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Elly Schlein e Giorgia Meloni

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Giorgia contro Elly. Elly contro Giorgia. Ruota attorno alla sfida tra la presidente del Consiglio e la neo segretaria del Pd il lungo pomeriggio di Montecitorio. L’attesa è tanta. «Forse eccessiva», sussurra un deputato democrat prima del fischio d’inizio del question time, dove per la prima volta Giorgia Meloni risponde alle domande dell’emiciclo della Camera. Prima di cominciare Schlein carica i suoi: «Facciamo vedere a Meloni come funziona una vera opposizione». Ragion per cui qualcuno esclama: «Siamo tornati al bipolarismo muscolare…».

Tutto questo succede attorno alle tre di pomeriggio. Meloni si accomoda tra i due vicepremier, Antonio Tajani e Matteo Salvini. Un sorriso e si parte. La prima domanda proviene dallo scranno di Riccardo Magi, segretario di +Europa. L’interrogazione dell’ex radicale picchia duro sull’imbarazzo dell’esecutivo dopo Cutro e riceve gli applausi da parte di Schlein: «La domanda è “è stato fatto tutto il possibile?” Capiamo il suo imbarazzo, visto che fino a poco tempo fa andava dicendo che andavano affondate le navi ong, ma abbassi la testa». Risposta dell’inquilina di Palazzo Chigi: «Dobbiamo prevenire i trafficanti e investire sulle rotte legali, la nostra coscienza è a posto. Spero che chi attacca il governo e non dice nulla sugli scafisti possa dire lo stesso».

E ancora: «Finché ci saranno partenze su barche in pessime condizioni e con pessime condizioni meteo ci saranno perdite di vite. Bisogna investire sulle rotte legali, ed è esattamente il lavoro che sta facendo il governo». A questo punto tocca al verde Angelo Bonelli porre una serie di quesiti sulla strategia dell’esecutivo per il raggiungimento degli obiettivi climatici stabiliti dall’Unione Europea e sull’utilizzo delle centrali nucleari di fissione. La replica di Meloni è di questo tenore: «Gli italiani non hanno scelto un governo composto da pericolosi negazionisti climatici. Riteniamo che, nel rispetto degli impegni internazionali assunti sulla riduzione delle emissioni clima-alteranti, si debba mantenere un approccio pragmatico e non ideologico». Intanto presiede l’aula l’amico-nemico Fabio Rampelli, storico dirigente di Fratelli d’Italia.

Il clima si surriscalda quando il renziano Luigi Marattin chiede chiarimenti sul Meccanismo europeo di stabilità, il famoso Mes: «Presidente, quando ratifichiamo il Mes? Presidente, che stiamo aspettando? Il Mes nasce per aiutare uno stato quando questo perde l’accesso ai mercati e lo stesso avviene una banca, anziché lasciarla morire gli si forniscono prestiti». Meloni scuote la testa e risponde per le rime: «Finché ci sarà un governo guidato da me l’Italia non potrà mai accedere al Mes. E temo che non potranno accedere neanche gli altri». E ancora, sempre sul Mes: «Bonomi, presidente di Confindustria, storicamente sostenitore del Mes, dice che se noi riteniamo che il nuovo regolamento del Mes non sia nell’interesse del Paese e non sia adeguato alle sfide, dovrebbe essere il momento di discutere come usarlo come uno strumento di politica industriale europea. Il tema è che l’Europa potrà affrontare le sue sfide se riesce a fare sistema e proiettarsi verso una politica di sviluppo comune, e la proposta di Confindustria viene presa seriamente in considerazione dal governo».

Va da sé, il climax di giornata si raggiunge quando entra in scena Elly Schlein. La segreteria del Pd ha letto e riletto l’intervento. Si alza, guarda negli occhi Meloni, e inizia l’arringa che verte sul salario minimo. È questa la fotografia di giornata: la segreteria del Pd versus la presidente del Consiglio. «Signora presidente c’è un dramma di questo paese di cui non ci sentiamo parlare mai. La precarietà è il lavoro povero, più di tre milioni di lavoratrici e lavoratori poveri anche se lavorano, occorre fissare per legge un salario minimo perché sotto una certa soglia non si può chiamare lavoro ma sfruttamento. Lei qualche tempo fa ha definito il salario minimo uno specchietto per le allodole. Il Pd ha presentato una proposta come altre forze politiche ma le avete respinte tutte. Le chiedo di approvare subito un salario minimo e un congedo paritario».

Meloni assicura che il suo approccio è pragmatico ma non ideologico, ma la risposta sul tema sollevato dalla segretaria del Nazareno è no: «Il governo non è convinto che la soluzione a questo sia il salario minimo legale. Il salario può non diventare un parametro aggiuntivo delle tutele ma un parametro sostitutivo e nel nostro sistema rischierebbe di creare situazioni peggiori di quelle che abbiamo oggi. Credo sia più efficace estendere la contrattazione collettiva anche ai settori dove oggi non è prevista e lavorare per combattere le discriminazioni e le irregolarità». Sia come sia, in questo contesto di sfida c’è una mezza apertura da parte di Meloni sul congedo parentale: «Siccome abbiamo molto a cuore la questione della denatalità sul tema del congedo parentale sono sempre pronta a confrontarmi».

Schlein non ci sta e piega la testa fino a toccare lo scranno, poi afferra il microfono e dice: «Signora presidente, le sue risposte non ci soddisfano. Le vorrei ricordare che adesso c’è lei al governo e io sono all’opposizione, non è più il tempo di dare le responsabilità ad altri, ma di dare le risposte. Siete in carica da soli 5 mesi, è vero, ma state andando nella direzione sbagliata. Siete una destra ossessionata dall’immigrazione e non vedete le migrazioni dei giovani che sono costretti a causa dei salari bassi a cercare all’estero di andare a realizzarsi. Le vostre emergenze sono altre, la capisco, sono i rave, i condoni, la guerra alle Ong e da ieri colpire i figli delle famiglie omogenitoriali che hanno diritti come tutti gli altri. Sul piano sociale la vostra azione si definisce con tre parole: incapacità, approssimazione e insensibilità. Ma la vostra propaganda sta sfumando e verrete giudicati per quello che fate e non per le facili promesse alimentate per anni che sono già smentite dal suo governo». Ed è così che finisce il primo round della sfida tra Giorgia ed Elly.


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