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Roberto Calderoli

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Scontro sul testo del Ddl Calderoli sull’Autonomia: L’emendamento prevede parità di trattamento anche per le regioni che non firmeranno le intese. La Lega chiede di riformularlo, il Mef avvia un’istruttoria

Senza risorse niente Lep. E senza Lep niente autonomia differenziata. C’era un granellino di sabbia nel meccanismo dello Spacca-Italia architettato dal ministro agli Affari regionali Calderoli. Un emendamento all’articolo 4, comma 1, presentato dal senatore di Fratelli d’Italia Andrea De Priamo. Estendeva anche alle Regioni che non chiedevano la devoluzione gli stessi finanziamenti concessi ai firmatari delle intese. Ma una clausola di salvaguardia imposta dal Mef ha di fatto costretto il senatore di FdI a riformularlo e vincolarlo agli equilibri di bilancio. Nessun aggravio di spesa per le casse dello Stato.

SCONTRO SUL TESTO DEL DDL CALDEROLI SULL’AUTONOMIA, I PALETTI DEL MEF

Una condizione che di fatto depotenzia l’emendamento e lo svuota di qualsiasi efficacia. Nella sua ultima, e forse definitiva, versione chiede che i livelli essenziali delle prestazioni siano assicurati sull’intero territorio, «ivi comprese le Regioni che non hanno sottoscritto le intese al fine di scongiurare disparità di trattamento tra le regioni».

Ma il punto che in buona sostanza scardina il disegno di legge e viene ribadito è quello imposto dal Mef: la coerenza «con gli obiettivi di bilancio». C’è in corso un’istruttoria della Ragioneria, come ha confermato ieri il sottosegretario all’Economia, Federico Freni. Tradotto vuol dire che la riforma dovrà essere a costo zero. E che dunque quei Lep invocati da tutti resteranno in realtà – come da tempo sostiene il professor Gianfranco Viesti, autore del libro “La secessione dei ricchi” – solo «specchi per le allodole».

SCONTRO SUL PROGETTO CALDEROLI DI AUTONOMIA DIFFERENZIATA, IL NODO DEL LEP

Il granellino che inceppa il disegno leghista è sempre lo stesso e può diventare un macigno. Finanziare i livelli essenziali delle prestazioni, uniformare il livello dei servizi scendendo dal Nord al Sud costa caro, un costo che il Paese non può permettersi. La Lega si accontenta di una scatola vuota? Di un’autonomia purchessia? Francesco Boccia, ex ministro agli Affari regionali nel suo intervento l’ha definito “barattellum”, alludendo allo scambio Premierato-Autonomia differenziata.

«Le pre-intese firmate 4 governi fa (nel 2018, Gentiloni presidente del Consiglio) non esistono più», ha passato un colpo di spugna Boccia replicando alle accuse del ministro leghista, consapevole che quelle intese le aveva firmate però un Esecutivo di centrosinistra. «Noi saremmo anche disposti a sostenere l’emendamento a condizione, però, che non si firmi alcuna intesa e fino a quando non saranno determinati i livelli minimi di prestazione», ha aperto il capogruppo Pd al Senato, Francesco Boccia.

Una sorta di alleanza Pd-FdI per disinnescare la mina-Calderoli. Che potrebbe, come abbiamo già scritto, conseguenze nefaste per il Paese. Per abrogare lo Spacca-Italia si potrebbe – come hanno già minacciato dem e 5Stelle – raccogliere le firme e indire un referendum. Andare a uno scontro d’altri tempi che va ben oltre i partiti, Nord contro Sud, dinamiche superate oggi persino in Alabama.

CONFRONTO ASPRO

Il confronto in Aula è stato aspro. Per i capogruppo del M5s Stefano Patuanelli «il tema non è l’attuazione delle previsioni della Costituzione: a essere profondamente sbagliato è come si attua la Costituzione in questo provvedimento. E il modo in cui la stiamo attuando è molto pericoloso per la tenuta complessiva dell’unità del Paese, non per l’unità della Repubblica ma per l’uniformità dei servizi e la capacità di dare risposte ai cittadini nelle varie aree del territorio». Stessi concetti espressi da Peppe De Cristofaro, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra. Con un ulteriore passaggio: «Perché non basta semplicemente dire che si è in qualche modo frenata la portata disgregativa dell’autonomia differenziata».

Calderoli, da parte sua, ha risposto rivendicando che nessuno prima aveva mai provato a definire i Lep: «Noi per la prima volta ci abbiamo messo le mani e lo abbiamo fatto anche nella legge di Bilancio». E a chi gli ha ricordato che una stima elaborata dalla Svimez ha calcolato che i Lep costerebbero non meno di 100 milioni di euro ha replicato: «Per avere la possibilità di finanziare qualcosa, bisogna prima stabilire il livello essenziale e stiamo realizzando costi e fabbisogni standard di ogni regione».

UN DDL SUL NULLA

I governatori del Nord non ne fanno più mistero. Puntano al residuo fiscale, un elemento che non è più sul tavolo della Conferenza Stato-Regioni dal 2020, da quando le regioni del Nord accettarono e firmarono un accordo: prima i livelli essenziali delle prestazioni, poi il fondo di perequazione, quindi le intese per l’eventuale trasferimento delle materie. Quell’impianto ora salta.
Dopo il “no” al ritiro degli articoli votato ieri dall’Assemblea del Senato, attuare altre tattiche ostruzionistiche non sarà più possibile. Le condizioni dell’opposizione – nessuna intesa finché non saranno finanziati i Lep – verranno ribadite oggi. Sono le stesse che il governo Conte 1 aveva concepito in una legge quadro che prevedeva di finanziare le materie da devolvere solo dopo aver quantificato e trovato le risorse necessarie. Passano gli anni ma il nodo non si scioglie e torna il tormentone.

«Non c’è autonomia perché non ci sono soldi per farla – taglia corto Carlo Calenda, leader di Azione – Se si va avanti con questo dibattito sul nulla andiamo contro un muro, serve una forza politica che imponga un altro modo di fare politica». Ecco, il punto è questo: Calderoli si accontenta anche di un disegno di legge sul nulla, pur di portare a casa qualcosa.


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