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Mario Draghi e Volodymyr Zelensky

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FRA le tante ipotesi che in passato si sono fatte su ciò che avrebbe potuto portare alla crisi dell’edificio governativo costruito con pazienza da Mattarella per metterlo in mano a Draghi, pochi, forse addirittura nessuno, aveva previsto potesse esserci la politica estera. Raramente, infatti, nel nostro Paese è stato un argomento chiave del confronto politico. Ma come, diranno i nostri lettori più avvertiti, con tutte le discussioni che si sono fatte a partire dal 1948 in avanti sulla nostra collocazione internazionale, sul confronto Est-Ovest, sulla guerra fredda prima e poi sulla presunta “fine della storia” che si sarebbe determinata con la caduta dell’Urss. E perché non ricordare qualche impennata sulle scelte giallo-verdi circa la via della Seta e roba del genere.

IL TEATRINO RETORICO

Quelli, però non erano confronti sulla politica internazionale, erano sceneggiate ideologiche, roba che mischiava, anche in maniera spesso confusa, difesa della democrazia occidentale, scelta del progresso più o meno proletario, sogni di neutralismo da terza via e materiale simile. Tutta roba che è tornata sulla scena per la delizia dei talk show, consapevoli che la nostalgia per le scelte della giovinezza è un sentimento duro a morire e che di conseguenza fa audience. Del resto si ricorderà che Berlusconi raccolse una bella quota di consenso richiamandosi a un pericolo di avvento in Italia del sistema comunista, cosa che davvero era solo una favola senza realtà.

Oggi il tema della ridefinizione degli equilibri internazionali è molto concreto e sbagliano quei leader che pensano di approfittarne per rimettere in piedi un vecchio teatrino retorico senza costi, tanto serve per il grande pubblico, mentre nelle classi dirigenti tutti sanno che si recita a soggetto.

L’attacco al premier Draghi presentato come succube, addirittura come servo secondo i più esagitati, degli americani, la richiesta di un dibattito parlamentare per chiarire a cosa servono gli aiuti militari che inviamo all’Ucraina non è cosa da prendere sotto gamba. La ragione è semplice: questa volta non parliamo di massimi sistemi, di vaghe opzioni ideologiche destinate a incidere molto relativamente sulla realtà come fu ai tempi delle prese di posizione su molti conflitti alla periferia degli imperi. Adesso mettiamo in gioco la nostra posizione all’interno di un sistema di relazioni che è entrato complessivamente in conflitto e quel che faremo non sarà senza conseguenze. Augurarsi che si trovi modo di mettere, se non fine, almeno una pausa alla guerra in corso è ovviamente doveroso, ma pensare che lo si possa fare agitando un astratto richiamo ai grandi principi è illusorio e pericoloso.

LA PRECARIETÀ ITALIANA

L’avventurismo della politica estera di Putin era noto da tempo, così come la convinzione sua e del gruppo dirigente che gli sta intorno che si debba rimettere in sesto un quadro di potenze imperiali in cui la Russia ritrova un ruolo chiave, ridimensionando ovviamente lo storico competitore americano, e in cui per l’Europa non c’è posto né soggettività. L’Italia dove si colloca in questo contesto? La risposta “in Europa” è scontata, ma non è di quelle che non pongono alcun problema. Si dice, non senza fondamento, che gli Usa hanno colto perfettamente il senso della sfida di Putin e che di conseguenza l’hanno accettata senza farsi illusioni sul ruolo che il presidente russo ha assegnato loro se il suo disegno andasse in porto. In questo scenario la Ue come si colloca?

Per capirlo basta guardare alla posizione di Boris Johnson e del suo governo che dalla Ue ha voluto uscire. Il premier inglese ha preso al volo l’occasione per rilanciare l’asse anglo-statunitense il che rinsalderebbe la sua uscita dall’Unione europea in un’ottica di ritrovato protagonismo internazionale. Il che non è neppure del tutto infondato, perché è evidente che il Regno Unito può esibire un apparato militare molto superiore a quello degli ex partner europei, il che pensa gli conferisca un ruolo da co-protagonista nella nuova divisione del mondo (basta seguire le analisi sul ruolo dei britannici nel sostegno alle forze ucraine).

I due Paesi che hanno guidato, bene o male a seconda dei casi, la politica della Ue, cioè Francia e Germania, hanno coscienza del tornante storico di fronte al quale ci troviamo e hanno anche consolidato i rispettivi sistemi politici: Berlino è riuscita a superare il presunto trauma che si sarebbe verificato nel dopo Merkel (addirittura con inventiva politica quanto a coalizioni), Parigi ha visto la sconfitta di chi, come la destra di Le Pen e aggregati, invitava ad abbandonare la politica estera impegnativa per concentrarsi solo sugli squilibri interni.

L’Italia appare al momento precaria nei suoi equilibri politici, fra il resto con l’incognita di non sapere cosa arriverà dopo la fine dell’esperienza del governo attuale, fine inevitabile dopo che si saranno tenute le elezioni nazionali. Il nostro Paese non è in condizione di poter affrontare in orgogliosa solitudine il tornante storico che si è aperto. Non solo abbiamo in ballo una procedura di finanziamento con l’Unione europea in termini massicci (solo la Grecia ha chiesto come noi tutto l’accesso possibile al debito, gli altri per lo più si sono limitati ai sussidi a fondo perduto), ma abbiamo già una situazione di debito pubblico che ci rende aggredibili facilmente se dovessero venire meno le solidarietà internazionali cui abbiamo accesso per il nostro posizionamento nel sistema europeo e occidentale.

ESCAMOTAGE DEMAGOGICI PER RACCATTARE VOTI

Che senso ha, allora, inseguire gli escamotage demagogici per raccattare voti contando sulle reazioni di pancia di una parte del pubblico? Per di più ora che siamo impegnati in un’azione di riforme strutturali a cui i nostri partner guardano per saggiare davvero la nostra capacità di “ripresa e resilienza”.  Già non mancano gli scettici sulle nostre possibilità di recuperare una serie di ritardi accumulati per molte ragioni, inclusa quella dell’incapacità di resistere alle reti corporative che non sono disponibili a ragionare in termini di interessi generali. Vogliamo allargare quella platea di dubbiosi sulla tenuta del nostro sistema?

Queste sono le domande che l’opinione pubblica dovrebbe porre a tutte quelle forze che scherzano col fuoco proponendo soluzioni di corto respiro che forse (molto forse) darebbero qualche piccolo risultato oggi, ma che già domattina ci getterebbero in un mare di problemi difficilmente affrontabili.

(da Mente Politica)


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