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Giorgia Meloni

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Scomodare un grande del pensiero politico come Machiavelli in riferimento a questa campagna elettorale gli fa sicuramente torto, dato che i politici che si muovono nello scenario nostrano non meritano i parametri di un’analisi seria della politica. Pure alcune categorie di fondo del suo pensiero, a distanza di più di mezzo millennio dalla sua opera più nota sul “Principe”, vengono in mente in merito a una campagna politico mediatica che da subito ha dedicato le luci della ribalta a Giorgia Meloni.

Si tratta di luci che sono andate via via crescendo man mano che i sondaggi in suo favore davano sempre più il suo partito come sicuro vincitore, non solo all’interno della coalizione di Destra ma dell’intero arco dei partiti, e lei stessa altrettanto certa Presidente del Consiglio del futuro Governo. A proposito della odierna e parziale rivisitazione di Machiavelli, così tanto per pensare un po’, viene in mente innanzitutto il tema del celebre rapporto che egli pone fra virtù e fortuna, quest’ultima ritenuta addirittura «arbitra della metà delle azioni nostre» (XXV Capitolo del “Principe”).

Se la “virtù” è da intendersi come agire razionale del Principe in vista dell’acquisizione del potere e capacità di orientare i mezzi opportuni in tal senso, la “fortuna” è ciò che si dà nella cornice storica all’interno della quale egli agisce e che, ovviamente, nulla ha a che fare con la volontà del Principe e può potentemente ostacolarne o invece favorirne l’azione.

Ora se i fatti dimostrano, almeno stando ai dati dei sondaggi in costante ascesa, che quanto ad acume politico, nel senso di indirizzare proficuamente gli elettori con mezzi e strategie idonei per garantirsene il consenso, Meloni sta giocandosi molto bene le sue carte, altrettanto benevolmente sembra spirare su di lei il vento della fortuna che amici e nemici contribuiscono clamorosamente a renderle assolutamente favorevole, al di là delle loro dichiarate intenzioni.

Così la leader di Fratelli d’Italia si ritrova in posizione privilegiata, al centro della scena, nel bel mezzo di una autostrada del consenso elettorale, grazie ai “meriti”, o demeriti che dir si voglia, sia dei suoi litigiosissimi avversari politici l’un contro l’altro armati, sia di certi suoi alleati di coalizione che proprio non ce la fanno a mascherare la loro fede nel putinismo, né si trattengono dallo sbandierare irricevibili ricette improntate al più bieco elettoralismo dalle promesse facili.

Se poi Meloni si dimostra in grado, all’occorrenza, di presentarsi come vittima degli attacchi degli uni e degli altri, nemici e/o amici di cordata, di puntare qualche carta anche sul ruolo delle donne, allora il gioco è fatto e il successo assicurato, sulla via di una sorta di novella e nostrana Giovanna d’Arco che, ben salda contro tutti, tiene alta la bandiera dell’interesse dell’Italia che mai si stanca di evocare.

Cosa poi sia per lei questo passe-partout dell’interesse del nostro Paese, se abbia le tinte del suo piuttosto preoccupante recente, convinto, urlato e ben noto comizio nella piazza di Vox, o sia da intendersi invece all’interno di pacati toni filo-atlantici, filo-europeisti e addirittura facendo da ultimo affiorare qua e là aspetti di politica interna e internazionale di marca draghiana, tutto questo resta un bel mistero per i semplici elettori e in primis per quelli che vorrebbero davvero capire i lineamenti di un programma, i reali parametri di riferimento che lo sottendono ed essere certi che non si tratti di conversioni improvvisate, volte a rassicurazioni interne e internazionali.

L’orgogliosa rivendicazione del simbolo della fiamma tricolore, (né in casa nostra né altrove i simboli sono neutri!), insieme con altre scivolate nel corso della campagna elettorale di stampo non propriamente europeista e anzi marcate di sovranismo populista, lasciano perlomeno qualche dubbio sulla possibile via di Damasco che sembrerebbe imboccata da Meloni e che alcuni commentatori illustri tendono ad avvalorare come autentica conversione.

C’è addirittura chi saluta i ripensamenti di Meloni di cui sopra, rispetto al suo passato politico anche recente, come vera e propria prova di intelligenza da parte sua alla luce dei rapidi mutamenti dello scenario attuale, tanto più che, si sottolinea, in democrazia tutti hanno il diritto di cambiare idea (si veda l’articolo di Galli della Loggia sul “Corriere della Sera” di mercoledì, 14 settembre).

Ma ben presto arriva il momento in cui le parole non bastano più, né le buone intenzioni da proiettare in un futuro da Presidente del Consiglio in grado di tener fermo ai valori fondativi della UE e ci si deve concretamente schierare fin da ora: e quanto è successo da ultimo in seno al Parlamento europeo in cui gli europarlamentari di Fratelli d’Italia, insieme con quelli della Lega, hanno votato in appoggio a Orban e contro una risoluzione, approvata a larga maggioranza dello stesso Parlamento, in cui si denunciano le gravi violazioni del regime orbaniano, divenuto una “autocrazia elettorale”, vera e propria minaccia ai princìpi fondamentali dello Stato di diritto e ai valori costitutivi della UE.

Si farebbe torto alla intelligenza politica di Meloni se si accettassero le motivazioni che lei stessa ha fornito a garanzia del crisma di democraticità del leader ungherese: e cioè che Orban ha vinto più volte le elezioni politiche. Una leader così accorta non può ignorare infatti che esistono e sono esistiti in giro, in un passato più e o meno recente e anche al presente, in Europa e altrove, variegati modelli di regimi dittatoriali che non sono passati attraverso colpi di Stato.

Anche per quanto riguarda la UE, (oltre alla preoccupazione interna per cosa potrebbe avvenire anche in Italia se per caso si andasse verso una riforma della Costituzione sul modello di quella orbaniana, approvata a suon di maggioranze schiaccianti e illiberali), i cittadini/semplici elettori non possono che stigmatizzare il fatto che i partiti abbiano lasciato sullo sfondo, al di là delle dichiarazioni di rito, la grande e importantissima scommessa che è ora in campo e intorno alla quale si giocherà il futuro dell’ Europa: andare o no verso un salto di qualità di quest’ultima in senso federativo?

I partiti che preferiscono accontentarsi di mere prospettive intergovernative avrebbero fatto bene, rispettando gli elettori, a chiarire fino in fondo tale opzione, senza trincerarsi dietro opportunistiche ambiguità, destinate fin da ora a non reggere alla prova dei fatti.

L’asse Fratelli d’Italia-Lega di cui sopra, nello scenario del Parlamento europeo, non è “altro” rispetto a scelte fondamentali che il nostro Paese è chiamato a compiere e sugli indirizzi di riferimento in proposito: Orban o le grandi democrazie costituzionali dei Paesi fondatori dell’Europa ai quali l’Italia orgogliosamente e da sempre appartiene?

*Professoressa dell’Alma Mater Università di Bologna


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