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Olio extravergine d’oliva, grano, frutta, ortaggi, vino, in una parola Dieta mediterranea. Non solo un paniere di prodotti, ma uno stile di vita, un’etica alimentare. Gli ingredienti dei costumi italiani, della cucina che ha fatto grande l’Italia nel mondo, un elemento unico di attrazione in grado di trainare anche agriturismo, turismo e ristorazione. È tutto questo che ha reso la Dieta mediterranea patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’Unesco dieci anni fa.

Un giacimento mondiale prezioso che si alimenta soprattutto delle produzioni del nostro Mezzogiorno.  Ancora una volta si scopre che questo Sud bistrattato da anni svolge un ruolo strategico nel garantire una corretta alimentazione ai cittadini, ma soprattutto nell’offrire un’occasione di sviluppo economico unico per un paese che arranca sotto i feroci colpi della pandemia. L’identikit del “tesoro agricolo del Mezzogiorno” è tracciato da uno studio firmato Marco Fortis, Andrea Sartori e Stefano Corradini, del Centro di ricerche in Analisi economica e sviluppo economico internazionale CRANEC  (Università Cattolica del Sacro Cuore).

Un testo che strappa il velo che finora ha lasciato nella penombra l’agricoltura meridionale e la ricolloca sul podio che le spetta. Parlano i numeri. Nel 2018 il Sud ha registrato un valore delle produzioni ottenute dai raccolti agricoli o dalle prime trasformazioni pari a 13,1 miliardi, il 42% della componente nazionale di quell’anno. E la quota principale di questa ricchezza è legata alla Dieta mediterranea con oltre 11 miliardi di euro. Ma i primati non sono solo a livello nazionale.  Qualche esempio? Il Sud è il primo produttore mondiale di carciofi, con Sicilia e Puglia che producono di più dell’intera Spagna, è  numero uno nella Ue a 27 per pomodori, melanzane, finocchio, indivia, e ancora albicocche e una da tavola. È in prima linea sul fronte del grano e del vino. Sono prodotti che  raccontano storie di territori e sono alla base delle filiere, con tutte le carte in regola dunque per  produrre ricchezza, vera non di carta. Un contributo che arriva indistintamente da tutte le regioni meridionali.

La Calabria, spiega lo studio, e in particolare la provincia di Crotone producono più finocchio dell’intera Francia.  Sicilia e Puglia garantiscono un quantitativo di melanzane maggiore dei Paesi Bassi. Le albicocche targate Campania e Basilicata raggiungono il volume realizzato dalla Grecia e dalla sola provincia di Matera arrivano più albicocche della Romania. Quasi scontato il primato produttivo per quanto riguarda il pomodoro della provincia di Foggia. Mentre per l’uva da tavola spiccano le province di Bari e Taranto che da sole sorpassano la Spagna. Il puntuale report realizzato dal Cranec sfata così il mito di un Mezzogiorno povero di materie prime. Con la rivoluzione innescata dall’emergenza Covid è ormai chiaro a tutto il mondo che cibo e medicine sono la vera ricchezza. E se il nostro Paese è dipendente per l’industria di trasformazione da metalli, fibre naturali e commodity come semi oleosi, cereali e foraggeri, è invece autosufficiente per quanto riguarda le derrate che sono alla base della dieta mediterranea. L’Italia è la prima nazione Ue per questo ventaglio di prodotti per un valore di oltre 23 miliardi nel 2018, tallonata dalla Spagna con 21,3 miliardi e dalla Francia con 19 miliardi. E il Sud, come abbiamo detto, contribuisce per più della metà con l’apporto di Puglia (3,4 miliardi), Sicilia (2,8 miliardi), Campania (1,6 miliardi), Calabria (1,2 miliardi) e Abruzzo (1,1 miliardi).  Si tratta di produzioni pregiate che rientrano a pieno titolo nella catena del lusso alimentare. Questa la fotografia da cui partire per un percorso che secondo quanto indicano gli autori dovrebbe puntare a una maggiore valorizzazione «sul piano strategico, programmatico e anche su quello della sua immagine internazionale» del suo ruolo  preminente in Europa nelle coltivazioni agricole e in particolare in quelle connesse alla dieta mediterranea. E ancora più – questo l’invito degli autori – dovrebbe farlo il Mezzogiorno «protagonista assoluto».

L’Italia proprio in questa fase critica in cui tutti i valori economici flettono verso il basso non può lasciarsi sfuggire l’occasione di sfruttare nel modo migliore e più efficace possibile questo potenziale. Ma per non continuare sulla strada che ha portato al depauperamento dei territori meridionali, è il momento di  invertire la rotta. Bisogna passare – suggerisce l’analisi – attraverso una politica finalizzata di programmazione e valorizzazione dell’agricoltura con il pieno coinvolgimento di Stato e Regioni, associazioni agricole e trasformatori e grande distribuzione.  La pandemia ha fatto tabula rasa di tutte le certezze, ma ha anche aperto nuovi orizzonti. L’agricoltura omaggiata dal mondo della politica e dalla società civile per la sua capacità di resilienza sembrava essere schizzata al primo posto nell’attenzione del Governo. I numerosi provvedimenti che si sono accavallati in questi mesi qualcosa hanno concesso, ma poco rispetto alle necessità. Ma a mancare è stato finora un progetto di ampio respiro in grado di intercettare le risorse che (forse) prima o poi sbarcheranno in Italia. Altri paesi a partire dalla Francia, come abbiamo scritto su questo giornale, sono pronti con piani concreti e stanziamenti già finalizzati a raccogliere le nuove sfide e i nuovi fondi per il settore agricolo e agroalimentare.

In Italia solo chiacchiere. Soprattutto nei confronti di un Mezzogiorno che sul piatto mette molto. Ma se non si creano le condizioni per garantire la sopravvivenza delle imprese, se non si realizzano infrastrutture al passo con i tempi e con la necessità di un mondo globalizzato sarà difficile che la miniera agricola del Sud non continui a restare soffocata dalla burocrazia e dall’indifferenza. Servono progetti, ma forse neppure quelli. La Coldiretti ha già presentato, per esempio, un pacchetto ricco di iniziative cantierabili in tutti i settori dalla zootecnia (con condizioni concrete per una diffusione nei pascoli del Sud) al vino, dai cereali alla frutta. Con azioni per assicurare risorse idriche e tecnologie d’avanguardia.  Ora bisogna percorrere l’ultimo miglio: scegliere e finanziare. Prima che ancora una volta Paesi meno dotati, ma competitor ci scippino la maglia.


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