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“Le trasformazioni in atto nel nostro Paese ci impongono di restituire un ruolo da protagonista ai cittadini. Il dibattito pubblico aiuterà le istituzioni a decidere meglio gli investimenti e anche più rapidamente di quanto accaduto finora” questa la dichiarazione del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili al seminario voluto dalla Presidente della Commissione nazionale sul dibattito pubblico Caterina Cittadino.

Per poter esporre le mie perplessità su tale strumento ritengo corretto riportare anche quanto dichiarato da alcuni partecipanti al seminario. Comincio con la Presidente Cittadino che ha sottolineato: “questo strumento servirà, soprattutto per le grandi opere, a fare scelte ponderate che ne migliorino la qualità e a eliminare tanti contenziosi che finora hanno rappresentato il principale motivo di ritardi nella realizzazione delle opere di questo Paese”.

Il Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici Ingegner Massimo Sessa ha però giustamente precisato: “È fondamentale per raccogliere il consenso sociale su un’opera, ma non deve diventare un dibattito tecnico, questa è una prerogativa” ha ribadito Sessa “che resta nelle competenze del Consiglio superiore o nel Comitato speciale che deve essere nominato a breve e sarà la vera stanza di compensazione dei conflitti sui progetti del PNRR”

Una prima considerazione estranea alla validità o meno dello strumento: la istituzione del “Dibattito pubblico” la troviamo in un apposito DPCM n.76 del 2018, un DPCM del 10 maggio 2018, cioè un provvedimento varato quattro anni fa e dopo quattro anni si è avviata forse una prima ipotesi di Dibattito Pubblico per l’antimurale nel porto di Genova.  Perché tanto ritardo; la risposta è semplice: se vengono letti alcuni articoli del DPCM che allego di seguito ci si rende conto della assurda logica che spesso caratterizza la nostra Amministrazione, quella di “creare le condizioni per motivare la non apertura dei cantieri”.

In tali articoli ho riportato in giallo due indicazioni che rendono davvero preoccupante il provvedimento: la prima preoccupazione è legata all’allungamento dei tempi di almeno sei mesi, l’altra è invece legata al fatto che il dibattito interviene anche sulle soluzioni progettuali e questo, come giustamente ha precisato il Presidente Sessa, destabilizza integralmente sia il parere del Consiglio Superiore dei Lavori, sia la corretta liturgia della istruttoria tecnica di un progetto di fattibilità.

Ritengo utile quanto detto circa tre anni fa in un interessante convegno dal Professor Celotto;   ricordò la differenza sostanziale tra “democrazia diretta” e “democrazia delegata” e ribadì: “Se volessimo affrontare questa tematica legata al coinvolgimento dei fruitori diretti ed indiretti di una determinata scelta infrastrutturale dovremmo porci una prima domanda: se la proposta avanzata da un soggetto o da un organismo diventa definitiva solo se condivisa dalla maggioranza dei fruitori diretti ed indiretti della proposta stessa, chi sceglie il soggetto o l’organismo preposto alla definizione della proposta?”

Penso che un simile interrogativo sia proprio una delle condizioni che ha portato i padri costituenti a non scegliere una “democrazia diretta”, a non ricorrere ai “gazebi” per ricevere il supporto conclusivo di una finta maggioranza, di un gratuito “coinvolgimento democratico”.

Ma, come ho già detto in precedenti miei approfondimenti sul “Dibattito Pubblico”, ciò che preoccupa di più è il modo davvero incomprensibile con cui ci si è innamorati di tale strumento. Un innamoramento che nasce da una banale emulazione dell’esperienza francese e dalla folle anomalia del Movimento 5 Stelle sul ricorso alla “democrazia diretta”; sul secondo innamoramento penso che Celotto sia stato ampiamente chiaro, sul primo, quello legato al “Débat public” francese, ritengo utile ricordare ancora una volta la serie di passaggi che caratterizzano la approvazione di una proposta progettuale nel nostro Paese:

•             Approvazione dell’organo tecnico della Amministrazione proponente

•             Approvazione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici

•             Esame del progetto in Conferenza dei Servizi in cui sono presenti tutti i soggetti direttamente ed indirettamente interessanti all’intervento (e tra di loro tutti gli Enti locali coinvolti)

•             Esame del Ministero dell’Ambiente e ottenimento sia dell’apposito parere, sia della Verifica di Impatto Ambientale

•             Esame del Ministero dei Beni Culturali ed ottenimento dell’apposito parere

•             Esame della proposta da parte del Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica Economica (DIPE)

•             Esame della proposta da parte del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica

•             Esame del Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla copertura finanziaria dell’opera

•             Esame e registrazione della proposta da parte della Corte dei Conti

Questo tragico film in Francia ha un solo passaggio quello legato alla approvazione del progetto da parte dell’Amministrazione competente.

Continuiamo a masturbarci con questi strumenti, prima facevano comodo ai Governi che, dal 2015 fino a pochi mesi fa si sono succeduti, perché rendevano possibile l’utilizzo delle risorse disponibili per mantenere in vita azioni utili per l’aggregazione del consenso come il reddito di cittadinanza, gli 80 euro per i redditi bassi e il quota100, oggi invece penso sia davvero rischiosa questa spasmodica ricerca a non partire, a rinviare, a cercare un consenso diffuso, un consenso che è già garantito da una conferenza dei servizi che, in modo capillare, dà la voce anche a realtà comunali piccolissime, ad organizzazioni periferiche come le Comunità montane, ecc. Invece noi, pur di coinvolgere il nulla, ci inventiamo strumenti davvero inutili, strumenti che questa volta potrebbero farci perdere questa grande occasione offerta al nostro Paese dalla Unione Europea.


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