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Ursula Von Der Leyen

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Pochi giorni fa Ferruccio de Bortoli ha sollevato due interrogativi che mi hanno davvero preoccupato, in particolare de Bortoli ha ricordato: “Non si sente nessuno dire con onestà che qualcosa non è fattibile perché non ce lo possiamo permettere” e “Il senso dell’urgenza è scomparso, sembra quasi che il PNRR sia già stato realizzato” e sempre de Bortoli ricorda quanto denunciato proprio dal Ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco a Cernobbio: “Negli anni ’90 il nostro Paese cresceva molto di più della media europea. Negli ultimi anni molto meno.

E nel 2019, prima della pandemia il rapporto tra l’Italia, Francia e Regno Unito, superati brillantemente trenta anni fa, era il seguente: il PIL italiano valeva 1.787,7 miliardi di euro, quello francese 2.425,7 miliardi di euro, quello britannico 2.525,1 miliardi di euro”.

Queste considerazioni non devono intendersi, a mio avviso, come un richiamo alla concretezza e una contestuale presa di distanza da facili entusiasmi o, addirittura, da possibili illusioni generati da una impennata quasi “cinese” del nostro PIL, ma, sicuramente de Bortoli e lo stesso Ministro Franco volevano ricordarci che siamo solo all’inizio di un difficile percorso: quello in cui bisognerà trasformare in opere ciò che finora era e, ancora per molto sarà, una pura dichiarazione di buona volontà a fare.

In più occasioni ho ricordato quello che in riunioni ufficiali ci ha più volte ricordato il Direttore Generale per le politiche regionali della Unione Europea Marc Lemaitre: “Non conosco nessun altro Paese che ha una situazione così debole sul fronte degli investimenti pubblici. Gli sforzi europei fatti attraverso il bilancio comunitario sono stati neutralizzati dai tagli agli investimenti pubblici nel Mezzogiorno” che, sempre secondo Bruxelles, “sono in calo e non rispettano i livelli previsti per non violare la regola comunitaria dell’addizionalità”.

I fondi strutturali europei sono infatti concepiti come aggiuntivi rispetto alla spesa pubblica ordinaria prevista dagli Stati membri; solo così possono rappresentare un valore aggiunto e stimolare la realizzazione di investimenti che altrimenti non verrebbero finanziati. Nel caso italiano, nel periodo 2014-2016, a fronte dell’impegno a destinare alle Regioni del Sud risorse pubbliche pari allo 0,47% del PIL del Mezzogiorno, la spesa pubblica si è fermata allo 0,40% del PIL ed è scesa al 38% tra il 2014 e il 2017.

Un calo incompatibile con quanto previsto dall’Accordo di partenariato 2014-2020, che stabilisce un livello di spesa pubblica al Sud pari allo 0,43% del PIL del Mezzogiorno. Senza un deciso cambio di rotta, quindi, avvertiva Lemaitre con una apposita nota formale “la Commissione sarà costretta ad operare una rettifica finanziaria, cioè a tagliare i fondi strutturali europei”. Questo pesante richiamo più volte da me invocato diventerà il naturale metodo con cui ci confronteremo sia per la sistematica verifica dell’avanzamento delle proposte inserite nel PNRR, sia nella definizione, tra l’altro già in corso, dei Fondi europei 2021 – 2027.

In realtà per essere davvero coscienti del quadro finanziario di disponibilità dovremmo avere come riferimento il seguente elenco di disponibilità e non fermarci solo al PNRR. (vedi tabella qui sotto)

E proprio esaminando queste disponibilità e rendendosi conto che, escluso i 30,6 miliardi di euro di cui al Decreto Legge 59/2021 inseriti nel Bilancio ordinario dello Stato, le altre risorse sono assicurate dalla Unione Europea e quindi hanno come diretto istruttore la apposita Commissione della Unione Europea, ci si convince che ha ragione de Bortoli nel sostenere che il senso della “urgenza” si è quasi spento e sembra quasi scontato che la macchina pubblica abbia già concluso la fase più critica; per questo motivo la possibile “governance” che, giorno dopo giorno, sta costruendo la Presidenza del Consiglio, dovrà interagire essenzialmente con tale Commissione e dovrà per forza, giorno dopo giorno, dimostrare che le perplessità sollevate da de Bortoli sono superabili solo invocando proprio la coscienza del rischio che si corre non garantendo una immediata correlazione tra programma e attuazione dello stesso e questa correlazione, soprattutto per il Mezzogiorno del Paese non può sottovalutare gli 80 miliardi di euro che dovrebbero essere “spesi” entro il 31 dicembre del 2023 (30 miliardi di euro) ed entro il 31 dicembre del 2027 (50 miliardi di euro) partendo purtroppo da un dato che in modo forse eccessivo ripeto sistematicamente perché fa paura: in sei anni, cioè dal 2014 al 2020 abbiamo speso dei 54 miliardi di euro del Fondo di Sviluppo e Coesione solo 3,8 miliardi di euro.


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