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Si ricomincia a parlare del reddito di cittadinanza del governo giallorosso. Qualcuno vorrebbe abolire tale strumento. Ma, prima del suo varo, il nostro era uno dei pochi paesi in Europa, insieme alla Grecia, che non aveva, a parte il reddito di inclusione molto selettivo, uno strumento per aiutare gli ultimi.

Al di là delle dichiarazioni di Luigi Di Maio sull’abolizione della povertà, dello strumento, al netto degli utilizzi dei furbetti dei quartierini, che però sono stati molto contenuti nei numeri, hanno beneficiato oltre due milioni di persone. Quindi era opportuno averlo, soprattutto in una realtà come l’Italia dove tre regioni, Campania, Sicilia e Calabria, sono ai primi posti in Europa per rischio di povertà, superando anche regioni estremamente indietro della Romania, della Grecia e della Spagna.

EFFETTI INDIRETTI

Bisognava però sapere che si mettevano le mani su un argomento molto delicato che è quello del mercato del lavoro. Invece le ingenuità che hanno caratterizzato la legge che si è approvata e sulla quale adesso qualcuno, con un linguaggio inadatto e molto populista, dice di voler fare un “tagliando”, sono state molte.

Intanto per un approccio avvertito si devono immediatamente scindere l’aspetto dell’assistenza degli ultimi e quello delle politiche attive, errore che ha determinato il fallimento parziale dell’azione del reddito di cittadinanza perché il legislatore non aveva previsto tale distinzione.

Quindi, per riepilogare, ben venga una misura che aiuti gli ultimi a sopravvivere. Ma non dimenticando gli effetti indiretti di un’azione come quella che si è adottata. Infatti un emolumento, senza corrispettivo, può smarcare il mercato del lavoro.

Pensate a chi può avere un sussidio di 700-800 euro restando a casa, occupandosi della propria famiglia, magari dei piccoli interessi che riguardano il terreno del padre o proprio e, in pochi casi, anche potendo assumere un lavoro in nero, aggiungendo al sussidio una remunerazione, considerato che nel nostro Paese l’occupazione per una percentuale del 20-30% è costituita da lavoro sommerso, come si evince in modo evidente dal confronto dei dati campionari sul mercato del lavoro, pubblicati dall’Istat, con quelli amministrativi che vengono dagli archivi Inps.

I FALLIMENTI

Quindi si capiscono le lamentele che vengono da molti imprenditori che, pur in presenza, per esempio nel Mezzogiorno, di una esigenza di 3 milioni di posti di lavoro per avere quel rapporto fisiologico tra occupati e popolazione di una regione a sviluppo compiuto, come l’Emilia Romagna, non riescono a trovare forza lavoro disponibile.

È pur vero che il mercato del lavoro è segmentato e che quindi spesso può accadere che vi siano richieste di alcune professionalità che non hanno riscontro, pur in presenza di disoccupati per altre aree. Per esemplificare, se serve gente che vada a raccogliere l’uva è improbabile che si renda disponibile una persona con il titolo di ragioniere che cerca una posizione amministrativa.

Per cui molti lavori che gli italiani non vogliono più non possono che essere ricoperti da forza lavoro straniera comunitaria, come rumeni o polacchi o extracomunitaria come filippini marocchini o tunisini.

Ma non vi è dubbio che un effetto di smarcamento di una tale legge possa esserci, per cui è necessario che coloro che hanno diritto a un reddito di cittadinanza debbano essere impegnati in qualche modo.

Tale utilizzo si deve effettuare con molta attenzione perché non diventi per molte istituzioni l’alternativa alle assunzioni per concorso, come è già avvenuto, ma bisogna evitare, come è accaduto, che i fruitori del reddito di cittadinanza possano essere disponibili per lavori sommersi.

A proposito, invece, delle lamentele degli albergatori della costa adriatica, che non vedono più arrivare camerieri per i loro alberghi, non devono dimenticare che pensare che qualcuno si sposti da una parte all’altra del Paese per guadagnare 1.000 euro e mandarne alla famiglia 100 o 200, perché il resto serve per sopravvivere, è inconcepibile. La mobilità è un valore, ma questa è emigrazione e forse non serve a nessuno.

Ma il tema del fallimento dei navigator, che ha trovato lavoro solo all’1,7% dei precettori del reddito, dipende dal fatto che cercavano l’isola che non c’è. Erano e sono rabdomanti nel deserto e non potevano che fallire. Nel dettaglio si parla in totale a fine 2019 di 39.760 occupati, collegati con le aziende che cercavano da parte dei navigatori: una percentuale risibile.

Il presupposto dal quale è partito il legislatore del governo giallo verde è che la disoccupazione al Sud fosse dovuta all’impossibilità della domanda di lavoro di incontrare l’offerta. Quindi l’esigenza di avere una figura che aiutasse tali soggetti, impresa e lavoratori, ad incontrarsi.

OCCUPAZIONE REALE

Ovviamente non conoscevano tali legislatori i dati sul mercato del lavoro del Sud. E cioè che a fronte di una popolazione di quasi 21 milioni di abitanti esistono soltanto poco più di 6 milioni di posizioni lavorative, e che per soddisfare tutte le esigenze espresse e nascoste nei Neet ( Not in Education in Employment and in Training), conosciuti anche come lavoratori scoraggiati, sono necessari oltre tre milioni di nuovi posti di lavoro, cioè di saldo occupazionale, considerato che il lavoro è come le persone, nasce cresce e anche muore.

Potevano i poveri navigator creare dal nulla quello che non esiste? Era evidente che il loro compito sarebbe stato arduo perché era stata data a loro una missione impossibile.

Bisogna invece convincersi che al Sud serve una politica che crei occupazione reale. E considerato che l’imprenditoria locale si è ormai espresso al suo massimo, bisogna attrarre investimenti dall’esterno dell’area.

Le Zes, se messe in opera in maniera adeguata e seria, possono essere una risposta, ma attuare le condizioni dell’attrazione è complesso. A cominciare dall’infrastrutturazione del territorio, indispensabile ma costosissima e in ogni caso che richiede tempi lunghissimi anche se si dovesse iniziare domani, e così non sarà.

Si pensi per tutti all’alta velocità ferroviaria Salerno Palermo/Augusta. 800 chilometri che, se è corretto il costo della vera alta velocità di 50 milioni a chilometri, prevede un costo complessivo di 40 miliardi.

Affrontare materie così delicate con la voglia di andare in balcone a dichiarare ridicolaggini non fa bene né ai destinatari dei provvedimenti, ma neanche alle parti politiche che prima o poi pagano il conto. Troppo serio l’argomento lavoro per essere utilizzato per azioni demagogiche.


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