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All’estero i lavori sono retribuiti meglio: un neolaureato nel Belpaese guadagna in media 1.384 euro (1.250 netti) al mese. Al contrario, negli altri territori dell’Unione europea quasi 2 mila euro

Cambio vita e vado a lavorare all’estero. Non è una scelta ma una necessità: lontano dall’Italia medici, ingegneri e specialisti Ict sono più richiesti e meglio retribuiti. Un neolaureato che ha iniziato a lavorare da un anno nel nostro Paese, guadagna, in media, al mese 1.384 euro (1.250 euro netti). Un neo laureato nei Paesi dell’Unione Europea ne percepisce quasi 2mila euro (1.963 euro netti) al mese. Un lavoro regolare, una retribuzione più alta, meno precarietà e più stabilità, sono le motivazioni che alimentano la “fuga di “cervelli”. Secondo stime del ministero dell’Università e dati Istat il fenomeno interessa tra l’8% ed il 10% dei laureati.

Al Nord il trasferimento dei laureati all’estero è compensato dall’arrivo di giovani laureati e diplomati dal Sud. Le regioni meridionali, così perdono talenti che le famiglie hanno istruito e formato e si svuotano. Dal 1995 ad oggi oltre 1,6 milioni di giovani, soprattutto da Campania, Calabria, Puglia e Sicilia si sono trasferiti nelle regioni settentrionali, puntando su Torino, Milano, Bologna e Padova. Ma una quota pari al 6% ha preferito di gran lunga andare a lavorare all’estero, in Francia, Spagna, Germania, Svizzera, per valorizzare i loro titoli di studio in medicina, ingegneria, scienze informatiche. Tra le figure professionali che trovano un impiego stabile lontano dall’Italia ci sono profili qualificati come medici, ingegneri e specialisti Ict.

Se prendiamo come riferimento il periodo post-Covid-19, il saldo di chi lascia l’Italia e chi resta è negativo con 179mila persone tra i 25 e i 34 anni laureati che hanno preferito fare i bagagli e andare a lavorare all’estero allettati dalla possibilità di guadagnare dal 20 al 25% in più di quanto guadagnerebbero se restassero nel loro Paese. Le difficoltà in Italia aumentano dal momento che le risorse sono già scarse. A tal proposito, basti pensare che i laureati nostrani sono il 28% contro una media Ocse del 40%.

Richiesti medici, ingegneri e specialisti – Quali sono le professioni più richieste per i giovani laureati che vanno a lavorare all’estero? Anzitutto i medici (geriatri, ostetrici, ematologi, ortopedici, pediatri, le specializzazioni mediche dove ci sono i posti), ingegneri (elettronici, meccanici, informatici) e specialisti Ict (Information and Communication Technology), cioè i professionisti (diplomati, ma anche laureati) di tipo tecnico che si occupano di installare, implementare, monitorare e mantenere i sistemi informatici di un’azienda e oggi anche delle Pubbliche amministrazioni. Parliamo di Grafici, Web Designer, Sviluppatori di software, Responsabili aziendali IT, Data Scientist e Data Analist. Secondo Eurostat, i lavoratori del settore ICT in Europa sono 8,4 milioni.

Di questi, 1,9 milioni appartengono alla sola Germania, che rappresenta il mercato di riferimento nel Vecchio Continente, impiegando il 23,1% dell’intera forza lavoro attiva nel comparto, seguita da Francia (1,2 milioni, il 14,5% del totale) e Italia (0,8 milioni, il 9,8%). Tra gli Stati membri dell’Ue, però, l’Italia è ultima per quota di aziende che impiegano specialisti in informatica e telecomunicazioni, segno di una concentrazione massiva nelle grandi imprese e di una distribuzione non omogenea dei nuovi profili. La questione è soprattutto economica.

E sì perché chi fa le valigie e si trasferisce a lavorare oltreconfine, lo fa per guadagnare meglio. Un neolaureato italiano che ha iniziato a lavorare da un anno, come detto, in media, porta a casa 1.384 euro (1.250 euro netti) al mese in Italia e quasi 2mila euro (1.963 euro netti) al mese all’estero. Chi lavora nel nostro Paese al quinto anno dall’assunzione guadagna 1.600 euro (1.484 euro netti) al mese contro i 2.352 euro (2.180 euro netti) al mese per chi avesse optato per lavorare all’estero. Questa tendenza avrà degli effetti anche a livello economico perché la fuga dei cervelli ci costa ogni anno l’1% del Pil. Il discorso è semplice: se un giovane si forma in Italia e poi se ne va a lavorare, quindi a produrre all’estero, non contribuisce alla creazione di ricchezza nel nostro Paese. Anzi lo impoverisce.

Questo è tanto più incisivo nel Mezzogiorno, che sta conoscendo un esodo di massa (516mila residenti secondo il Rapporto sulla demografia dell’Istat) negli ultimi dieci anni hanno lasciato le regioni del Sud per trasferirsi prevalentemente nelle regioni del Settentrione in una misura pari al 60%, mentre il restante 40% prende la via dell’estero. Tra l’altro c’è da considerare una cosa: gli stipendi in Italia non sono ovunque gli stessi: un ingegnere neo-assunto in una regione del Sud percepisce in busta paga 1.180 euro netti, contro una media di 1.250 euro netti al mese come ricordato sopra.

Non esiste un posto universalmente riconosciuto migliore rispetto ad un altro dove questi professionisti possono recarsi per poter guadagnare meglio di quanto guadagnerebbero se restassero in Italia, ammesso che naturalmente possano trovare un’occupazione stabile e regolare. Cosa, questa, che non è propriamente la regola nel Mezzogiorno. Un giovane neolaureato potrebbe pensa che all’estero può passarsela meglio che se rimane in Italia, ma un lavoratore può decidere di espatriare anche a 40 anni o a 50 anni.

Come si dice: non è mai troppo tardi. Come evidenziato dal Rapporto di Fondazione Migrantes gli italiani iscritti all’Anagrafe Italiana Residenti all’Estero sono ormai quasi 5,3 milioni. Oltre il 90% lasciato l’Italia per motivi di lavoro. Il 15,9% lavora in Argentina, il 14,5% in Germania, l’11,8% in Svizzera. Ma i Paesi si guadagna di più restando in sono Spagna, Portogallo, Grecia, Svizzera, Francia, Germania e Olanda.

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