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Giuseppe Conte

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Ci saranno investimenti «prepotenti» per il Mezzogiorno nel Recovery Plan che il governo intende presentare a Bruxelles a metà febbraio. Tanti progetti «senza precedenti» ha garantito il premier Giuseppe Conte assicurando che tanto lui – a maggior ragione in quanto cittadino del Sud – quanto il governo non sono indifferenti alla «battaglia lucida e passionale» che il nostro giornale sta conducendo per restituire alla popolazione meridionale gli stessi diritti cittadinanza dell’altra Italia, quella del Nord.

Sanità, scuola, trasporti, infrastrutture: un Paese che viaggia su un doppio binario, lasciando il Sud e i suoi cittadini sempre indietro, compromettendo così il suo stesso sviluppo. I fondi europei rappresentano un’occasione storica per ridurre il divario, un’occasione che «non ci possiamo permettere di fallire» tanto più che, come ha sottolineato lo stesso Conte durante la conferenza di fine anno organizzata dall’Ordine dei giornalisti, «sono risorse europee che ci vengono consegnate sul presupposto che l’Italia possa finalmente colmare quel gap strutturale che la rende meno competitiva e resiliente rispetto agli altri Paesi europei».

«Nel piano del Recovery Fund ci saranno significativi investimenti per il Mezzogiorno: l’Alta Velocità Napoli-Bari, la Salerno-Reggio Calabria, la Palermo-Catania-Messina e tantissimi altri progetti di sviluppo come l’Agritech a Napoli e un’altra serie di investimenti capillari come quelli per favorire la nuove generazioni, penso alla lotta contro la povertà educativa, molti di questi stanziamenti, che sono cospicui, si depositeranno al Sud», ha detto il premier dopo aver ricordato il vincolo del 34% sulla spesa in conto capitale, la fiscalità di vantaggio e il rinnovo del credito d’imposta per le imprese meridionali.

«Ci sono progetti come quello che riguardano la banda ultra larga che investirà prepotentemente il Sud», ha poi affermato in risposta al direttore Roberto Napoletano che sollecitava l’inserimento nel Piano di ripresa e resilienza di investimenti nel digitale, per una banda larga ultra veloce a partire dal Sud e dalle zone interne del Nord.

«Il governo – ha sottolineato il premier – si è speso a partire dall’agosto scorso perché fosse raggiunta un’intesa tra Tim e Cdp, ora c’è stata una delibera dell’Enel, ci sono passi avanti per il progetto di una società integrata per cablare l’intera Italia e in particolare il Sud e le aree interne anche del Nord entro il 2025».

Intanto la strada del Recovery Plan si incrocia con la verifica di maggioranza che sta tenendo in bilico il governo. Il tempo stringe ed è in gioco la credibilità del Paese nei confronti dell’Europa e non solo. «Dobbiamo correre – ha affermato – Se non abbiamo ancora il documento aggiornato, la struttura di governance, non va tutto bene. Dobbiamo affrettarci o rischiamo di arrivare in ritardo. Plausibilmente dovremo presentare a metà febbraio il Recovery Plan. Ho sollecitato il contributo delle forze di maggioranza, avremo una riunione collegiale che si possa esaurire in qualche giorno, massimo i primi giorni di gennaio».

C’è il nodo della governance, su cui Italia Viva ha innescato la crisi politica in atto, da sciogliere e la necessità di introdurre una «clausola di salvaguardia»: «Dobbiamo definire un meccanismo una volta per tutte, una governance con delle priorità e che stabilisca cosa succede se si accumulano ritardi, perché se non si rispetta il cronoprogramma i fondi vanno restituiti e non ci possiamo permettere di perdere un euro». Servono procedure accelerate «per poter assicurare quella capacità di spesa che l’Italia non riuscita ad esprimere storicamente» accanto a «una struttura di monitoraggio che non può oscurare le prerogative dell’amministrazione centrale e periferica».

La sfida per la ricostruzione del Paese si affianca a quella della lotta alla pandemia: uno scenario, per il premier, incompatibile con una crisi politica, come quella che l’ex premier Matteo Renzi, minaccia di aprire subito dopo l’Epifania. Ma se crisi sarà, «se verrà meno la fiducia da parte di una forza di maggioranza, ci sarà un passaggio parlamentare dove ognuno si assumerà le proprie responsabilità», ha affermato il presidente del Consiglio, che nel rifiutare la logica degli ultimatum ha citato Aldo Moro, mentre ha escluso la ricerca di una nuova maggioranza in Parlamento come l’idea di una campagna elettorale che lo veda protagonista. L’orizzonte del suo esecutivo, ha assicurato, è «di legislatura».

Quanto all’ipotesi di un rimasto si è affidato alle scelte dei partiti, come sul ritorno ai due vicepremier, anche se, ha affermato, «nel precedente governo non è stata una formula di grande successo». Sull’altare della crisi il premier, sicuramente, non intende sacrificare la delega ai servizi segreti: «Chi chiede al presidente del Consiglio di delegare deve spiegare perché. Non si fida del premier?».

Intanto c’è la pandemia che continua a correre e ci sono le scuole da riaprire: la vaccinazione non sarà obbligatoria, si confida che una buona parte della popolazione vi si sottoponga su base facoltativa. Intanto il primo impatto della campagna vaccinale si potrà misurare in primavera, quando saranno stati vaccinati 10-15 milioni di persone.

Ma non si potrà ancora parlare di immunità di gregge: «Potremo ancora durante l’estate non aver risolto il problema», ha affermato Conte confermando che lo stato di emergenza continuerà ad accompagnare l’evoluzione della pandemia, come la divisione dell’Italia a zone. Quanto alle scuole, il premier ha auspicato che il 7 gennaio «le scuole secondarie di secondo grado possano ripartire con la didattica mista, almeno il 50 per cento in presenza nel segno della flessibilità».

C’è poi un’altra crisi da contenere, quella sociale che rischia di esplodere una volta caduto il blocco dei licenziamenti. «È uno scenario molto preoccupante – ha riconosciuto il presidente del Consiglio – Abbiamo costruito una cintura di protezione sociale che più o meno sta funzionando, ha scongiurato il licenziamento per 600mila persone. Ma dobbiamo lavorare alla riforma e riordino degli ammortizzatori sociali e rendere più incisive le politiche attive del lavoro. Dovremo lavorare per non farci trovare impreparati. Il mercato del lavoro si preannuncia molto critico dopo marzo».


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