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Il Ministro Giuseppe Provenzano

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Con il decreto Semplificazioni, approvato con la formula “salvo intese”, il Consiglio dei ministri lunedì ha dato il via libera anche al Piano nazionale di riforma (Pnr), che costituisce la base del Recovery plan italiano che il governo porterà a Bruxelles a ottobre, con il programma di riforme e interventi che intende finanziare con le risorse europee del New Generation Eu che, tra prestiti e sovvenzioni, riserva all’Italia 172 miliardi – salvo intese al ribasso qualora al prossimo Consiglio europeo, in programma per il 17 e il 18 luglio, dovesse prevalere la linea dei Paesi “frugali”.

NOI E L’EUROPA

Le istituzioni europee hanno più volte indirizzato al governo una sorta di moral suasion affinché affronti il divario territoriale tra il Mezzogiorno e il resto del Paese, che inevitabilmente ne frena la crescita.

E questo acquista ancora maggior valore alla luce delle ultime stime della Commissione Europea che per il 2020 vedono il Pil italiano in caduta libera all’11,2%, il peggior calo in Europa.

Il Piano nazionale di riforma riserva un capitolo al Mezzogiorno, “adottando” il Piano Sud 2030 varato a febbraio, in era pre Covid. E conferma, come sottolinea il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano, «che la dotazione complessiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il prossimo ciclo 2021-2027 cresce fino allo 0,6% del Pil annuo (dallo 0,5%). In totale – spiega il ministro – si tratta di 73,5 miliardi per l’intero periodo».

Di cui l’80%, si legge nel Pnr, vincolato a favore del Mezzogiorno: un bottino che vale 58,8 miliardi.

«Poi – aggiunge – arriveranno le risorse dall’Europa di Next Generation Eu e il nostro Green Deal, per tutti gli investimenti pubblici si applicherà il 34%. Ma le risorse aggiuntive europee e nazionali della coesione devono essere davvero aggiuntive. È un impegno che prendiamo, per noi e per i governi che verranno. Se qualcuno non vorrà mantenerlo – avverte – dovrà spiegare perché. Sviluppo e riequilibrio devono andare insieme».

LA QUOTA 34%

Un avvertimento che nasce dal timore di rivivere come in un flashback la storia deludente dei precedenti piani di coesione. Come quella della clausola del 34 per cento, finora mai rispettata: dal 2001 al 2019 la quota media di trasferimenti al Mezzogiorno è stata mediamente del 26%.

Il capitolo in questione parte da una premessa e da una presa di coscienza: «Ridurre i divari tra cittadini e tra territori è la priorità nazionale per riavviare uno sviluppo sostenuto e durevole in Italia.

La ripresa degli investimenti è essenziale per attivare potenziali di crescita e innovazione inespressi, per riuscire a creare opportunità di lavoro di qualità, in particolare per i giovani e le donne. Il progressivo disinvestimento nel Sud del Paese ha determinato un indebolimento del motore interno dello sviluppo».

Mantenere fede all’una e all’altra è la scommessa sui cui forse il ministro si propone di fare opera di monitoraggio.

Una parte della scommessa si gioca proprio sulla riprogrammazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione, con l’obiettivo di accelerare la capacità di spesa che, come detto, può dunque contare su una dote di 73,5 miliardi, con un vincolo di destinazione territoriale a favore del Mezzogiorno fissato all’80%.

Nel passato il “braccio” nazionale della politiche di coesione, con il suo scarso grado di utilizzo, non è stato in grado di incidere sui ritardi strutturali e le performance economiche dei territori meridionali. Ora si punta ad accelerare con l’attuazione del Fondo a partire da quest’anno, nel tentativo, si legge nel testo, di raggiungere nel biennio 2021-2022 i livelli di spesa del settennio 2007-2013.

IL PIANO SUD

Intanto, secondo le stime del Piano Sud 2030 – riportate nel Pnr – la spesa sarà pari a circa 3,5, 4,5 e 4,5 miliardi, rispettivamente nel 2020, 2021 e 2022: ciò comporterà nel triennio una maggiore spesa di circa 6,5 miliardi rispetto ai recenti trend. L’ammontare delle risorse da destinare agli interventi per il Fondo per lo sviluppo e la coesione, come ricordato, per il 2022-2027 ammontano a 73, miliardi di euro, con l’80% vincolato al Mezzogiorno.

Nell’ambito della programmazione del Fondo, verrà definito un Piano di sviluppo e coesione nazionale per ciascuna delle 5 missioni del Piano Sud 2030, che vanno dal potenziamento delle infrastrutture scolastiche, all’ammodernamento della rete stradale e ferroviaria, dagli interventi per l’efficientamento energetico dell’edilizia pubblica e privata a quelli per favorire la diffusione di ecosistemi dell’innovazione attraverso incentivi agli investimenti in ricerca e sviluppo, fino al rafforzamento delle Zone economiche speciali (Zes).

LA RIGENERAZIONE

Infine, ai cinque Piani si ne affiancherà anche uno per la “Rigenerazione amministrativa” per accompagnare gli enti territoriali nel processo di investimento e migliorarne la carità amministrativa.

Nell’emergenza sanitaria che il Paese si è trovato a vivere con il Covid 19, i Fondi strutturali e di investimento europei (Sie) sono stati chiamati a fronteggiare le ripercussioni sul sistema economico e sociale.

L’Unione europea ha consentito agli Stati membri una maggiore flessibilità nell’uso delle risorse, dando anche il via libera a un’azione di riprogrammazione delle risorse disponibili per 2014-2020, nel rispetto dei vincoli di destinazione territoriale, in particolare per la copertura di spese sanitarie legate alla pandemia e per il sostegno delle attività economiche.

I FONDI STRUTTURALI

Intanto, per quanto riguarda l’attuazione degli interventi già attivati nell’ambito dei 51 Programmi operativi cofinanziati dal FESR e dal FSE, la certificazione delle spese sostenute fino 31 dicembre del 2019 era pari a 15,2 miliardi, equivalente al 28,5 per cento su un totale di 53,2 miliardi di risorse programmate.
Nel 2018 era stata di 9,7 miliardi: l’incremento di spesa registrato lo scorso anno, quindi, è stato di 5,5 miliardi. Per raggiungere il target di spesa fissato per il 2020, mancano 4,3 miliardi.

Secondo i dati di attuazione del Sistema Nazionale di Monitoraggio gestito dalla Ragioneria Generale dello Stato, il valore dei progetti associati ai Programmi operativi FESR e FSE 2014- 2020 equivale al 70 per cento del programmato.

Nell’ambito dei Programmi operativi gli impegni raggiungono il 58,6% del loro valore: 31,2 milioni di cui 19,1 FESR e 12,1 FSE. I pagamenti, invece, si attestano sul 30,7%, pari a 16,4 milioni di cui 9,9 FESR e 6,5 FSE), superando di oltre un miliardo la spesa certificata alla Commissione Europea a fine 2019.


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