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Ignazio La Russa e Giorgia Meloni

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Serpeggia nella maggioranza il timore che il consenso raccolto nel primo anno di governo della premier Meloni possa dissolversi provocando un’onda di risacca. La scelta di concedere l’autonomia differenziata alla Lega in cambio del Premierato – perché di questo si tratta, inutile girarci intorno – sfugge ai codici della logica, viene percepita come una mossa azzardata se non addirittura controproducente. Perché mai imbarcarsi in una riforma che vuole solo il Carroccio lasciando all’opposizione gli argomenti che ora non ha? Se lo Spacca-Italia fosse stato concesso nel 2017 – ha calcolato Svimez – si sarebbe generato un surplus di spesa per le funzioni delegate a favore delle 3 regioni del Nord che hanno già firmato le intese pari a circa 5,7 miliardi nell’ipotesi di compartecipazione Irpef.

L’8 gennaio prossimo il ddl Calderoli arriverà in Senato e sarà scontro. Identico scenario per il Premierato vissuto come una forzatura, costruito intorno ad un disegno di legge bocciato a più riprese dai costituzionalisti, criticato persino dal presidente del Senato Ignazio La Russa? Basta alzare lo sguardo in avanti per immaginare le fortificazioni che verranno alzate. E non stiamo parlando solo di professoroni, eccellenze che hanno da sempre un rapporto privilegiato con la virgola, ma di chiunque abbia provato a confrontarsi con i disegni di legge 935 e 830 in corso di esame in Commissione Affari e finanze di Palazzo Madama. Tra i documenti depositati si stenta a trovarne solo 1 – leggasi uno – che non sia ferocemente critico.

Ugo De Siervo, giurista, presidente emerito della Corte costituzionale, non può essere certo tacciato di parzialità. Dopo aver criticato vari punti del Ddl segna alcuni passaggi con la matita blu: “Appare alquanto sciatto scrivere sempre nel nuovo art. 92 che “il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto…” e successivamente che “il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il governo… quasi che egli potesse fare altrimenti”.

E dopo aver spiegato per filo e per segno perché il Ddl Meloni cambierebbe in modo sostanziale quel gioco di pesi e contrappesi che tiene in equilibrio i vari poteri, scrive: “Un altro vistoso caso di riduzione dei poteri del Presidente della Repubblica deriverebbe dalla radicale modificazione dell’art. 88 della Costituzione relativo alla possibilità di scioglimento anticipato delle Camere operato dal nuovo art. 94 quale proposto dall’art. 4 del Ddl n° 935, ciò non tanto per l’eliminazione della possibilità di scioglimento di una sola Camera prevista dall’art. 2 del Ddl quanto per la analitica tipizzazione degli scioglimenti anticipati operabili in riferimento ai rapporti fra Parlamento e Governo o addirittura esaustiva di tutti i casi di possibile scioglimento anticipato della Camera”.

Non è una lingua comoda quella usata dai costituzionalisti. Ognuno parla un linguaggio suo ma in una cosa tutti concordano: quel Ddl va riscritto o rispedito al mittente. Persino il professor Walter Obewexer, ordinario di diritto internazionale e pubblico all’Università di Innsbruck, lo boccia senza appello anche se le motivazioni in questo caso sono molto diverse. Per il docente austriaco, che ha inviato un documento alla 1° Commissione, il nuovo premio di maggioranza del 55%, previsto per entrambe le Camere del Parlamento a favore delle liste e dei candidati collegati al presidente del Consiglio dei ministri “porterebbe a una riduzione del numero dei rappresentanti delle minoranze linguistiche eletti in Alto Adige in entrambe le Camere a meno che i rappresentanti delle minoranze linguistiche non si colleghino con la lista del Presidente del consiglio eletto”. E questo rappresenterebbe un chiaro limite nel criterio di rappresentanza delle minoranze.

Non è insomma la furia creativa di qualunque intenzionato a sabotare il disegno di legge ma il Ddl che non regge alle controffensive tecniche e dialettiche. Non consideriamo per questione di supposta appartenenza le relazioni della ex ministra Cartabia o le opinioni espresse da Cgil e Uil facilmente etichettabili. Ma la stessa che più volte si è distinta dalle altre due sigle si dice convinta che “la governabilità del Paese e la stabilità degli esecutivi devono coniugarsi con la difesa del pluralismo e con le istanze della democrazia rappresentativa e partecipativa”. E ancora, entrando più nel passaggio chiave del provvedimento, “è altrettanto importante salvaguardare il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica, funzione che non deve essere in alcun modo compromessa o depotenziata.

Tra i meno critici potremmo elencare il professor Carlo Fusaro, audito dalla 1° Commissione il 4 dicembre scorso. Il professore, un costituzionalista, ordinario di Diritto pubblico comparato, riconosce che il primo a ragionare sulle forme di governo e a porsi il problema della stabilità fu il padre costituente Pietro Calamandrei. E dunque non si scandalizza quando si parla di semipresidenzialismo o premierato. Detto questo, pur ammettendo le origini illustri del progetto e l’opportunità di accrescere i poteri giuridici del Presidente del Consiglio, ricorda che senza un’ampia collaborazione fra i gruppi rappresentativi di una larga maggioranza parlamentare non si va da nessuna parte.

Elenca le imperfezioni, la “non congruità del testo”, primo fra tutti il ridimensionamento del Capo dello Stato. Osservazioni che troviamo in quasi tutti i documenti scritti dai costituzionalisti e lasciati a disposizione dei membri della 1 ° Commissione. Enzo Cheli, vice presidente emerito della Consulta rileva una lunga serie di anomalie fino a dire che questa è solo “la riforma delle riforme”, e che “molti elementi indurrebbero a pensare che si tratti un primo passo verso una svolta diametralmente opposta alla storia e allo spirito che animò il nostro impianto repubblicano al momento della sua nascita”.

I precedenti tentativi sono finiti male: dalla commissione Bozzi (1983-1987); alla Commissione De Mita-Iotti, passando per il referendum voluto da Renzi e la Bicamerale D’Alema. Un flop dietro l’altro

In molti in queste ore hanno invitato in forma discreta la premier ad una ulteriore riflessione. Si avanzano suggerimenti, si sussurrano consigli, si fa notare a Giorgia che il terreno delle riforme costituzionali è da sempre scivoloso, l’humus ideale dell’opposizione. Senza dire che concessa l’autonomia non vi è alcuna certezza che poi arriverebbe il Premierato. Dopo il danno, la beffa.


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