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Vito Petrocelli

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Strano Paese, il nostro. Dove putiniani ed ex putiniani continuano in Parlamento ad occupare i posti chiave della politica estera. Come se la guerra non ci fosse e le poltrone si potessero occupare “a prescindere”. Due esempi su tutti: Vito Petrocelli e Manlio Di Stefano, il primo senatore, il secondo deputato, entrambi M5S. Non due qualunque, dunque, ma il presidente della Commissione esteri del Senato e il sottosegretario agli Esteri. Il primo nel giugno del 2019 firmò un protocollo di partenariato con la Russia di Putin. E non ha cambiato idea. Anzi. Ha votato contro le sanzioni. Oggi che la commissione di Palazzo Madama voterà il decreto pro-Ucraina e l’annullamento di quell’accordo lui – fatalmente – non ci sarà. Con perfetta scelta di tempo è volato negli Usa.

Non ha rassegnato le dimissioni. Non lo ha fatto neanche dopo la pubblicazione del documento da lui firmato che impegnava l’Italia e la Federazione russa ad un reciproco rapporto di collaborazione, con scambio di funzionari e informazioni. E il voto contro le sanzioni? E la politica estera del governo non condivisa? Quisquilie. Divergenze di vedute, cosa di poco conto.
E che dire del sottosegretario Di Stefano? Non ha mai stato mistero delle sue simpatie filo-russe. Non girava con le felpe con stampata il profilo grafitizzato dello zar russo, come Matteo Salvini, ma ci è andato molto vicino. Anche Di Stefano, in piena crisi ucraina, come le bombe dell’ex amico Vladimir che sfiorano i timpani dei polacchi, ha pensato bene di prendere un aereo e partire. Dai profughi? No, in Brasile, ad incontrare la comunità italiana…

MIMETISMO GRILLINO

Altro che trasformismo. Qui siamo al mimetismo da salamandra, a mister Houdini, al mago illusionista. Scompare mentre le bombe continuano a cascare su Kiev, dopo essere apparso nel giugno del 2016 a Mosca per incontrare Sergey Zheleznyak e Andrey Klimov. Il suo compagno di viaggio era allora Alessandro Di Battista, futuro dissidente grillino. Li accolsero gli emissari di Putin che si adoperavano per costruire un fronte europeo anti-sanzioni. Obiettivo: attirare il governo giallo-verde nell’orbita del Cremlino.
Sarò un caso ma in nessun programma ufficiale del Movimento fondato da Beppe Grillo viene espressa una posizione precisa in politica estera. Negli incontri si parla a nome del governo ma esprimendo posizioni personali. Così che la Crimea diventa il riflesso pavloviano della politica Nato. Un incidente da condonare, un torto che si può riparare con una sanatoria. Il concorso di colpa che estingue il reato E poco importa se ora, a distanza di 6 anni, i giovani di Sebastopoli vengano arruolati e mandati al fronte contro qualsiasi regola, calpestando la Convenzione di Ginevra.

GAFFE E GIRAVOLTE

Un ponte verso la Russia è quello che avrebbe voluto lanciare anche il nostro attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio, quando, sempre nel 2016, dalla tribuna dei lavori congressuali di “Russia Unita”, proclamò il suo “basta sanzioni!”. Ad onor del vero va aggiunta però una peculiarità tipica dell’attuale capo della Farnesina. Già studiava da “democristiano”, sperimentava la postura che a noi italiani da che mondo e mondo – Montanelli docet – ci riesce meglio: stare con un piede in due staffe. Amoreggiare con la Casa Bianca, flirtare con il nemico. Dire all’Europa che “l’eventuale allargamento della Nato ad Est avrebbe potuto causare problemi”, alla Russia che avremmo fatto lobbying per togliere le sanzioni. E tenersi buoni gli iscritti al Movimento.

Sono i giorni in cui “ilblogdellestelle” si interrogava: “Se gli Stati Uniti annettessero una delle regioni settentrionali del Messico occupandola militarmente, ci sarebbero stesse proteste popolari (nulla) che ci sono state con l’annessione della Crimea?” Tempi in cui – come scrive un iscritto sul web della Casaleggio & associati, sostenere Putin “fa figo”. “Basta appiattirsi!”, l’invasore sono gli Usa. “Le sanzioni italiane – chiarì Di Stefano, intervistato da Radio Radicale perché sospettato di essere filorusso – sono un crimine contro le nostre aziende. L’export italiano è crollato di 3 miliardi negli ultimi 3 anni. Noi in Parlamento abbiamo fatto atti legislativi per rimuovere le sanzioni, non siamo né filorussi né filo statunitensi, siamo filo italiani”. E i diritti umani calpestati da Putin? “Le sanzioni sono state volute dagli Usa per l’invasione della Crimea, non per i diritti umani. Casomai quei diritti sono stati violati dagli Ucraini ad Odessa”.
L’espansione della Nato negli Stati cuscinetto veniva vista dall’attuale sottosegretario agli esteri come un pericolo, la possibilità di una Terza guerra mondiale. Frasi che all’epoca cadevano nel vuoto e oggi suonano come premonizioni. Il fatto è che Di Stefano, palermitano, 42 anni, laureato in ingegneria informatica, non veniva preso troppo sul serio dagli avversari ma neanche dai suoi. L’8 giugno del 2015, ovvero 16 mesi dopo l’invasione della Crimea, scrisse che l’Ucraina era “un fantoccio Ue”. Che a Kiev c’era stato “un vero e proprio colpo di Stato e che adesso il Paese sarebbe diventato una base Nato per lanciare l’attacco finale alla Russia”.

Prima delle capriole c’erano state le gaffe. La più cliccata fu quando, dopo l’esplosione al porto di Beirut costata centinaia di morti, Di Stefano confuse in un tweet il popolo libanese con quello libico e si irritò quando glielo si fece notare. Dopo di lui, a ruota libera, la senatrice pentastellata Elisa Pirro fece la stessa gaffe esprimendo il suo “cordoglio al popolo libico”. Un refuso doppio.

BULLISMO DIPLOMATICO E LE SCUSE ALLA BELLANOVA

Imprimere una svolta alla politica estera della Farnesina. Equidistanza, stop al bullismo diplomatico di Washington. La linea, semmai ci sia mai stata una linea, era questa. Strizzando l’occhio alla Russia e all’occorrenza anche alla Cina. Nei giorni della rivolta di Hong Kong Manlio Di Stefano, simpatizzando con il regime di Xi Jinping, ricordò che “il principio di autodeterminazione va sempre tutelato”.

La specialità della casa resta insomma la capriola, il salto acrobatico. Come quando Di Stefano disse che il contesto storico ormai era cambiato e che dunque “il gasdotto Tap per diminuire la nostra dipendenza dalla Russa andava rafforzato”. L’ex ministra all’Agricoltura, ora sottosegretaria alle Infrastrutture Teresa Bellanova a quel punto però è sbottata e gli ha scritto: “Caro Di Stefano, la correttezza verso gli elettori, il rispetto umano nei confronti degli avversari politici e il rigore etico verso se stessi hanno bene poco a che fare con il contesto storico. Noi siamo ancora qua in attesa delle vostre scuse”. Sta ancora aspettando.


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