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Meno quantità, più qualità. Se la “formula” funziona come per il vino, per l’olio made in Italy si potrebbe sperare in un aumento dei prezzi riconosciuti ai produttori. Uno dei nodi dell’oro giallo italiano, e  in particolare del Sud dove si concentra la produzione, è proprio la scarsa remunerazione delle bottiglie all’olivicoltore.
L’olio, infatti, è uno dei prodotti che più di altri subisce le penalizzazioni nella Gdo, dove da anni svolge il ruolo di “civetta” sugli scaffali con il risultato che  l’olio di qualità viene  scalzato da  quello pessimo venduto a pochi euro  (mentre ancora non si riesce a rendere operativa la nuova normativa Ue finalizzata a stroncare le pratiche commerciali sleali).

QUOTAZIONI IN CALO

Quest’anno le quotazioni hanno perso fino al 44%, scendendo a livelli minimi dal 2014 e insostenibili per gli agricoltori che non riescono  neppure a coprire i costi. Un male comune in molti settori, ma particolarmente grave per l’olio, che in alcune aree del Paese rappresenta davvero l’unica ricchezza agricola ed  economica. Ecco perché una boccata di ossigeno sul fronte dei prezzi potrebbe essere un aiuto fondamentale per la tenuta  del settore. Ma per centrare questo obiettivo, secondo Coldiretti,  servirebbe  una maggiore trasparenza. Attualmente i frantoi sono carichi di olio, in gran quantità di provenienza spagnola e peraltro vecchio. Insomma più che mai va tenuta alta la guardia. L’etichetta con l’indicazione dell’origine c’è, ma spesso poco visibile e comunque non sostenuta da un supporto al consumatore.

EMERGENZA XYLELLA

Negli ultimi anni  il settore olivicolo ha dovuto fare i conti con la spietata concorrenza straniera e con l’emergenza fitosanitaria della Xylella che ha distrutto  gli oliveti  pugliesi e che continua la sua inesorabile marcia. Quest’anno poi l’olio, come il vino, ha subito gli effetti della pandemia per la chiusura dell’appetibile (sul piano economico) canale Horeca.

Il blocco di ristoranti, alberghi  e agriturismi, dove sono gettonate le migliori etichette, ha messo in  ginocchio  i produttori. Negli uliveti come nei vigneti i produttori hanno avuto difficoltà a reperire manodopera. E problemi sono stati registrati anche  sul fronte dell’export. In questo panorama è scattata ieri la prima spremitura di olive in Sicilia che  ha dato il via alla nuova campagna. Il clima ha presentato  un conto pesante. Secondo il  report “L’olio italiano al tempo del Coronavirus” presentato  da Coldiretti, Unaprol e Ismea, quest’anno la produzione è  stata tagliata del 22%.

A pesare,  soprattutto per i raccolti della Puglia, prima regione olivicola nazionale, dove si concentra la metà dell’olio tricolore, sono stati i  fenomeni climatici estremi e la Xylella. Meno pesante la sforbiciata nel Centro Nord. Ma sono le regioni meridionali a trainare la filiera che conta  400mila aziende agricole, 250 milioni di piante, 533 varietà di olive  e un ricco  paniere di eccellenze con 43 Dop e 4 Igp. E sono dunque le produzioni  di alta qualità del Sud a rischiare di più.

CONCORRENZA SLEALE

«I pericoli – ricorda lo studio Coldiretti – arrivano anche a livello internazionale dalla diffusione di sistemi di etichettatura fuorviante, discriminatori e incompleti, dal traffic light inglese al nutriscore francese, che finiscono per mettere il bollino rosso ed escludere paradossalmente dalla dieta alimenti sani e naturali, da secoli presenti sulle tavole, per favorire prodotti artificiali di cui, in alcuni casi, non è nota neanche la ricetta».

A livello mondiale la produzione stimata di olio è  di  3 miliardi di chili. Il pressing arriva dai raccolti spagnoli, in aumento da 1,4 a 1,5 miliardi di chili di olio, mentre scendono le quantità della Grecia e della Tunisia. Uno scenario dunque dominato da molte ombre. 

Per il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, «servono massicci investimenti pubblici e privati a partire da un piano straordinario di comunicazione sull’olio che rappresenta da sempre all’estero un prodotto simbolo della dieta mediterranea».

 Una misura concreta lanciata dal presidente dell’Unaprol, David Granieri, è l’estensione del pegno rotativo,  diventato da pochi giorni operativo per  i prodotti Dop e Igp, a tutto l’olio extravergine di oliva a patto che sia 100% italiano. Anche per Granieri è strategica la funzione della promozione: «Per questo abbiamo promosso con Coldiretti la prima scuola, Fondazione Evoo School, per diffondere la conoscenza dell’extravergine».

Dall’Ismea un’iniezione di ottimismo. «La minore disponibilità di prodotto nazionale e la contrazione delle scorte stimata dalla Ue – ha sottolineato il direttore generale dell’Ismea, Raffaele Borriello – potrebbero aiutare un recupero dei prezzi, fortemente penalizzati per tutta la campagna 2019-2020. Una rivalutazione dei listini dei nostri extravergini  che passa anche attraverso una maggiore conoscenza e apprezzamento da parte del consumatore italiano del nostro patrimonio di oli di qualità».

Borriello ha anche evidenziato il trend di recupero dell’export: «Nei primi sei mesi del 2020 – ha aggiunto – la maggior domanda estera di olio imbottigliato è arrivata soprattutto dagli Usa (+28%) e dalla Francia (+42%) e, caso raro per il settore, abbiamo avuto una bilancia commerciale in attivo».


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