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Mario Draghi nel Cortile d'Onore del Quirinale

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Nello suo intervento in Parlamento il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha snocciolato con grande soddisfazione i dati della campagna vaccinale che vedono l’Italia procedere speditamente: “E pensare che a fine giugno solo un terzo degli italiani erano vaccinati” con doppia inoculazione. Per poi spiegare che sul fronte dell’immigrazione non solo è giusto e necessario confermare i valori europei della solidarietà e dell’accoglienza che sono espressioni di civiltà irrinunciabili, ma altresì che la questione deve finalmente avere una dimensione davvero europea. E il richiamo alla Ue ha pervaso anche i riferimenti di Draghi alla transizione energetica e al decisivo terreno dei semiconduttori.

Molta Italia e molta Europa, dunque, com’è nello stile sobrio ed essenziale di SuperMario. Sono risposte neanche tanto implicite al popolo dei No vax e a chi tenta di usarlo in modo politicamente strumentale, e alla necessità del rapporto con Bruxelles, fondamentale per la credibilità e affidabilità di un Paese come il nostro.

Sono i cardini dell’azione di governo oggi; potrebbero diventare i riferimenti per il mandato di capo dello Stato in un domani assai ravvicinato. Il vero punto politico, infatti, sta qui: nell’elezione del successore di Sergio Mattarella. I risultati delle consultazioni amministrative – ferma restando l’indiscutibilità della vittoria del centrosinistra e in particolare del Pd – hanno offerto il quadro di un sistema politico ultra frastagliato, dove il cemento coalizionale è apparso di scarsa qualità se non inestinte pur se si è votato con il meccanismo del doppio turno.

Una prima risposta è arrivata agli sconfitti, dal centrodestra. Nella riunione congiunta Salvini-Meloni-Berlusconi è stato sottolineato il no a legge elettorali di impianto proporzionale. Vuol dire che Lega, FdI e Forza Italia si presenteranno alle elezioni in uno stesso schieramento, con candidati comuni nei collegi uninominali. E soprattutto che le possibilità di costruire maggioranze Ursula, cioè con Berlusconi che fa il salto della quaglia e si allea col centrosinistra, sono allo stato, pressoché inesistenti.

Il tutto però tenendo conto del forte travaglio che proprio il partito degli Azzurri sta vivendo. La vicenda dell’elezione di Paolo Barelli a capogruppo alla Camera in sostituzione di Roberto Occhiuto diventato governatore della Calabria, ha scoperchiato tensioni e malumori per una presunta subordinazione di FI agli alleati, che sono destinati a lasciare il segno.

Adesso toccherà al fronte opposto spiegare quale offerta politica intende proporre. L’accordo con i Cinquestelle renderà difficile costituire il “campo largo” cui si ispira Letta, ma è anche vero che se il meccanismo elettorale resta invariato per i centristi superare la soglia di sbarramento e avere rappresentanza parlamentare risulterà assai complicato e perfino impossibile.

Anche per Calenda, Renzi e centristi sparsi diventerà perciò obbligatorio coalizzarsi pur se attualmente tante cose li dividono: principalmente il fatto di avere molti generali e poche truppe. Insomma l’evoluzione dello scenario politico resta avvolto nella nebbia. Si mescolano le ambizioni e i risentimenti di vari leader con la sostanziale ingovernabilità di un Parlamento che avrà il compito paradossale di eleggere il nuovo capo dello Stato sapendo che un terzo dei suoi rappresentanti non potranno essere rieletti visto il taglio imposto dal M5S e accettato dal Pd nel momento della costituzione del Conte due.

In sostanza oltre trecento tra deputati e senatori depositeranno nell’urna presidenziale la scheda con il nome del prescelto e sarà come dire un addio alla funzione fino a quel momento svolta. È una situazione che rende il vincolo di partito qualcosa di ectoplasmatico.

In particolare nel campo dei Cinquestelle, dove oltre al taglio dei componenti di Camera e Senato, c’è da considerare che la percentuale del 33 per cento ottenuta nel 2018 è una chimera e che il bottino alle prossime elezioni politiche, quando si terranno, sarà molto più ridotto.

È un problema che si deve porre Giuseppe Conte ma che piomba addosso ai suoi alleati e in definitiva minaccia di intorbidare la corsa verso il Quirinale. Che, vale ricordarlo, è l’unica e ultima istituzione a cui gli elettori concedono fiducia: se dovesse verificarsi un collasso come accadde per la rielezione di Napolitano oppure se giochi più o meno sotterranei e più o meno chiari dovessero avere la meglio, il rimbalzo negativo verso i cittadini, che già disertano al 50 per cento i seggi elettorali, finirebbe per essere devastante.

Per questo è auspicabile che le forze politiche e i rispettivi parlamentari abbiano un sussulto di senso di responsabilità, indicando candidati all’altezza del compito e ricercando intese le più larghe e unitarie possibili.

Nel frattempo, as usual, Draghi continua a governare. Il capitolo più significativo della manovra di bilancio è rappresentato dal taglio delle tasse ed in particolare del cuneo fiscale. Materia sulla quale soprattutto i nervi del centrodestra sono sensibili. Il presidente del Consiglio segue il suo cronoprogramma senza indugi o incertezze. Non si fa distrarre dal “calendario elettorale”. Eppure anche per lui – anzi forse soprattutto per lui – l’inizio del 2022 diventerà una sorta di complicatissimo risiko.


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