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Una veduta aerea dell'Allianz Stadium

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Vantavano ingerenze persino nella società della Juventus e sarebbero stati in grado di condizionare gli enti locali piemontesi. Non c’erano solo i proventi del narcotraffico riciclati in attività commerciali e imprese. Almeno questo è quello che racconta il 33enne collaboratore di giustizia Domenico Agresta, che con le sue rivelazioni ha contribuito a disarticolare il “locale” di Volpiano, stroncato con l’operazione Platinum messa a segno dalla Dda e dalla Dia di Torino che hanno eseguito 33 arresti in Italia e all’estero.

POSTAZIONE ALLO STADIO

L’ex esponente della famiglia di ’ndrangheta di Platì stanziatasi in Piemonte ne parla ai pm quando affronta la posizione di Gianfranco Violi, imprenditore che a un certo punto giunse a Volpiano e dovette rendere conto agli Agresta, anche se, a suo dire, provenendo da Buccinasco, già pagava il pizzo ai Barbaro.

IL PROFILO DI DOMENICO AGRESTA

Non un imprenditore vittima, però, almeno secondo il narrato del pentito, il cui cugino omonimo, 35enne, aveva un “amico”. Un amico che avrebbe consentito a Violi «la possibilità di aprire un’attività commerciale allo Juventus Stadium», scrivono gli inquirenti nel sintetizzare uno degli interrogatori agli atti della mega inchiesta. I riscontri sono ancora tutti da appurare, ovviamente, ma lo squarcio che si apre sembra assolutamente inquietante. L’epoca è quella precedente all’operazione Minotauro, uno spartiacque che sancì che anche il Piemonte è terra di ’ndrangheta.

«L’ufficio mi domanda se sia mai stato allo stadio a vedere la Juventus, dico di sì. Io ho tute, maglie firmate, mio cugino Agresta Domenico classe ’86 mi ha detto che uno che è amico dei Papalia, gli procurava queste cose e gli aveva offerto locali nello stadio nuovo per fare una caffetteria con Gianfranco Violi».

OPERAZIONE SFUMATA

E ancora: «Questa persona procurava biglietti, maglie, tute, è un amico di mio zio Antonio classe ’60, ma non so chi sia né dove abita e da dove venga. È un contatto di mio cugino Domenico Agresta classe ‘86, è un contatto forte perché gli avevano dato già i due locali nel nuovo stadio. Me ne parlava molto mio cugino, dicendomi che era in contatto anche con una agenzia di moda a Milano, ma non so essere più preciso a riguardo. Mio cugino mi aveva detto che era stato anche nell’ufficio di Lele Mora. Né mio padre né mio zio vendono biglietti, gliene regalavano per andarci». La caffetteria nello stadio, però, non si fece perché scattò l’operazione Minotauro. «Non so cosa avvenne alla scarcerazione di mio cugino che avrebbe voluto fare una caffetteria e una sala giochi».

Domenico Agresta

Il pentito ha raccontato anche che suo zio Antonio Agresta, quando venne scarcerato, si occupò di “raccogliere voti” per conto di un certo “Pino Medaglia” che, una volta eletto e dopo aver assunto un incarico al Comune di Volpiano («sindaco o vice sindaco»), avrebbe «dato i lavori a Gianfranco Violi».

Gli approfondimenti che sono stati svolti dagli inquirenti hanno permesso di appurare come effettivamente Giuseppe Medaglia abbia fatto parte della giunta comunale di Volpiano, con la carica di vice sindaco, nel periodo tra il 1° giugno 2011 e il 6 febbraio 2015.

Ma non risultano, in base ad accertamenti presso l’Agenzia delle entrate, lavori affidati dal Comune alle società riconducibili a Violi. Anche se gli inquirenti non escludono l’eventuale aggiudicazione di prestazioni d’opera o di servizio assegnate direttamente dal Comune di Volpiano.

Con quali modalità sarebbe avvenuta la raccolta dei voti? «Zio Antonio per raccogliere i voti faceva così: andava dalle persone che conosceva e dava l’indicazione di voto. Nella vicenda di Pino Medaglia c’entra anche Gianfranco Violi, che a sua volta è stato eletto. Sorrido dicendolo perché è stato votato ma secondo me non capiva di politica e aveva gli zii detenuti. Abbiamo raccolto voti per Franco Violi figlio di Vincenzo, Gianfranco Violi, per questo Mimmo, e per Medaglia e tutti hanno ottenuto degli incarichi. Mio zio Natale aveva fatto mettere assessore Gianfranco Violi prima di Mimmo di Bianco. Poi preferirono Mimmo a Violi».

GLI INTRECCI POLITICI

Una figura, quella di Violi, che gli Agresta, e Antonio Agresta in particolare, si tenevano stretta. «Lui soldi ne ha, ma non so dove li tenga, anche mio padre mi ha detto che mio zio Antonio ha tantissimi soldi. Io posso dire che Gianfranco Violi è quello che gli faceva girare i soldi, con lui avevano fatto una ditta di caffè e anche una ditta Tra i beni sequestrati nell’inchiesta, per un valore complessivo di sette milioni, ci sono anche Caffè Millechicchi srl, esercente l’’attività di lavorazione del caffè e di bar, e Co.Sca.Vi. di Violi Gianfranco snc, che si occupa di costruzione di strade, autostrade e piste aeroportuali e di trasporti stradali.

Tornando alla politica, non solo il Comune di Volpiano, ma anche quello di Chivasso era finito nel mirino del gruppo criminale. E, anche se gli inquirenti non contestano il voto di scambio politico-mafioso, quando affrontano la figura di un altro imprenditore ritenuto organico al clan, Giuseppe Vazzana, parlano di un certo «attivismo politico».

Il riferimento è a un interesse per le elezioni amministrative svoltesi nel 2017 e sostanziatosi in numerosi contatti telefonici con alcuni candidati, anche di estrazione politica opposta. Da alcune conversazioni telefoniche intercettate emergerebbe che l’obiettivo dell’indagato era la concessione di un campo da calcetto adiacente a un bar in un’area di nuova edificazione, tanto da orientare il proprio sostegno alla coalizione che riteneva che avrebbe potuto soddisfare le sue pretese.


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