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Prima la critica all’Autonomia differenziata partiva solo dal Sud ma ora qualcosa è cambiato e anche il Nord attacca il Dl Calderoli


Sarà l’effetto-Alessandra Todde o più semplicemente un naturale ripensamento. Ma mentre fino a qualche tempo fa le critiche al disegno di legge sull’Autonomia differenziata partivano sempre dalla stessa parte, dal Sud contro gli egoismi del Nord, ora qualcosa è cambiato. Lo Spacca-Italia non piace più neanche al Corriere della Sera che pure in passato non ha disdegnato sviolinate a favore del provvedimento leghista.

È cambiato il vento? Presto per dirlo. Per ora si sa solo che la campagna elettorale volta a contrastare l’impostazione autonomista della precedente giunta Solinas in Sardegna si è dimostrata vincente. E che nel centrodestra, dopo la sconfitta nell’Isola, iniziano a farsi strada altri ragionamenti. Del tipo, “ma se neanche lì, in una regione a statuto speciale, ci credono, non sarà il caso di ripensarci e smettere di assecondare una forza sempre più minoritaria come il Carroccio?”

AUTONOMIA DIFFERENZIATA, LA CRITICA CHE UNISCE IL NORD AL SUD

Succede poi che a rimescolare le carte ci si metta appunto il giornale di Via Solferino da sempre molto sensibile alle questioni identitarie sollevate dai presidenti del Veneto Luca Zaia e della Lombardia Attilio Fontana. E che in Parlamento ci si ritrovi sui divanetti a commentare l’articolo apparso giovedì scorso in prima pagina. Un editoriale a firma Goffredo Buccini, non una firma qualsiasi, dunque, ma l’inviato di punta che fece lo scoop sull’avviso di garanzia comunicato a mezzo stampa a Berlusconi al G8 di Napoli nel 1994 . Già dal titolo – “È dura essere autonomi” – si intuisce una mutazione, un vento che spira in un’altra direzione. Il disegno di legge diventa così “l’ultimo vessillo per tenere assieme un gruppo in cui la vistosa crisi di Salvini incrocia il dissenso dei territori che trovano in Luca Zaia il coagulo critico”.

Per arrivare all’osservazione che avrà fatto saltare sulla sedie i tanti commentatori a favore dell’autonomia quando Buccini ricorda che tra le 23 materie che non comportano il soddisfacimento dei Lep, ovvero dei Livelli essenziali delle prestazioni, ve ne sono alcune “non Lep”, materie cioè che non attengono ai diritti civili e sociali.

AUTONOMIA DIFFERENZIATA, ANCHE IL NORD CRITICA IL DL CALDEROLI

“Per esse – spiega l’editorialista del Corriere – l’articolo 4 del disegno di legge Calderoli prevede la possibilità del trasferimento delle funzioni appena approvata la legge, immaginiamo a giugno, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie. Tra queste c’è anche la parte di sanità che attiene agli stipendi del personale e aggraverebbe un quadro in cui le Regioni del Sud sono già quasi tutte inadempienti sui Lea. Ma soprattutto – leggiamo – non Lep saranno le grandi materie economiche; infrastrutture , energia, zone speciali, commercio estero, la “ciccia” nel piatto”. Risultato: “Una Babele di regioni sovrane che minerebbe il rapporto con imprese e mercati”.

Siamo al rovesciamento delle opinioni espresse sullo stesso giornale da altri autorevoli commentatori. Primo fra tutti il costituzionalista di chiara fama Sabino Cassese, il presidente del Comitato tecnico (Clep) che ha guidato i 61 saggi nominati dal governo per definire le materie non “leppizzabili”. Cassese lo ha fatto nei tempi previsti perdendosi però qualche “saggio” dissidente per strada e contro il parere di una minoranza di esperti di diritto costituzionale e amministrativo. Alla fine si è guadagnato il plauso incondizionato del ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli diventando strenuo sostenitore dell’autonomia in salsa leghista.

NON SOLO LO SPACCA-ITALIA, I DUBBI SUL PNRR

Ma non è solo lo Spacca-Italia a far lievitare l’ansia del Mezzogiorno. Il professor Gianfranco Viesti, da sempre uno dei massimi esperti di federalismo, da sempre critico sul disegno di legge Calderoli, autore tra l’altro del libro “La secessione dei ricchi” , ha pubblicato con Carmela Chiapperini, una ricercatrice dell’Università di Bari, una tabella sull’impatto del Pnrr sui territori. Lo studio pubblicato sull’ultimo numero di “Menabò” accusa il governo Meloni per aver ancora pubblicato la relazione prevista per legge sul rispetto del 40% delle risorse destinate al Sud. Una condizione posta dal Next generation Eu per ridurre le disuguaglianze territoriali. “Non è certo che l’obiettivo del 40% verrà raggiunto – avvertono Viesti e Chiapperini – e occorre preoccuparsi anche delle disuguaglianze interne al Mezzogiorno per evitare che la struttura produttiva del nostro Paese si polarizzi ancora di più”.

Una critica alla revisione del Piano operata dall’attuale governo senza risparmiare anche il precedente esecutivo Draghi per i criteri di riparto delle risorse utilizzati. “Il Pnrr non ha una esplicita dimensione territoriale – scrivono gli autori – in esso mancano sistematicamente i criteri che per ciascuna delle sue misure dovrebbero ispirare l’allocazione geografica delle risorse, mancano cioè indicatori relativi ai livelli di sviluppo delle diverse aree, alla gravità dei problemi occupazionali e alla dotazione territoriale di infrastrutture e servizi pubblici sulla base dei quali dovrebbero essere modulati gli interventi”.

PERDERE LA SFIDA DEL PNRR SIGNIFICA PERDERE L’ULTIMO TRENO UTILE

Va da sé che perdere la sfida del Pnrr, come è stato ripetuto più volte, vorrebbe dire per il Sud e per le aree più interne del nostro Paese perdere l’ultimo treno utile. “L’effettiva allocazione territoriale delle risorse – si legge più avanti – è stata frutto di criteri assai differenti da caso a caso adoperati dai ministeri a partire dal giugno 2021 per la scelta dei progetti da finanziare e quindi della loro localizzazione: questo processo – concludono – è avvenuto senza una guida chiara, lasciando ampia discrezionalità ai ministri”. E se così fosse quel treno lo avremmo già perso.


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