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Lucia Azzolina

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Forse sì. Alla Ministra Azzolina converrebbe, come ha annunciato lei stessa, mettersi in viaggio per conoscere da vicino di cosa si parla quando si parla di scuola. Di quella, inesistente, collocata secondo lei dentro un appartamento di Scampia -il quartiere delle Vele a Napoli nord, dove c’è uno dei migliori istituti tecnici intitolato al piemontese Galileo Ferraris, l’ha già invitata per riparare alla gaffe fatta in conferenza stampa – ma anche di tutte le altre quarantamila, destinatarie delle ennesime Linee guida e dell’ennesimo Piano Scuola.

Un viaggio che la porterebbe nei territori ad alto ed altissimo rischio sismico della Calabria – dove però meno della metà degli edifici scolastici è in possesso del semplice collaudo che si fa a qualunque ascensore prima che entri in funzione – ma anche in qualche istituto del Nord, dove si muore per mancate riparazioni da quattro soldi.

“Il Comune di Torino risparmiò 500 mila lire, ma mio figlio rimase ucciso da un tubo di ghisa che staccandosi dal soffitto lo colpì all’interno della sua scuola” ha raccontato spesso Cinzia Caggiani, la madre di Vito Scafidi, morto il 22 novembre del 2008 a 17 anni per il crollo del controsoffitto al liceo Darwin di Rivoli.
Comunque, sicurezza o meno degli edifici, secondo i calcoli ministeriali per il distanziamento, “avanzerebbero” fuori dalle aule 1 milione e 200mila studenti, il 15% dei bambini e ragazzi che il 14 settembre dovrebbero tornare sui banchi. Un aiuto dovrebbe venire dal nuovo “cruscotto” informatico in grado di misurare le giuste distanze e, si spera, di funzionare meglio dell’Anagrafe scolastica, rinnovata nel 2018 ma evidentemente ancora inadeguata. Oltre che illeggibile, contro ogni legge sulla trasparenza.

Intanto, gli alunni che in questi mesi non si sono seduti davanti ad un pc per seguire le lezioni on line sono 1,6 milioni. E non perché in emergenza sanitaria la didattica a distanza non si sia dimostrata un’alternativa (forse l’unica) ragionevole. Tutt’altro. Il fatto è che 1 milione e 137mila minori d’età in Italia vivono in povertà assoluta, con percentuali doppie nel Mezzogiorno rispetto al Centro e al Nord del Paese. Al Sud, il 20% delle famiglie non ha un pc o un tablet con cui collegare i propri figli ai loro insegnanti e sempre al Sud, come in tutte le c.d. “aree interne” del Paese – il 60% del territorio nazionale – la connessione è insufficiente o inesistente e come mobilità, salute e istruzione sono lontani o difficilmente accessibili. Le hanno definite “aree interne” proprio per questo, per la lontananza di chi ci abita da una scuola, un ospedale o un treno.

Da settembre, la DaD dovrebbe rimanere ipotesi residuale e solo per le superiori, ma l’espressione “ove le condizioni di contesto la rendano opzione preferibile ovvero le opportunità tecnologiche, l’età e le competenze degli studenti lo consentano” non fa intravedere un grande impegno al superamento delle diseguaglianze, nemmeno per gli alunni con disabilità, “spariti” per il 36% del totale.

Poi c’è l’igiene, su cui si è speso 1 milione di euro in prodotti specifici. Ma mentre le Linee guida prevedono un metro di distanziamento, ingressi scaglionati e formazione del personale (sulle mascherine se ne riparlerà a fine agosto), la c.d. “abitabilità” degli edifici scolastici italiani è critica: accessibilità, salubrità, comfort, risparmio energetico, antinfortunistica, sicurezza degli impianti presenti sono certificati nel 63% delle scuole del Nord e nel 15% di quelle del Sud (XVII Rapporto di Cittadinanzattiva).


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