gran parte dei quali sono stati assegnati al partito di Meloni.

Non a caso, la diffidenza nei confronti del Mes e le perplessità verso gli aiuti militari all’Ucraina sono i due elementi che unificano un fronte trasversale comune tra Salvini e Conte. Un fronte che esiste dal 2018, all’esordio del governo Conte I, basato proprio su quell’intesa gialloverde la cui riemersione Ricchetti ha giustamente denunciato ieri.

Parlando dai banchi dell’opposizione, Giuseppe Conte colpisce duramente. «Le armi inviate in Ucraina da difensive sono diventate sempre più offensive» e tutt’altro che gratuite, accusa il leader del M5s. Che insiste: «Ieri la premier Meloni ha detto che sull’invio di altri aiuti militari all’Ucraina ci mette la faccia. Noi prendiamo atto del suo schietto appoggio alle lobby delle armi. Lei la faccia ce la mette, ma è una faccia di bronzo».

Quindi accusa: «Ci state trascinando di gran carriera in guerra, e laddove l’esito è l’uso dell’arma atomica non possono esserci vincitori. Non possiamo sostenere l’invio di ulteriori aiuti militari e dobbiamo uscire dell’equivoco che questo sia l’unico modo per arrivare alla pace».

L’AFFONDO DI CONTE

La coda del serpente arriva quando il capo dei Cinquestelle dice che, sull’Ucraina, il governo Meloni «è la brutta copia del governo Draghi». Insomma, la lingua batte dove il dente duole. Conte non ha mai digerito il governo Draghi e il suo posizionamento euroatlantico. Ancora meno digerisce il fatto che l’erede di quel governo sia oggi Giorgia Meloni. Ma tant’è. La difficoltà principale dei prossimi anni per il centrosinistra diviso sarà proprio questa: dover fare l’opposizione a un governo chiamato ad applicare una politica squisitamente atlantica ed europeista, nella quale il sostegno all’Ucraina resta fondamentale, proprio perché l’Ucraina, nel difendere se stessa, difende l’Europa (e l’Occidente) contro le mire espansionistiche del dispotismo orientale.

Peraltro, come dice Enrico Borghi, senatore del Pd, di certo poco tenero verso le posizioni neutraliste e filorusse di Conte, «se oggi si parla di interlocuzione è perché l’Ucraina c’è ancora. Altrimenti avremmo già i carri armati russi ai confini con l’Europa».

Un’osservazione che se, da un lato, sembra garantire la fermezza della posizione europeista del Pd di Elly Schlein, dall’altro lato, anticipa una divaricazione tra pentastellati e democratici che in vista delle elezioni europee potrebbe ulteriormente allargarsi.

LA REAZIONE DI MELONI

In ogni caso, Meloni sul punto è inflessibile: «Se noi ci fermiamo, consentiamo l’invasione dell’Ucraina: non sono così ipocrita da scambiare un’invasione con la parola pace. Credo non si debba consentire l’invasione dell’Ucraina, che non vuol dire non lavorare per un piano di pace: pensate davvero che a qualcuno piaccia la guerra? No, ma  chiaramente la situazione è un tantino più complessa di come la fa certa propaganda».

«Si parla di pace: quali sono secondo voi le condizioni per aprire un tavolo di trattative? – insiste Meloni rivolta all’opposizione – Ritenete che per aprire un qualsiasi tavolo di trattativa si debba o non si debba chiedere alla Russia di cessare le ostilità e ritirare le truppe dal territorio ucraino? Ritenete che si debbano rivedere i confini dell’Ucraina? E come? Ritenete che si debbano dare a Mosca i territori che ha occupato, sui quali ha celebrato un referendum di autodeterminazione? Questo è quello che vorrei sentire se stiamo parlando seriamente di pace, altrimenti quello che si sta facendo è la propaganda sulla pelle di una nazione sovrana, di un popolo libero e del diritto internazionale. E questo è irresponsabile».

I DISTINGUO DELLA LEGA

Alla fine, sull’irremovibilità europeista della premier  arriva l’allineamento della Lega. A rimarcare il classico cliché secondo cui, alla fine, la destra è più capace di superare le divisioni rispetto alla sinistra, pur di salvare l’unità.

Ma la partita non è definitivamente chiusa. Basta rileggere le dichiarazioni di Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega al Senato: «La Lega non crea alcun problema alla maggioranza, abbiamo però messo in evidenza una forte preoccupazione che la guerra, continuando così, possa portare a un’escalation molto pericolosa per tutti. Non è in discussione il sostegno all’Ucraina, ma siamo preoccupati dell’invio e dell’utilizzo di armi sempre più potenti».

Nel timore che «premere sull’acceleratore possa causare un incidente dal quale poi non si può più tornare indietro –  avvisa Romeo –  abbiamo chiesto al presidente Meloni di parlare in Consiglio europeo anche con i leader degli altri Paesi e in sede Nato per portare avanti una maggiore cautela». Insomma, la Lega conferma il sostegno all’Ucraina e conferma la navigazione del governo. Per ora. Ma le acque di questa traversata restano parecchio mosse e non bisogna escludere il rischio di future mareggiate.


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