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Dal Pnrr lasciato dal governo Conte il Mezzogiorno ne sarebbe uscito maltrattato. È quanto emerge da uno studio della Fondazione Bruno Visentini sul Piano nazionale di ripresa e resilienza del precedente governo, che il Quotidiano del Sud anticipa in esclusiva.

«La previsione presente nel Pnrr redatto dall’ex governo “Conte”- si legge nelle conclusioni – appare riduttiva e penalizzante per le regioni del Mezzogiorno, escludendo, ad eccezione che per le misure finanziate dal React-Eu (il pacchetto di assistenza alla ripresa per la coesione e i territori d’Europa della Commissione europea), ogni forma di etero-compensazione».

ATTENZIONE DEBOLE

Parole che non lasciano adito a dubbi rispetto alla debole attenzione alla convergenza delle regioni del Mezzogiorno, sebbene alle otto regioni del Sud fosse «riconosciuta una priorità orizzontale allo scopo di ridurre i divari territoriali e liberare il potenziale inespresso di sviluppo del Mezzogiorno».

La nota tecnica, elaborata da Luciano Monti, condirettore scientifico della Fondazione Visentini e docente di Politiche dell’Unione europea alla Luiss di Roma, dal titolo “Stime risorse destinate da Pnrr varato il 12 gennaio al Mezzogiorno e rimodulazione secondo indicazioni Regolamento sul Dispositivo di Ripresa e Resilienza. Una programmazione delle risorse penalizzante per il Sud”, nel passare sotto la lente l’attribuzione delle risorse contenute nel Pnrr Conte, giunge a una conclusione eclatante: se ai fondi destinati da Ngeu U all’Italia, 223,92 miliardi di euro, fosse applicato l’algoritmo utilizzato dalla Commissione per attribuire le risorse ai 27 paesi membri della Ue nel 2019, al Mezzogiorno spetterebbero 152,20 miliardi di euro. Quasi il doppio di quelle previste.

«Provando a stimare quante risorse risultano destinate o destinabili al Sud, seguendo le indicazioni del Pnrr Conte e del Piano Sud al quale quest’ultimo fa riferimento, in assenza di rimodulazioni o nuovi indicatori – si legge nel documento – soltanto 86,4 miliardi sarebbero destinati a iniziative nel Mezzogiorno, per una percentuale pari al 38 per cento».

Il motivo di una tale distanza, spiega Luciano Monti, «risiede in tre parole chiave: algoritmo, convergenza e indicatori, a cui si aggiunge un’altra key word, che nella nota resta sullo sfondo: deriva. Quella dei territori che rischiano di restare indietro, in assenza di interventi tempestivi».

QUESTIONE DI METODO

Nelle tabelle finanziarie del “Pnrr Conte” sono «chiaramente identificate soltanto le misure per il Sud finanziate con le risorse del ReactEU». Un limite che deriva dal metodo seguito.

«Poche sono le misure specifiche destinate alla macroarea del Mezzogiorno» ed è «vaga l’allocazione delle risorse per le regioni del Sud».

Inoltre non è spiegato sia in base a quali indicatori siano state condotte le stime di impatto delle misure previste che avrebbero prodotto «conseguenze positive» per l’Italia e il Mezzogiorno, sia come sia stato stimato il potenziale effetto sulla crescita e l’occupazione delle Regioni del Mezzogiorno, nel periodo che va dal 2021 al 2026, con un aumento del Pil al Mezzogiorno «in misura compresa fra quasi 4 punti percentuali e quasi 6 punti percentuali» e «impatti occupazionali fra i 3 e i 4 punti percentuali».

Eppure Bruxelles, dice Monti, ha precisato che le risorse vanno allocate ai paesi membri secondo il parametro Rrp, il Dispositivo per la ripresa e la resilienza. Il dispositivo è lo strumento approvato dalla Commissione, che spinge sulla compensazione, cioè cerca di allocare le risorse verso i Paesi che ne hanno più bisogno, ricorrendo a una serie di indicatori del 2019: 1) pil medio pro capite; 2) numero degli abitanti; 3) tasso di disoccupazione medio del periodo 2015-2019; 4) reddito nazionale lordo pro capite.

I SEI PILASTRI

Ciò al fine di promuovere le azioni nei sei pilastri individuati: 1) transizione verde; 2) trasformazione digitale; 3) crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; 4) coesione sociale e territoriale; 5) salute e resilienza economica, sociale e istituzionale; 6) politiche per la prossima generazione, l’infanzia e i giovani.

La Commissione è giunta così alla formula che tende a concentrare le risorse nelle regioni più in difficoltà. Questo meccanismo di etero-compensazione, proprio dei principi della politica di coesione europea, dice Monti, punta a promuovere la convergenza, sostenendo la crescita, lo sviluppo, l’occupazione, riducendo i divari sociali, territoriali ed economici.

«Abbiamo usato l’algoritmo presente nel regolamento europeo, inserendo i dati del pil pro capite, del reddito pro capite, del tasso di disoccupazione e del numero degli abitanti, riferendoci all’Italia e alla macroarea delle regioni del Sud e ispirandoci alle linee guida approvate dalla Commissione europea lo scorso 22 gennaio, in base alle quali i piani di ripresa e resilienza dovrebbero identificare indicatori permanenti per monitorare il contributo dello strumento alla riduzione delle disparità, anche a livello territoriale».

In tal modo la cifra da destinare al Sud ammonterebbe a oltre 152 miliardi di euro, il 68% del totale dei fondi per l’Italia. Ma anche se si applicasse soltanto il criterio delle risorse da spendere in sinergia con la programmazione 2021-2027, da concentrare maggiormente al Sud, si arriverebbe a quasi 120 miliardi. Risorse che, conclude Monti, suggeriamo di concentrare maggiormente nei pilastri 2, 5, 6 del Ngeu.


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