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I 25mila euro con garanzia dello Stato restano ancora un miraggio per le imprese del Mezzogiorno, un flop che sembra non indignare i governatori regionali, onnipresenti in tv ma silenziosi sul tema sul quale si gioca, non solo la sopravvivenza di migliaia di aziende, ma la ripresa economica di un intero Paese.

SOLO L’1 PER CENTO

L’Italia che produce è fondata su piccole e medie imprese, quasi tutte dislocate al Sud e solamente l’1% – stando ad un rapporto elaborato da Cgia – è riuscita a presentare domanda per accedere al decreto Liquidità, che di liquido ha solo le promesse. Anche il Codacons denuncia “maxi ritardi e inefficienza”: l’erogazione di 25mila euro, nemmeno a fondo perduto, assomiglia più ad un’ulteriore prova di sopravvivenza per le imprese che una misura a sostegno. Secondo Cgia, allo scorso 30 aprile erano 45.703 le domande pervenute alle banche, se si considera che la platea delle imprese e dei liberi professionisti interessati per legge da questa misura è costituita da oltre 5 milioni di attività, vuol dire che solo lo 0,9% di queste ultime ha fatto ricorso a questa misura. Ma materialmente, di queste poche centinaia hanno visto l’accredito sul conto corrente bancario. Per molti un flop prevedibile, in questo momento storico le aziende avrebbero bisogno di liquidità immediata, a fondo perduto, non scartoffie da compilare. In Germania per sostenere le piccole imprese, il governo della Merkel ha erogato alle realtà con meno di 15 addetti fino a 15 mila euro a fondo perduto. Somme depositate, dietro autocertificazione, in 72 ore.

MUTI AL TELEFONO

In Italia, invece, secondo una indagine di Codacons, che ha coinvolto 15 diversi istituti di credito, su 301 filiali contattate ben 171 (ossia il 56,8% del totale) nemmeno risponde al telefono. La ricerca mette in luce molti ostacoli posti all’erogazione del credito. Il decreto prevede che le banche debbano erogare in automatico i 25mila euro alle piccole e medie imprese fino a 499 dipendenti, compresi professionisti, negozianti, autonomi e piccoli imprenditori. Ma l’articolo 13 della legge stabilisce che le garanzie statali non potranno essere rilasciate a quelle imprese che, anteriormente al 30 gennaio 2020, avevano una posizione già classificata in sofferenze, partite incagliate, esposizioni scadute e/o sconfinanti, inadempienze probabili. Praticamente quasi tutto il mondo delle piccole imprese del Mezzogiorno, aziende che hanno dovuto già fare i conti con almeno altre 3-4 crisi economiche negli ultimi 15 anni.

Ma di tutto questo i governatori non parlano, lasciando gli imprenditori soli ad affogare tra una ridda di carte e richieste delle banche. Bilancio completo di nota e verbale anno 2017; bilancio completo di nota e verbale anno 2018; bilancio analitico 2017 – 2018 patrimoniale -economico; bilancio provvisorio dell’anno in corso a data recente 2019; i modelli DM10/2 Inps o Uniemens per il 2018 e per il 2019, relative alle retribuzioni corrisposte ai dipendenti e ai contributi dovuti (con eventuali conguagli), con esibizione delle copie per tutti i mesi; le dichiarazioni sugli occupati, cioè sulle unità lavorative annue (Ula) sia per il 2018 che per il 2019; il documento unico di regolarità contributiva (Durc) aggiornato e valido; i modelli Irap 2019 e 2018 della società richiedente il finanziamento; i modelli Unico 2019 e 2018 della società richiedente; i modelli Iva 2020 e 2019 della società richiedente; la visura aggiornata della società: è il lungo elenco di documento preteso da una banca ad una impresa pugliese che chiedeva accesso ai 25mila euro.

IL MIRAGGIO

Una giungla burocratica, altro che decreto liquidità. Se i 25mila euro materialmente li hanno visti in pochi, i finanziamenti sino a 800mila euro e cinque milioni sono invece un miraggio. Eppure, i documenti ufficiali e i numeri che il Quotidiano del Sud-L’altra voce dell’Italia ha portato alla ribalta lo dicono chiaramente: l’Italia per ripartire e recuperare il gap con il resto ha bisogno di una manovra che prenda le mossa da un punto fermo, ridare al Sud quello che gli è stato sottratto negli ultimi 20 anni.

Per risollevare il Paese, oltre a liquidità a fondo perduto, serve un atto politico che rimetta le cose apposto, rendendo “giustizia” ad un Mezzogiorno rimasto senza investimenti. All’Italia intera serve correggere questa stortura, riportare gli investimenti per lo sviluppo del Mezzogiorno lontano da quello 0,15% del Pil (dati dei Conti pubblici territoriali) a cui sono ancorati oggi.

IL RIEQUILIBRIO

Occorre riequilibrare la spesa pubblica che toglie ai poveri (al Sud) per dare ai ricchi (il Nord), un Robin Hood moderno al contrario: basti pensare ai 62 miliardi dirottati verso le Regioni del Centro-Nord Italia. E se la cifra di 62 miliardi vi inquieta, beh pensate che la situazione è addirittura peggiorata: tra il 2016 e il 2017, infatti, il Mezzogiorno ha perso quasi un altro miliardo.

Insomma, serve una manovra finalmente equa, che ridia ai cittadini del Sud la stessa qualità di servizi di cui gode chi vive al Nord. Perché è facile immaginare cosa voglia dire, ad esempio, 62 miliardi in meno: sanità meno efficiente, meno treni, meno bus, meno asili, scuole più insicure, per dirla in breve meno diritti e opportunità. Al Mezzogiorno, per dirla in soldoni, servono strade e ferrovie moderne.

Nel Meridione ogni impresa può contare su meno di 20 chilometri di reti, la metà di quelle a disposizione nel Nord-Ovest, con la Puglia fanalino di coda con appena 7,9 km per azienda.

A fare il punto, con il supporto di uno studio Nomisma, è stata l’associazione Agrinsieme. Partiamo dalle autostrade: a fronte di una media nazionale di 23 km ogni 1.000 kmq, nel Sud si scende a 20 km/1000 kmq, con la Basilicata ferma a 3 km/1000 kmq e il Molise a 8 km/1000 kmq.


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