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Matteo Salvini e Giuseppe Conte

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MARIO Draghi ha rassegnato le dimissioni. Ricostruiamo brevemente come  e perché il Paese ha dovuto subire l’ultima beffa dei grillini. I «retroscenisti» ben informati  raccontano il contenuto riservato di una telefonata tra Mario Draghi e Giuseppe Conte durante questi momenti convulsi. Al premier che chiedeva al suo predecessore di fargli capire che cosa fosse successo in ben 14 ore di riunione, Conte ha risposto ricordando la storiella dello scorpione che si fa trasportare da una rana nell’attraversamento di un fiume, dopo averle promesso che non l’avrebbe mai punta con l’aculeo velenoso perché sarebbe morto anche lui annegato. Invece, a metà del guado, lo scorpione fa scattare la puntura fatale. La rana morente chiede al suo passeggero quale fosse la logica di un gesto suicida e riceve questa risposta: “Ho obbedito alla mia natura, ho seguito la mia indole”.

Proprio così, la linea di condotta del M5S al Senato, nel voto di fiducia per la conversione del decreto Aiuti, rasenta l’inverosimile, ma quel movimento sembra aver agito “secondo natura”, dopo anni in cui, con diverse maggioranze, è sempre rimasto al governo.

Nel tragico 2018 – l’anno di straordinaria follia dell’elettorato italiano – il movimento degli “scappati di casa” aveva vinto le elezioni con la promessa di aprire il Parlamento come una scatola di tonno. Gli era riuscita, con la complicità di altre forze politiche, soltanto un’amputazione del numero dei componenti delle due Camere. Poi, il suo stato maggiore sembrava aver abbracciato la dottrina Andreotti secondo la quale il potere logora chi non ce l’ha. I suoi esponenti si erano messi ad indossare con disinvoltura gli abiti a doppiopetto e i tailleur. Ma alla fine – galeotto fu il termovalorizzatore di Roma – ai senatori pentastellati è tornata la voglia delle scarpette da tennis e di rispondere al richiamo della foresta. Conte non ha potuto fare altro che dismettere la pochette e trasformarsi – lui ex presidente del Consiglio – in un discendente del ramo pugliese di Masaniello.

Certo, non è la prima volta che le maggioranze vanno in tilt per motivi strumentali e incomprensibili ai comuni mortali. Senza andare troppo indietro fino alla compianta Prima Repubblica, la cosiddetta Seconda è contraddistinta dai tradimenti, dai veleni, dai voltafaccia. Nel 1994 Umberto Bossi, lusingato dal presidente Scalfaro, mollò Silvio Berlusconi come un cane in autostrada. Il governo dell’Ulivo di Romano Prodi cadde su iniziativa di Fausto Bertinotti che, da leader di Rifondazione comunista, pretendeva la riduzione dell’orario di lavoro per legge a 35 ore settimanali. Lo stesso Prodi, alla guida del governo dell’Unione (17 partiti rappresentati) fu condizionato da eccentrici personaggi ultrapacifisti, poi, per le note ragioni, gli venne a mancare l’appoggio dell’Udeur di Clemente Mastella. Progredendo lungo le successive legislature, come non ricordare il “che fai? Mi cacci?” di Gianfranco Fini che, dallo scranno di presidente della Camera si mise a fare opposizione a Silvio Berlusconi, fino a quando non ebbe luogo la “defenestrazione” di quel governo per iniziativa del Quirinale e attraverso Mario Monti. Abbiamo poi dovuto registrare un “stai sereno a Enrico Letta” ripetuto da Matteo Renzi, mentre il “giovane caudillo” (copyright Ferruccio de Bortoli) gli sfilava la sedia da sotto.

In questa legislatura, però, si è toccato il fondo dell’assurdo. Matteo Salvini  si mandò a quel paese da solo, dopo essersi convinto – al Papeete – di poter ottenere dagli italiani i “pieni poteri” accusando il governo di cui faceva parte di non avere “voglia di fare”, nonostante che i suoi alleati lo accontentassero in tutte le sue pretese. Poi c’è stato il guizzo di Matteo Renzi che non solo ha fatto saltare il Conte 2, ma pure ad impedire la nascita – auspicata da tanti del Pd – del Conte 3 e ad attribuirsi l’avvento del governo Draghi. In tutte queste vicende – anche nelle più contorte e imbarazzanti – era possibile intravvedere il filo di una tattica politica (per carità, non si parli di strategia!).

Ma dove sta il beef nell’ultima iniziativa di Conte? C’è forse l’intenzione di aprire il Paese come una scatola di tonno? Il Paese è in mezzo ai guai: il PNRR che stenta a scendere sul terreno; la guerra in Ucraina; l’epidemia che non demorde; l’inflazione che corre; la crisi energetica; la siccità. E la minaccia che la combinazione di questi fattori di crisi (che dipendono da fatti e eventi esterni all’azione del governo) si trasformi in una bomba sociale in autunno (la Cgil continua a soffiare sul fuoco). Peraltro se si andasse alle elezioni anticipate il M5S rischierebbe di non raggiungere neppure una percentuale a due cifre. E non avrebbe la possibilità di motivare il suo strappo con la richiesta di “fare di più”, visto che con la sua iniziativa impedisce al governo – che ha fatto tanto – di continuare sulla via dei sostegni alle famiglie e alle imprese.

Il M5S difende il reddito di cittadinanza? Il governo ha apportato soltanto delle modifiche che favoriscono l’accesso al lavoro che è il limite riconosciuto da tutti del RdC. Il M5S chiede l’introduzione del salario minimo legale? E’ un tema al centro del confronto con il sindacato, come la cabala della lotta alla precarietà. Il ragionamento potrebbe continuare; finiremmo però per sottolineare un’eccessiva arrendevolezza del governo Draghi che non riesce più a distinguere tra debito “buono” e “cattivo”. Il che desta qualche preoccupazione in vista di un cambio di linea a livello della Ue e della Bce rispetto all’uso e all’abuso del deficit spending.

Fuori dal governo e dalla maggioranza, il M5S ha soltanto una carta da giocare: spostarsi all’estrema sinistra che poi significherebbe abbandonarsi al più becero populismo. Conte si appresta a raccogliere l’invito di Michele Santoro e ad indossare una pochette rossa? Ma c’è già Alessandro Di Battista che batte quella pista.

Concludendo: il governo ha ottenuto la fiducia nel voto sul decreto della discordia anche al Senato. In tanti di quei casi che abbiamo ricordato si è trovato un rimedio alle situazioni di stallo che si erano determinate; ricordiamo tanto per fare un elenco approssimativo: il governo Dini, i governi D’Alema prima e Amato poi, il governo Gentiloni. Enrico Letta riuscì persino a governare con Berlusconi, poi  col Ncd di Angelino Alfano.  Il Conte 2 fu un capolavoro di trasformismo ma tagliò la strada alla corsa di Salvini, che da allora non si è più ripreso. Quando cadde il Conte 2 vi furono addirittura delle forze politiche, a partire dal Pd, che si misero a fare incetta di parlamentari “responsabili” in numero adeguato a rimpiazzare quelli di Italia Viva.

Mario Draghi ha ritenuto corretto dimettersi. Ma la politica è l’arte del possibile. In Mattarella we trust. Intanto, i cinghiali romani continuano a pascolare tranquilli.


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