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Da dove vogliamo cominciare? Dall’occupazione, dagli investimenti, dalla formazione, dalle banche, dalla gestione delle acque, dall’efficienza della Pubblica amministrazione? Prendiamo un tema qualunque e lo troviamo: le raccomandazioni emesse ieri dalla Commissione europea all’Italia sono un vero atto d’accusa sul Mezzogiorno, su come viene dimenticato, su come viene gestito. Per non dire che la raccomandazione dei commissari ai governi di aprire una procedura per debito eccessivo nei confronti dell’Italia può avere tra i suoi effetti, non oggi ma tra pochi anni, quello di bloccare i fondi di coesione.

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C’è di che preoccuparsi, e molto, perché il Sud rischia di pagare due volte il prezzo di un debito che cresce senza controllo, senza scrupoli possiamo dire: da un lato le risorse disponibili che crollano e dall’altro, danno e beffa, quello di essere il primo a subire i danni di una punizione europea, con il taglio dei fondi, al malgoverno centrale.

I FONDI EUROPEI

La Commissione esprime una speranza, e dice che la programmazione dei fondi Ue per il periodo 2021-2027 “potrebbe contribuire ad affrontare alcune delle lacune individuate”. E spiega che questo “consentirebbe all’Italia di utilizzare al meglio tali fondi in relazione ai settori individuati, tenendo conto delle disparità regionali”. Questo è il quadro al quale si dovrebbe tendere, ma poi, subito, arrivano i problemi, che percorrono tutte le raccomandazioni che la Commissione ha emesso, come un sistema nervoso che in qualche modo è bloccato, che non funziona.

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Un primo problema è che secondo Bruxelles è necessario “rafforzare la capacità amministrativa del Paese per la gestione di questi fondi”, giudicato “un fattore importante per il successo di questi investimenti”. Già, perché oltre alle mancanze del governo centrale, all’abbandono, secondo l’Unione il secondo grave problema del Mezzogiorno è la qualità della pubblica amministrazione, giudicata insufficiente rispetto alla sfida.

LAVORO E ISTRUZIONE

Poi inizia l’elenco, lungo, doloroso, ma anche imbarazzante, dei ritardi. L’espressione “regional gaps”, i “divari regionali” ricorre spesso, in varie forme, nella relazione. Sono “ragguardevoli” nel mercato del lavoro, dove si annota tra l’altro che è aumentato il numero dei contratti a termine. Da qui discende, per forza, che “le disparità di reddito e il rischio di povertà sono elevati, con ampie disparità regionali e territoriali”.

Prima del lavoro c’è, dovrebbe esserci, la formazione. Ed anche qui il Sud paga un prezzo, se è vero che, come sostengono a Bruxelles, il tasso di abbandono scolastico “rimane ben al di sopra della media Ue (14,5% contro 10,6% nel 2018)” e, anche qui non si evita di notare che “vi sono ampie disparità regionali e territoriali nei risultati scolastici”. E comunque, anche quando si lavora, il lavoro nero “è diffuso in Italia, specialmente nelle regioni meridionali. Secondo le stime dell’Istituto nazionale di statistica, nel 2016 l’economia nascosta valeva circa 210 miliardi di euro (12,4% del Pil). Il 37,2% circa è attribuibile al lavoro sommerso”.

Continuiamo a pescare in queste Raccomandazioni che suonano anche come un attento esame della situazione, che conferma la correttezza di tante denunce, fatte anche su questo giornale, rimaste però inascoltate. Il problema della pubblica amministrazione del Sud torna spesso in queste pagine. “La scarsa qualità della governance nell’Italia meridionale limita seriamente la sua capacità di spesa e di elaborazione delle politiche: migliorare la capacità amministrativa – ammoniscono i commissari – è una condizione preliminare per un’efficace distribuzione degli investimenti pubblici e l’uso dei fondi dell’Ue, specialmente nell’Italia meridionale”.

Ma c’è di più, l’attacco è profondo: “Le competenze inadeguate nel settore pubblico limitano la capacità di valutare, selezionare e gestire i progetti di investimento, cosa che mina anche l’attuazione dei fondi UE, dove l’Italia è in ritardo rispetto alla media dell’Unione”. E ancora: “La debole capacità del settore pubblico, soprattutto a livello locale, di amministrare i finanziamenti rappresenta un ostacolo agli investimenti in tutti i settori”.

E su questo insistono da Bruxelles, convinti che “il miglioramento della capacità amministrativa degli organismi centrali e locali avrebbe un impatto positivo sulla pianificazione, la valutazione e il monitoraggio dei progetti di investimento, nonché sull’individuazione e la gestione di possibili strozzature”.

INNOVAZIONE

Sorvoliamo poi sulla lotta alla corruzione, che “rimane inefficace in Italia”, e che sospettiamo abbia però uno stretto legame con il fatto che “l’adozione da parte delle imprese più piccole di strategie per aumentare la produttività rimane limitata, in particolare nell’Italia meridionale”. Con una spesa in innovazione che in Italia è circa la metà della media europea si apre anche un altro problema, perché scarsi investimenti in questo settore possono “rallentare la transizione verso un’economia verde.

Migliorare il rendimento dell’innovazione dell’Italia richiede ulteriori investimenti in beni immateriali, nonché una maggiore attenzione al trasferimento di tecnologia, tenendo conto delle debolezze regionali (si intende sempre il Sud, ndr) e delle dimensioni delle imprese”.

INFRASTRUTTURE

A proposito di investimenti poi secondo la Commissione, questi sono stati “insufficienti nella gestione dei rifiuti e nelle infrastrutture idriche nel sud Italia, mentre continuano i rischi di scarsità e siccità”. Qualcosa a che fare con corruzione e criminalità diffusa? In Italia il credito bancario rimane la fonte principale del finanziamento aziendale, eppure, notano a Bruxelles, “le imprese più piccole e innovative continuano a lottare per accedere al credito, soprattutto nel sud Italia”.

E qui chiudiamo, perché la partita è troppo facile, quando troviamo scritto anche dalla Commissione europea che: “Si raccomanda all’Italia di migliorare la qualità delle sue infrastrutture, tenendo conto delle sue disparità regionali”.


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